video suggerito
video suggerito

USA e War on terror: le cifre del post 11 settembre

La guerra al terrorismo in Iraq, Afghanistan e Pakistan ha causato negli anni la morte di oltre un milione di persone. Si tratta di una cifra impressionante, soprattutto se si pensa che si tratta di un numero di persone 10 volte superiore a quello che le fonti ufficiali hanno sempre reso noto al pubblico.
A cura di Ismahan Hassen
324 CONDIVISIONI

War on terror

«Body Count: Casualty Figures after 10 years of the ‘War on Terror», questo è il titolo di un’indagine pubblicata dalla International Physicians for the Prevention of Nuclear War (IPPNW), e dalle associazioni Médecins pour la survie mondiale e Médecins pour la responsabilité sociale, che mira a dimostrare la presenza di una manipolazione dei fatti e di una persistente disinformazione, per oscurare la responsabilità dei crimini commessi e giustificare la prosecuzione del conflitto armato americano in alcuni territori, sotto le spoglie di una fantomatica "guerra al terrorismo" .

In nome della guerra al terrorismo, dal 2001 ad oggi infatti 1.000.000. di persone sono morte in Iraq, 220.000 in Afghanistan e 80.000 in Pakistan, il tutto per un totale di circa 1,3 milioni di vite umane spezzate. Guardando a quello che può definirsi come un vero e proprio genocidio di diverse popolazioni, il numero esorbitante di questi decessi porta con sé il peso politico della gravità dei conflitti esplosi e di quelli ancora in atto. Proprio per celare tale gravità, in questi anni i media mainstream non hanno mai smesso di contestare la veridicità delle cifre trasmesse dalle più disparate ONG internazionali, in relazione al numero dei morti nei vari conflitti. Ciò è sempre risultato particolarmente lampante soprattutto per quel che riguarda il caso emblematico della guerra in Iraq. Già nell'ottobre 2006, il The Lancet, famosa rivista medica britannica, rivelava che più di 600.000 iracheni erano morti dopo l'intervento anglo-americano nel Paese, e che con un numero di 500 morti al giorno, le operazioni militari procedevano per la "liberazione dell’Iraq". Nonostante questo numero abbia rappresentato una percentuale pari al 2,5% della popolazione locale irachena, già all’epoca personalità importanti come il consulente scientifico del Ministero della Difesa britannico, giudicarono tale cifra come “eccessiva”.

Trattando di war on terror, ciò che è importante sottolineare è che, dal 2001 ad oggi, non solo la morte di migliaia di persone sarebbe stata insabbiata ma anche la perdita di migliaia di miliardi di dollari, spesi per la guerra al terrorismo. L'utilizzo stesso della dicitura "migliaia di miliardi di dollari", così vaga e indefinita, la dice lunga sul come l'esatta cifra spesa nelle operazioni militari americane non sia mai stata precisamente quantificata agli occhi del mondo occidentale. Distratto oltretutto dagli effetti devastanti della crisi economica globale, l'Occidente ha affiancato gli Stati Uniti nelle missioni di pace, senza battere ciglio sulla quantità di risorse economiche impiegate per portare avanti il nuovo progetto imperialista americano.

Utilizzando in modo volutamente strumentale qualsiasi elemento a disposizione, dopo l’11 settembre 2001, gli USA ha utilizzato strategicamente l’idea di attribuire la paternità delle violenze in corso in Iraq, Afghanistan, Pakistan e Siria, all’esistenza di conflitti interni di vario tipo, che la potenza civilizzatrice occidentale ha il dovere di risolvere.  Diffondendo e fomentando teorie tra cui la presunta incompatibilità dell’Islam con la democrazia e l’altrettanto presunta dicotomia Occidente vs Oriente, gli Stati Uniti hanno così spostato l'attenzione dalle cifre di morte che il loro intervento stava causando, alla fobia dello scontro di civiltà. Quando i media mainstream suggerivano, neppure tanto velatamente, che i musulmani odiano l'Occidente in quanto difensore del capitalismo, della democrazia, dei diritti individuali e della separazione tra Chiesa e Stato, è stato come se a nessuno fosse venuto in mente che quest’odio supposto, poteva invece avere radici nel fatto che nel corso del tempo proprio l’Occidente ha sempre impedito la nascita della democrazia e dello sviluppo economico nel mondo arabo, sostenendo i regimi brutali e dittatoriali che sono poi caduti con la Primavera araba.

Sebbene dopo il fallimento di queste rivolte e di tutti i conflitti made in USA, la teoria del “caos costruttivo” abbia mostrato i suoi limiti, le atrocità dei conflitti in corso non si sono fermate. Solo nel 2009 infatti, Obama ha posto fine al programma della CIA, autorizzato dall'amministrazione di Bush nel 2002, che autorizzava i membri dei servizi segreti a catturare, torturare ed uccidere gli esponenti di al-Qaeda in tutto il mondo.

Nonostante questa presa di posizione del presidente americano, ad oggi gli USA hanno all'attivo una serie di disposizioni che consentono discrezionalità massima nel decidere delle condizioni di vita, morte o prigionia delle persone coinvolte nei conflitti.

Anche dal punto di vista economico poi, gli Stati Uniti stanno raccogliendo i benefici dei conflitti militari da loro condotti in tutto il mondo. Se da una parte infatti, i produttori americani di armi, missili e droni vedono aumentare le loro vendite in proporzione alla crescita della minaccia dell’ISIS, non bisogna dimenticare che gli Stati Uniti rappresentano anche il più grande fornitore estero di militari in Israele contro Hamas. Il fatto poi, non a tutti noto, che l’ISIS stesso, oltre a coloro che vogliono osteggiarlo, utilizzi munizioni ed armi made in USA, fa riflettere sul fatto che, nonostante Obama abbia adottato una politica più prudente di quella di Bush, le aziende americane non hanno però la minima intenzione di smettere di fornire veri e propri arsenali a tutte le parti di questa nuova guerra infinita all’ennesimo nemico terrorista.

324 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views