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“Vi prego, qui si muore”, migranti lasciati a pane e acqua nei centri di detenzione in Libia

Costretti a bere acqua da una latrina. Come cibo solo due pezzi di pane al giorno. Botte, malattie e morte. E’ il calvario vissuto dai migranti nel centro di detenzione di Zawiya, a 50 chilometri da Tripoli. Due giovani nigeriani hanno filmato di nascosto le terribili condizioni nella struttura gestita da una milizia fedele al governo di al-Serraj. Grazie al video, i due migranti sono stati salvati e rimpatriati dalle Nazioni Unite.
A cura di Mirko Bellis
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“Soffriamo molto, qui la gente muore. Vi prego, salvateci”. E’ il disperato grido d’aiuto di Efe Onyeka, un nigeriano di 25 anni detenuto da cinque mesi in un centro per migranti a Zawiya, città costiera a 50 chilometri da Tripoli. Tra le lacrime, il giovane ha girato un video in cui mostrava le terribili condizioni dei migranti in Libia. “Siamo costretti a bere l’acqua della latrina. Un sacco di persone hanno malattie della pelle – prosegue Onyeka – ci danno da mangiare solo due pezzi di pane al giorno”. Nel filmato, realizzato con un cellulare entrato di nascosto nel centro, appare anche un altro migrante nigeriano, Frank Isaia, di 35 anni. “Non vogliono che andiamo in Europa ma non vogliono neanche mandarci a casa. Ci tengono qui solo per i soldi”.

Il video è stato girato a luglio e poi inviato ai parenti in Nigeria. In poco tempo, le immagini sono diventate virali sui social network. Il filmato è arrivato anche ad alcuni giornalisti di France 24 Observers, che, dopo averne verificato l’autenticità, hanno provveduto ad avvisare i funzionari dell'Organizzazione mondiale per le migrazioni (Iom). Onyeka e Isaia supplicano il loro governo, alcuni famosi pastori cristiani della Nigeria e le Nazioni Unite: vogliono essere rimpatriati ma da cinque mesi la loro vita è un inferno.

“Alcuni detenuti hanno fatto entrare di nascosto il telefono nella prigione. Abbiamo iniziato a chattare con le nostre famiglie. E’ stato un amico a suggerirmi di fare il video per chiedere aiuto. Così ho parlato con i miei 31 compagni di cella e tutti hanno accettato, nonostante i rischi”, ha raccontato l’autore del filmato. “Le guardie, però, ci hanno scoperto – continua Onyeka – e ci hanno pestati a sangue”. “I guardiani mi hanno messo delle catene al collo e mi hanno picchiato per sei ore fuori dalla prigione. Sono caduto in coma e pensavano fossi morto”, prosegue Isaia. “Il giorno dopo, quando hanno visto che stavo ancora respirando, mi hanno rinchiuso in una cella separata. Non potevo più camminare. Mi hanno privato dell'acqua, del cibo e mi hanno detto che non sarei mai più tornato in Nigeria. Dopo il video hanno chiesto circa 500 euro alla mia famiglia e altri 600 per pagare il cibo che mi davano”.

Il coraggio dei due migranti che hanno denunciato le disumane condizioni del centro non è stato invano. Dopo aver visto le immagini, i funzionari delle Nazioni Unite sono intervenuti e hanno tratto in salvo le persone detenute nella struttura. Il 30 agosto, Onyeka, Isaia e altri 162 nigeriani sono stati rimpatriati dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni.

Se non fosse stato per quel video credo non saremmo mai ritornati a casa”, ha detto il 25enne. Solo quest’anno sono circa 2.700 i migranti tornati in Nigeria attraverso il programma di rimpatrio volontario messo in atto dalla Iom in Libia. “Oggi sono tornato a casa e la Iom ha promesso di aiutarmi a trovare un lavoro, ma sto ancora aspettando. Ho 35 anni e vorrei riprendere gli studi per avere un buon lavoro. Ma se rimango qui senza poter fare nulla, senza un’occupazione, allora tenterò un’altra volta di raggiungere l’Europa”, ha affermato Isaia. Non la pensa così, Onyeka: “Sono traumatizzato, ho gli incubi quando ripenso alla Libia e alla prigione. Il viaggio non ne vale la pena”.

Il centro di detenzione di Zawiya è gestito, almeno sulla carta, dal Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale (Dcim). Un’istituzione del governo di Fayez al-Sarraj, il primo ministro sostenuto dalla comunità internazionale. Nei fatti, però, la struttura è sotto il controllo di una delle più influenti milizie libiche: la brigata Al Nasr. “La brigata Al Nasr controlla la raffineria di petrolio situata vicino al centro e lavora a stretto contatto con la Guardia Costiera di Zawiya, incaricata di intercettare i migranti in mare”, ha dichiarato un ricercatore libico per i diritti umani. A capo della milizia c’è Mohammed Kachalf detto al Qasab, lo stesso uomo che a giugno di quest’anno è stato sottoposto a sanzioni dalle Nazioni Unite con l’accusa di essere un trafficante di esseri umani. Dopo le misure prese dall'Onu, il governo di al-Serraj ha deciso di chiudere il centro di Zawiya ma, nei fatti, la prigione per i migranti africani continua ad essere attiva. Una struttura in cui – secondo un rapporto delle Nazioni Unite – le condizioni di vita sarebbero “disumane, con grave sovraffollamento, carenza di cibo e senza nessun accesso alle cure mediche”.

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