Una guerra nucleare per l’Ucraina è ancora possibile? Può un uomo da solo provocare una guerra termonucleare? Questa era ed è ancora una delle domande che molti si pongono, specialmente alla luce delle presunte condizioni fisiche e mentali del presidente Putin. Ma ci sono vari motivi per i quali questa ipotesi va considerata remota. Intanto in Russia vige un ordine esecutivo, il numero 335 del 2020, sulla base del quale il presidente può dare l’ordine di lanciare un missile nucleare solo al compiersi di determinate condizioni di attacco contro la Russia o i suoi alleati. Si tratta di un piano di deterrenza di natura puramente difensiva. Nel protocollo 335 si legge: “La Federazione Russa si riserva il diritto di usare armi termonucleari in risposta all’utilizzo del nucleare e di altri tipi di armi di distruzione di massa contro di essa e/o dei suoi alleati così come nel caso di aggressione contro la Federazione Russa con l’utilizzo di armi convenzionali quando la stessa esistenza dello stato è in pericolo”.
Come verrebbe dato l’ordine di un attacco termonucleare? Non si tratta, come si vede nei film, di pigiare un semplice pulsante rosso sulla scrivania di una sola persona che fa partire il missile con testate nucleari, ma di un sistema di comunicazione chiamato Kavkaz (Caucaso), che trasmette l’ordine ad una rete costituita dalle altre due persone al comando delle Forze Strategiche Nucleari: il Ministro della difesa e il Capo di stato maggiore della Difesa. Quindi un sistema, in vigore fin dal 1985 con il presidente Gorbachev, che prevede la conferma dell’ordine da parte di ben tre elementi. Il presidente avvierebbe la procedura attraverso un apparecchio (la valigetta Cheget) che viene consegnato ad ogni nuovo presidente della federazione durante una cerimonia. Ma la stessa valigetta è nelle mani anche degli altri due decisori.
In caso di attacco nucleare cosa avverrebbe? Una esplosione nucleare ha essenzialmente due tipologie di effetti: quelli diretti e quelli indiretti. I primi sono l’irraggiamento termico e il danno da onda d’urto, il secondo le radiazioni elettromagnetiche e quelle ionizzanti. Semplificando al massimo, si può dire che mentre i danni come l’irraggiamento termico e quelli dovuti all’onda d’urto possono essere paragonati a quelli degli ordigni convenzionali ma con molta più potenza, ciò che fa la differenza oltre alla maggiore distruzione sono in particolare le radiazioni. Queste saranno presenti sia nell’area dell’esplosione che molto distanti da questa. Infatti l’esplosione causerebbe la formazione del “fungo atomico” costituito da materiale divenuto radioattivo e sollevato fino a decine di chilometri nell’aria. Dette sostanze ricadrebbero poi sul terreno fino anche a centinaia di chilometri (fall out) per diversi fattori tra i quali le condizioni meteorologiche ed in particolare la pressione atmosferica e la forza e la direzione dei venti che spirano nelle ore ma anche nei giorni successivi all’evento. Il materiale radioattivo potrebbe pertanto ricadere in assenza di vento solo per qualche chilometro nei pressi dell’area interessata dall’evento oppure, in presenza di venti persistenti a tutte le quote, anche a centinaia di chilometri in zone, come detto, non preventivabili con esattezza e sicurezza.
Pertanto in caso di evento nucleare, la contaminazione potrebbe coinvolgere sia l’Europa occidentale che quella orientale, sia l’Artico che l’Oceano indiano. Molto dipenderebbe naturalmente dalla potenza dell’ordigno nucleare e dall’altezza di detonazione. Inutile dire che più potente è l’arma termonucleare più l’effetto sarà devastante intorno al punto di impatto (per qualche chilometro fino a decine di chilometri), mentre la contaminazione, sempre presente nella zona dell’esplosione, sarà più o meno intensa a seconda dell’altezza di scoppio anche fino a centinaia di chilometri.
