Vertice sulla crisi ucraina: la diplomazia europea batte i falchi di Washignton
Diciassette ore di vertice per raggiungere una tregua duratura e, soprattutto, fermare la spirare di violenza e morte che da circa un anno insanguina l'Ucraina orientale. Questo, in estrema sintesi, è il risultato raggiunto questa mattina al vertice di Minsk, in Bielorussia, dove i massimi rappresentanti politici e diplomatici di Germania, Francia, Russia e Ucraina si sono riuniti nel cosiddetto formato "Normandia" raggiungendo l'intesa per un cessato il fuoco che inizierà il 15 febbraio prossimo.
L'accordo, annunciato dal Presidente russo Vladimir Vladimorovič Putin, è composto da quattordici punti e prevede: 1) il cessate il fuoco; 2) il ritiro delle armi pesanti; 3) il monitoraggio da parte dell'Osce del territorio, anche attraverso l'utilizzo della sorveglianza satellitare e droni; 4) elezioni regionali e indipendenza amministrativa; 5) lo status speciale (per il territori orientali) entro 30 giorni; 6) rilascio dei prigionieri di guerra; 7) la creazione di corridoi umanitari per le popolazioni in fuga; 8) particolari status pensionistici e sociali per i residenti dell'area orientale; 9) il controllo dei confini da parte di Kiev; 10) l'espulsione dei combattenti stranieri; 11) il disarmo degli irregolari; 12) riforme, entro la fine del 2015, per dare maggiore autonomia all'Est; 13) elezioni nel Donbass sotto l'egida di organizzazioni internazionali (chiamato 3Pg); 14) intensificazione delle attività di monitoraggio del 3Pg.
Tutti i leader, con Angela Merkel e François Hollande in testa, hanno tenuto a specificare che l'accordo raggiunto questa mattina è solo l'inizio di un processo di pace che deve passare attraverso il rispetto concreto dell'intesa per la pacificazione dell'area. Tuttavia sembra chiaro che la guerra di nervi e diplomatica di queste ultimi mesi, vede come vincitori da una parte il Presidente russo Putin e dall'altra Francia e Germania che, per la prima volta, hanno vinto non solo una battaglia negoziale ostica, ma hanno anche preso le distanze da quello che risulta essere il vero sconfitto di questo round: il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama che, proprio nelle scorse ore, aveva paventato (sotto le feroci pressioni dei falchi repubblicani) l'imminente invio in Ucraina di artiglieria pesante da destinare alle truppe impegnate nei combattimenti nella parte orientale del paese.
Uni dei principali punti discussi al tavolo negoziale, secondo almeno quanto si sussurra in ambiente diplomatico, ha riguardato la presenza di uomini armati tre le 6mila e le 8mila unità (di cui una parte di provenienza occidentale, appartenente a forze speciali dei paesi confinanti con l'Ucraina e si ipotizza anche di britannici, francesi e nordamericani) nella regione del Debaltsevo, accerchiati dalle forze indipendentiste dell'autoproclamato stato della Novo Rossija e in evidente pericolo di vita. Secondo quanto si è appreso nel corso delle ultime ore, le diplomazie europee avrebbero lavorato alacremente per evitare l'ennesimo bagno di sangue delle forze ucraine (e soprattutto straniere). Questa volontà, più che la situazione drammatica dei civili ucraini (proseguita questa per un anno nell'indifferenza dell'Occidente), avrebbe mosso le cancellerie del Vecchio continente a spingere sull'acceleratore per un'intesa disperata con i filo russi.
