E' passato solo qualche giorno ma quelle immagini restano ancora impresse con la nitidezza del primo sguardo. Novantaquattro persone hanno perso la vita a causa di un duplice attentato realizzato da un folle estremista cattolico ed ultraconservatore, dicono giornali e notiziari. Rabbia e commozione ai funerali, recitano i comunicati stampa delle agenzie. Sgomenti e sconcertati si dichiarano capi di stato, politici e commentatori da ogni parte del mondo. E allo stesso tempo si cerca di abbozzare un'analisi, trovare radici profonde e rivendicazioni sostanziali, cercare disperatamente una risposta allo stesso tempo sensata ed inutile ad una serie infinita di domande lancinanti: come è possibile arrivare fino a questo punto?
Come può la follia assumere una tale lucida concretezza? Cosa può spingere un uomo a compiere una tale crudeltà, dimenticando pietà e umanità? Ed è chiaro che per quanto si possano ottenere confessioni, spiegazioni, moventi ed apologie, resterà sempre qualcosa di inevaso, disatteso. Un'angoscia assoluta ed immensa, un vuoto enorme e il venir meno di ogni certezza: è davvero possibile che tutto finisca così, come in un film di quart'ordine? Può la barbarie accanirsi su chi esercita una delle "potestà più degne dell'essere umano", su chi attivamente si interessa della cosa pubblica?
E adesso, verrebbe da chiedersi, cosa resta di questa tragedia immane, oltre ai lenzuoli sporchi di sangue, alle lacrime dei norvegesi e alla morbosa curiosità del mondo per Anders Behring Breivik e per i suoi farneticanti proclami sparsi un po' dappertutto nell'etere e finanche apprezzati da qualcuno? Restano le parole, resta l'impegno, resta il coraggio e la voglia di farsi sentire, di mandare un messaggio, un segnale, proprio quando verrebbe voglia di lasciarsi andare, per timore o per inerzia, all'indifferenza e al disinteresse. Restano le parole dei "compagni", dei ragazzi di Utoya, sintetizzati da una frase a caldo del leader del movimento giovanile laburista Eskil Pedersen: "Di fronte a questo attacco odioso e incomprensibile noi lanciamo questo messaggio; Auf e le sue idee sopravvivranno, come hanno sempre fatto. Non abdichiamo nella lotta per le nostre convinzioni, torneremo a Utoya”.
Ecco, al di là delle farneticanti dissertazioni di qualche opinionista di vecchio corso (che pretende di impartire lezioni di vita e di eroismo sul cadavere di decine di ragazzi innocenti), una tragedia del genere non può avere un senso, non serve a nulla e non insegnerà nulla, ne siamo certi. Se c'è qualcosa che resta però, è "l'eroismo delle parole", il coraggio di continuare e di andare avanti…malgrado tutto, malgrado le lacrime ed il sangue, malgrado nel riguardare quelle immagini venga solo voglia di spegnere la luce e restare in silenzio…