Ci sono anche armi termonucleari che uccidono senza distruggere e altre che distruggono senza uccidere. Una esplosione sulla superficie o vicino alla superficie produce il massimo della distruzione e della contaminazione radioattiva, una sotto la superficie il massimo della distruzione locale, una in aria nessun danno fisico alle infrastrutture e nullo alle persone ma il massimo danno ai dispositivi elettronici. Queste ultime bombe, conosciute come Bombe E (E-Bomb: bombe elettroniche) producono quando esplodono un intensissimo impulso elettromagnetico, il cosiddetto EMP (Electro Magnetic Pulse), che distruggono i componenti elettronici non schermati e bloccano in pratica ogni attività di comunicazione. Se poi l’obiettivo è fermare il nemico neutralizzandone la componente umana ma salvaguardando le infrastrutture, negli arsenali di alcune potenze nucleari sono presenti le “bombe al neutrone”, conosciute come Bombe N. Queste armi di distruzione di massa sarebbero fatte esplodere in aria a pochi chilometri di altezza e analogamente alle Bombe E non causerebbero danni materiali alle cose e neanche la ricaduta radioattiva, ma mentre le E-Bomb come visto causano extracorrenti e picchi di tensione che mettono fuori uso gli apparati elettrici o elettronici, gli ordigni termonucleari di tipo N liberano neutroni che riescono a penetrare nella materia con facilità senza distruggerla, causando contestualmente danni irreversibili al DNA divenendo quindi letali per la vita organica. Facendo quindi esplodere una Bomba N in aria a due chilometri sopra una unità corazzata nemica, si ottiene il macabro risultato di vedere i carri armati intonsi ma tutti gli equipaggi morti.
Un incidente nucleare è possibile? Durante il conflitto si è paventata anche la possibilità di un incidente nucleare a una delle centrali presenti in Ucraina. Ma un disastro come quello di Chernobyl risulta statisticamente poco probabile. In Ucraina ci sono quattro centrali, due all’ovest e due al sud, compresa Zaporizhzhya che è la più grande d’Europa e che ha vissuto momenti tragici con l’attacco russo dei primi giorni del conflitto finito fortunatamente senza conseguenze. Tra l’altro proprio questa centrale continua ad essere nel mirino dei russi in quanto in futuro assicurerebbe l’energia elettrica nelle vaste aree occupate nel sud dell’Ucraina.
Per semplificare al massimo, il pericolo vero è che durante dei combattimenti un ordigno, ad esempio un missile, possa colpire una piscina di raffreddamento del combustibile nucleare che consente di sfruttare per fini civili la reazione nucleare in quanto la “flemmatizza e controlla”. Se detta azione dovesse venire in qualche maniera interrotta, si avrebbe appunto una reazione incontrollata, evento che potrebbe causare un disastro simile a quello di Chernobyl. La ricaduta di polveri radioattive, in analogia a quanto si verificherebbe in caso di esplosione di un ordigno nucleare, avverrebbe in aree non prevedibili. Ecco perché si ritiene questa eventualità molto remota sia perché risulta veramente improbabile la fuoriuscita di materiale radioattivo sia perché sarebbe da folli provocare deliberatamente una situazione del genere che potrebbe coinvolgere anche il proprio territorio e la propria popolazione. Non c’è quindi un rischio nullo ma per ridurlo al minimo risulta comunque necessario che i combattimenti non avvengano nelle vicinanze delle centrali.
La spada di Damocle del termonucleare
Molti si sono più volte posti la domanda se lo scenario di una “guerra atomica” è plausibile. La risposta da dare è che un confronto con l’impiego di armi termonucleari tra russi e statunitensi a causa del conflitto in Ucraina non è al momento ipotizzabile, neanche se queste fossero tattiche: non converrebbe a nessuno. Sarebbe da folli. A nessuno, specialmente a chi sta attraversando solo momenti di difficoltà tattiche, conviene aprire scenari di guerra termonucleare. Peraltro in pochissimi avevano ipotizzato l’attacco russo all’Ucraina, quindi anche in questo caso un contesto del genere non si può completamente escludere.
Le dichiarazioni di Putin e del ministro degli esteri Lavrov ma anche di Zelensky volte a mettere in allarme il mondo su un possibile olocausto nucleare vanno pertanto verosimilmente prese con le molle considerandole strumenti essenzialmente mediatici volti a mettere pressione all’opinione pubblica occidentale. Quando Putin a inizio ostilità affermava di aver messo in allarme le proprie basi missilistiche diceva una mezza verità: le basi che ospitano testate atomiche sono sempre in allerta, anche in tempo di pace, per evitare sorprese strategiche. Un missile ipersonico nemico impiega pochissimi minuti a raggiungere gli obiettivi posti anche a centinaia di chilometri e pertanto non è possibile non tenere sempre in allerta le proprie basi.
Nessuno vorrebbe lo scoppio di una guerra mondiale poiché sarebbe probabilmente l'ultima, specialmente perché aumenterebbe esponenzialmente la probabilità di uso delle armi termonucleari. Non siamo attualmente in una situazione tale da ipotizzare l’allargamento del conflitto. L’importante è che i contendenti non smettano di dialogare per cercare una ragionevole via di uscita.