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Unaoil, l’azienda che ha corrotto il mondo per conto dei colossi petroliferi. C’è pure Eni

Una poderosa inchiesta giornalistica mette a nudo gli affari della Unaoil, holding di una potente famiglia iraniana con sede a Monaco. Tra le carte spuntano i nomi dei più importanti colossi mondiali: da Samsung a Rolls-Royce, da Hyundai a Siemens, passando per le italiane Saipem ed Eni.
A cura di Giorgio Scura
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Tangenti per miliardi di dollari. I più importanti colossi petroliferi (Eni compresa) coinvolti. Uno scandalo portato a galla, dopo due mesi di indagine, da alcuni giornalisti di Fairfax Media (gruppo editoriale australiano) e Huffington post. L'oggetto di questa inchiesta, intitolata "L'azienda che ha corrotto il mondo" è una "ditta conduzione familiare", la Unaoil, con sede nel Principato di Monaco, al numero 74 di Boulevard d’Italie, a Montecarlo. La gestiscono un padre, Ata, ed i suoi due elegantissimi figli, Cyrus e Saman: gli Ahsani, milionari vicini a principi, sceicchi ed esponenti delle elite aziendali europee ed americane. Hanno associazioni benefiche che sostengono l’arte e i bambini in difficoltà, siedono al tavolo di ONG e un patrimonio stimato di 190 milioni di euro. La loro è una holding semi-sconosciuta che tra i suoi servizi più gettonati offre quello di mediazione con governi e "decision maker" dei Paesi più ricchi di petrolio (e più instabili). A suon di mazzette.

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Cosa fa la Unaoil

«Avendo esperienza in Paesi ritenuti ad alto rischio, abbiamo imparato ad apprezzare il valore di stabilità e accesso» scrivono nella brochure. Ma la realtà sarebbe molto diversa. I cronisti, dopo aver analizzato decine di migliaia di mail, hanno ricostruito un'attività ben diversa: «Unaoil ha operato per anni come stanza di compensazione di tangenti a cui, consapevolmente o meno, si sono appoggiate alcune delle maggiori società al mondo per ottenere appalti per un valore complessivo di svariati miliardi in Paesi che vanno dal Kazakhstan all’Iraq, dalla Siria all’Algeria, passando per Libia, Yemen, Emirati Arabi Uniti e Iran», dice Nick McKenzie, giornalista di Fairfax Media. «La conseguenza è stata la stessa dappertutto: si è gonfiato il costo di grandi progetti industriali o infrastrutturali, impoverendo i cittadini e arricchendo un ristrettissimo circolo di funzionari pubblici o governativi».

Chi sono i suoi clienti

I committenti, tra il 2002 e il 2012, sono stati numerosi. I colossi italiani Eni (che nega ogni coinvolgimento) e Saipem. E poi Halliburton (multinazionale dell'estrazione del petrolio che opera in 120 Paesi, quella in cui lavorava l'ex vice presidente Dick Cheney), Rolls-Royce, FMC Tecnologies, Cameron e Weatherford; poi le aziende tedesche MAN Turbo e Siemens; l’olandese SMB e il gigante indiano Larsen & Toubro. E poi ancora Samsung, Hyundai e le inglesi Petrofac, ABB e Elliot.

Chi sono i corrotti

Dall'altro lato del tavolo, cioè tra quelli che hanno incassato milioni in cambio di concessioni e snellimenti nelle autorizzazioni legate all'estrazione e all'esportazione di petrolio e gas, erano seduti in molti. Due ministri del petrolio iracheni, un faccendiere legato al dittatore siriano Bashar al-Assad, alcuni funzionari anziani del regime libico di Gheddafi, esponenti dell’industria petrolifera iraniana, funzionari degli Emirati Arabi e un trader del Kuwait conosciuto come The big Cheese.

Una sofisticata rete mondiale

Non tutti i clienti che si rivolgevano a Unaoil erano consapevoli della gigantesca rete di tangenti alla quale si stavano affidando (nel 2007 l'agenzia che fa certificazioni anti corruzione Trace International l'avevano promossa). La famiglia Ahsani, poi, poteva fare affidamento su una serie di istituti bancari londinesi che hanno aiutato la Unaoil a riciclare questo fiume di soldi attraverso una società immobiliare legata all'agenzia monegasca. Gli Ahsani riuscivano ad avvicinare esponenti delle famiglie reali, eludendo i controlli delle agenzie anti corruzione, e manovrando una rete segreta di faccendieri e mediatori.

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Come funziona

I paesi ricchi di petrolio hanno spesso governi mediocri e alti livelli di corruzione. Il metodo Unaoil è quello di giocare sulle paure delle grandi compagnie occidentali che credono di non poter raggiungere contratti validi senza l'intercessione degli Ahsani. A quel punto, gli agenti di Unaoil corrompono i funzionari delle nazioni produttrici per aiutare questi clienti ad ottenere progetti finanziati dal governo. I funzionari corrotti possono truccare un bando di gara, far trapelare informazioni interne oppure assicurare un contratto senza una gara d’appalto pubblica.

La corruzione dentro l'Eni

I documenti trapelati denunciano la corruzione all’interno del colosso italiano Eni, che gestisce le procedure di gara per gli appaltatori che operano sul vasto giacimento di Zubair, in Iraq, uno dei più grandi del mondo, che gli italiani gestiscono con gli americani, coreani e iracheni. Ma l'Ente nazionale idrocarburi si tira fuori e, che se corruzione c'è stata, è attribuibile a singoli impiegati: "Il comportamento attribuito ad alcuni dipendenti Eni è a danno della compagnia, così come in diretto e chiaro conflitto con il codice etico di Eni che ogni dipendente è obbligato a rispettare integralmente. Non intendiamo commentare né sui nomi dei dipendenti indicati, né sull'esito di possibili indagini interne".

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