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Usa: dopo l’attentato di Boston si riparla di restrizioni all’immigrazione

Si riapre il dibattito negli Stati Uniti a seguito dell’attentato e in vista di una riforma della legge sull’immigrazione. Molti americani infatti sono convinti che vadano rafforzati i controlli sugli ingressi degli stranieri nel Paese.
A cura di Antonio Palma
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Attentato a Boston durante la maratona

A pochi giorni dall’attentato di Boston che ha nuovamente sconvolto l’America, da più parti si inizia a mettere in discussione la riforma dell’immigrazione che doveva essere presentata in questi giorni al Congresso. I più duri sono chiaramente i conservatori che vorrebbero misure ancora più restrittive per l’immigrazione e la concessione dei visti. Nonostante sia la Casa Bianca che l’Fbi hanno ufficialmente ammesso che ancora non è chiaro chi possano essere i responsabili del tragico episodio, le prime notizie, poi smentite, su un presunto responsabile saudita ha riacceso un aspro dibattito interno negli Stati Uniti. Tanti i politici Repubblicani che hanno attaccato la riforma sull’immigrazione, ritenendo che invece gli Usa in questo momento dovrebbero concentrarsi sulla difesa dei propri confini. In pratica per molti americani oltre ad un controllo più efficace delle frontiere, bisognerebbe anche rivedere la politica dei visti, in relazione in particolare alla notizia diffusa qualche settimana fa su un accordo per rendere più semplice l’entrata negli Usa ai cittadini sauditi.

A rischio l'accordo con l'Arabia Saudita per i visti di ingresso – Il riferimento è ad un accordo che sarebbe stato raggiunto tra il Segretario della sicurezza interna Janet Napolitano e alcuni funzionari sauditi per rendere più semplice e veloce il passaggio alla dogana americana  almeno di quei cittadini sauditi ritenuti a “basso rischio”. Dopo l’attentato però una misura del genere è vista sempre meno accettabile da gran parte degli americani perché renderebbe il Paese esposto a maggiori rischi. Molti infatti ritengono che i controlli debbano essere accurati soprattutto per coloro che provengono da Paesi come l’Arabia Saudita, ricordando che 15 di coloro che hanno dirottato gli aerei dell’11 settembre erano di origini saudite.

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