La stessa telefonata intercorsa tra il Presidente Usa e il Cremlino, avvenuta pochi giorni fa ha, in qualche modo, contribuito a fare chiarezza sulle posizioni di forza dei contendenti. È stato infatti Obama a contattare Putin per aprire un possibile, per quanto freddo, ponte negoziale tra i due paesi che, per inciso, hanno congelato le relazioni dal marzo del 2014. La telefonata tra Washington e Mosca è giunta poco dopo la visita della Cancelliera tedesca Angela Merkel nella Capitale Usa, visita il cui contenuto è rimasto in parte secretato, ma dati gli sviluppi attuali è possibile ipotizzare che la Merkel abbia chiarito non solo la posizione tedesca ed Europea agli Usa, ma abbia dettato la linea per una nuova diplomazia continentale. La grande incognita del vertice di Minsk era principalmente legata all'atteggiamento che avrebbe assunto Petro Porošenko, Presidente dell'Ucraina, uomo legato a doppio filo con l'amministrazione Usa. I dettagli non sono stati chiariti, ma sembra ragionevole ipotizzare che Porošenko sia stato condotto a più miti consigli dai rappresentanti diplomatici di Francia e Germania che, con tutta probabilità, hanno sostanziato le pressioni per un accordo di pace con promesse in termini economici e politici (d'altronde l'Ucraina confina con l'Ue e molti dei suoi cittadini premono per ottenere la cittadinanza comunitaria, non certo quella Usa), sebbene durante lo stesso vertice il Presidente ucraino abbia più volte espresso la propria frustrazione per le posizioni espresse da Mosca.
Gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per destabilizzare ed innervosire sia i plenipotenziari europei che russi. Nei giorni scorsi, durante il vertice di Monaco di Baviera, mentre si parlava delle possibili condizioni per il cessate il fuoco e del margine diplomatico per la trattativa, il comandante della forze Nato in Europa, il generale Usa Philip Breedlove, dichiarava che l'opzione militare di un intervento in Ucraina era tutt'altra che remota, gettando evidentemente benzina sul fuoco. Poco dopo il comandante delle truppe Usa in Europa Ben Hodges, annunciava che gli Stati Uniti avrebbero inviato un battaglione specializzato dell'esercito nordamericano per istruire i militari ucraini. Inoltre la discussione, tutta terminologica, montata nelle scorse ore e che ha riguardato l'invio di materiale bellico letale o non letale da parte degli Usa in Ucraina, una discussione poco attenta alla sostanza dei fatti (oltre agli equipaggiamenti medici, meccanici ed informatici, i rifornimenti non letali sono pochi) e che si è conclusa con il via libera al riarmo di Kiev – secondo gli addetti ai lavori Kiev dovrebbe ricevere per i prossimi tre anni di finanziamenti da tre miliardi di dollari per rimettere in sesto le sue forze armate –, avrebbe potuto rappresentare la pietra tombale dei negoziati e, nella peggiore delle ipotesi, lo scoppio di un conflitto su scala interregionale. Per fortuna, al momento, la diplomazia ha prevalso e, se i contendenti rispetteranno gli accordi stipulati questa mattina, le armi cesseranno di ruggire.
Dal vertice, dunque, la posizione negoziale dell'Europa appare per la prima volta rafforzata e indipendente dai desiderata di Washington. Così come appare ulteriormente rafforzata, e fino ad ora, vincente la linea ferma adottata da Putin che non solo è stato chiamato come garante dell'accordo (non è un mistero che i combattenti filo russi abbiano legami fortissimi con Mosca, per quanto il Cremlino abbia sempre negato la presenza di proprie truppe sul territorio), non solo ha ottenuto ciò che voleva, ovvero maggiore indipendenza per l'Est del paese e di fatto il suo controllo indiretto, ma ha evitato – notizia di poco fa – che l'Europa proceda a nuove sanzioni economiche contro la Russia facendo sì, infine, che la questione della Crimea scomparisse completamente dai tavoli internazionali, implicando una sorta di tacita – per quanto fragile – ammissione di sovranità territoriale russa sulla penisola ex ucraina. Solo nelle prossime settimane si capirà se il cessate il fuoco reggerà e se l'accordo di pace di Minsk porterà ad una stabilizzazione, per quanto fragile dell'area e alla creazione, di fatto, di un nuovo blocco da occidente ed oriente (svuotato rispetto al passato di tutta la cornice ideologica, presunta o reale che fosse).
In questo quadro è opportuno notare come il ruolo guida della diplomazia e quindi degli interessi europei, sia stato giocato ancora una volta da Germania e Francia (il Regno Unito ed i Paesi baltici sono stati tagliati fuori, di fatto, dai summit per la loro vicinanza con gli Usa) e come l'Italia sia rimasta ancora una volta alla finestra a guardare cosa succede fuori dai propri territori (è particolare osservare come il capo della diplomazia europea, l'italiana appunto Federica Mogherini, non abbia giocato alcun ruolo a Minsk).