USA, attivista afroamericana muore in carcere: nei guai agente di polizia
E' accusato di falsa testimonianza Brian Encinia, l'agente di polizia texano che l'estate scorsa aveva arrestato per aggressione di pubblico ufficiale Sandra Bland, attivista per i diritti civili degli afroamericani suicidasi tre giorni dopo essere finita in carcere in seguito a un diverbio con il poliziotto che le contestava un'infrazione stradale. Secondo i giudici l'agente ha mentito spudoratamente sulla dinamica di quanto accaduto, soprattutto per quanto riguarda le modalità con cui la giovane donna è stata costretta ad uscire dalla sua automobile. A documentare quei momenti ci sarebbero foto e video. L'arresto di Sandra Bland e la sua morte sono avvenuti sullo sfondo dell'accresciuta attenzione verso l'attività della polizia e il suo modo di trattare i sospetti afroamericani.
Dalle immagini risulta che Encinia fermò la Bland in prossimità di uno stop: la donna aveva omesso di segnalare un cambio di corsia, un comportamento che al massimo avrebbe potuto essere sanzionato con una contravvenzione ma verso sui i modi sono stati molto più bruschi. Il poliziotto ha più volte minacciato e insultato la donna, arrivando a trascinarla con la forza fuori dalla vettura e a puntare su di lei la pistola taser. Dal canto suo l'agente ha sempre sostenuto di aver utilizzato le "maniere forti" perché la Bland non eseguiva i suoi ordini, e che esistessero anche fondate ragioni per trascinare la ragazza con la forza fuori dall'auto visto che intendeva "implementare la sua attività investigativa".
In realtà è evidente che la violenza è assolutamente gratuita e non giustificata, anche se dimostrarlo sarà compito arduo: anche negli Stati Uniti, infatti, i poliziotti possono spesso fornire motivazioni "credibili" ad accuse di aver utilizzato eccessivamente la forza verso persone inermi. L'agente, ad ogni modo, rischia ora una anno di reclusione e 4mila euro di multa.