Ve le ricordate? Sono le donne yazide, curde, circasse, arabe che hanno sconfitto Isis. Hanno difeso e riconquistato la città di Kobane, e fatto parlare in tutto il mondo del progetto del confederalismo democratico proposto dai curdi alle popolazioni di tutta l'area e messo in pratica nel Rojava, nel Nord-Est della Siria. Queste donne sono state per alcuni mesi "l'eroine" dell'Occidente, sono finite su copertine patinate e oggetto di reportage, libri, documentari. Oggi non vanno più di moda eppure ancora combattono e muoiono.
Ieri la Turchia ha bombardato con caccia militari alcune zone di confine con la Siria, tra cui proprio Kobane. Distrutta dall'Isis, la sua liberazione è stato un simbolo di speranza in tutto il mondo. Le Ypg – le unità di protezione popolare a guida curda – parlando di almeno 11 vittime civili, di un giornalista rimasto ucciso, e di numerosi edifici civili colpiti, tra cui una scuola e un ospedale.
La Turchia presenta l'offensiva di queste ore come una reazione all'attentato terroristico avvenuto a Istanbul lo scorso 13 novembre, la cui responsabilità è stataaddossata dal governo Erdogan al Pkk, la storica formazione della guerriglia curda di stampo socialista. Tutte le forze della sinistra curda, armate e politiche, hanno porto le loro condoglianze alle vittime e rispedito al mittente le accusedi essere coinvolte. In effetti dal 2000 ormai il Pkk ha rinunciato a colpire obiettivi civili, e proprio in questi mesi sta intensificando una campagna internazionale per rimuovere la proprio organizzazione dalla lista delle organizzazioni terroristiche.
Erdogan ha dichiarato che l'ordine dell'attentato sarebbe partito da Kobane, vicinissima al confine con il Kurdistan turco. Le Ypg, pur legate politicamente al Pkk, non operano però al di fuori dei confini del Rojava. Ma soprattutto la donna arrestata in quanto esecutrice dall'attentato sarebbe entrata in Turchia dalla città di Afrin, da dove i curdi sono stati cacciati con un'operazione di arabizzazione forzata della città operata da gruppi jihadisti sponsorizzati proprio dalla Turchia.
Rimane il fatto che il governo turco, dopo l'attentato del 13 novembre, ha la giustificazione perfetta per tornare ad attaccare il Rojava e mettere in "sicurezza" i proprio confini, creando una striscia di territorio sotto il proprio controllo. Per farlo è necessario cacciare i curdi da Kobane e da altri villaggi e città colpiti questa notte e ancora questa mattina dai caccia militari. Sopratutto vale la pena sottolineare che la Turchia da mesi porta avanti una campagna di omicidi mirati contro i dirigenti civili di partiti e istituzioni delle città del Rojava, e contro i vertici delle Ypg, tramite l'utilizzo di droni
Il Consiglio esecutivo del Congresso nazionale del Kurdistan oggi chiede un intervento alla comunità internazionale: "Se la Global Coalition to Defeat ISIS è contraria a questa guerra illegale, allora i suoi membri devono immediatamente compiere passi decisi attraverso misure economiche, politiche, diplomatiche e legali per costringere la Turchia a rispettare il diritto internazionale. In caso contrario, si assumeranno anche la responsabilità delle conseguenze del terrorismo di stato turco contro il popolo curdo e gli altri popoli della Siria settentrionale e orientale. Chiediamo quindi alle Nazioni Unite, alla Global Coalition to Defeat ISIS, all'Unione Europea e agli Stati Uniti di costringere i loro partner a rispettare i propri obblighi legali".
Quello che purtroppo sappiamo è che quello turco è il secondo esercito Nato, che l'autocrate Recep Tayyip Erdoğan governa quella che è ormai una potenza regionale, che l'Unione Europea riempie di soldi per fermare i flussi di migranti prima che arrivino ai proprio confini, e che la Turchia ha un ruolo importante nel conflitto in Ucraina come possibile mediatore tra Usa e Russia. Insomma Stati Uniti e Unione Europea coltivano un rapporto ambiguo con la Turchia, fatto di interessi a volte convergenti a volte contrapposti (gli Usa continuano a intrattenere rapporti con i curdi in chiave anti jihadista), e che l'esperimento del Rojava è ampiamente sacrificabile in questo complicato scacchiere.
Sta ai cittadini europei e statunitensi non tacere di fronte alle bombe su Kobane, città simbolo della lotta contro Isis e di una nuova speranza democratica.