video suggerito
video suggerito

“Un padre amorevole”, ma dopo la morte i figli scoprono un oscuro segreto

Una doppia esistenza, doppio nome, doppio passato. Una storia che comincia nel 1958 in Nebraska, dove l’allora William Leslie Arnold veniva condannato al carcere a vita per l’uccisione dei suoi genitori, e finisce in Australia, nel 2022, dove la famiglia del defunto John Vincent Damon viene a conoscenza dell’oscuro passato dell’uomo.
128 CONDIVISIONI
Foto segnaletica di William Leslie Arnold. US Marshals Service
Foto segnaletica di William Leslie Arnold. US Marshals Service

Si chiamava John Vincent Damon. O almeno, questo recita la lapide posta al Tamborine Mountain Cemetery, nel Queensland, stato dell’Australia nord-orientale. Data del decesso, il 6 agosto 2010, all’età di 69 anni. Questo è il nome con cui viene ricordato dalla moglie, dai figli, dai vicini: “un buon padre, ha sempre provveduto ai bisogni dei familiari”.

Eppure, John Vincent Damon nascondeva un oscuro segreto, legato alla vita passata che era riuscito a lasciarsi alle spalle per tutti quegli anni. La vita di una persona diversa, a partire da un nome diverso: la vita di un assassino e fuggitivo.

William Leslie Arnold, così si chiamava il giovane di Omaha, città del Nebraska vicino al confine con l’Iowa, aveva sedici anni la notte in cui uccise i suoi genitori, al culmine di una lite. Pare non lo volessero mandare al cinema con la fidanzata, che non approvavano: il giovane tirò fuori allora una pistola e fece fuoco. Subito dopo, prese la macchina e si recò al drive-in con la sua ragazza. Ad amici e familiari avrebbe detto che i genitori erano partiti per un viaggio.

Tornato a casa, quella sera, seppellì i corpi nel giardino sul retro della casa. Questa fase di apparente quiete durò un paio di settimane, fino a quando, incalzato, il giovane confessò il duplice omicidio, indicando ai poliziotti il luogo in cui aveva nascosto i cadaveri dei familiari. Era il 1958, e William Leslie Arnold, a soli 16 anni, veniva condannato al carcere a vita.

William Leslie Arnold indica il punto in cui sono seppelliti i genitori. Archivio di Omaha World-Herald
William Leslie Arnold indica il punto in cui sono seppelliti i genitori. Archivio di Omaha World-Herald

Ma la sua storia non finisce dentro le quattro mura della prigione, come tutti si sarebbero aspettati. Ancora giovanissimo, a soli 25 anni e dopo nemmeno dieci anni di reclusione, Arnold evade dal carcere insieme a un compagno di cella. La fuga, che sembra tratta dalla sceneggiatura di un film, è rocambolesca: i due, infatti, riescono a comunicare con un ex detenuto attraverso annunci pubblicati sui giornali locali. Il complice riesce infine a far arrivare dentro al carcere una lametta e delle maschere, per confondere i secondini nel momento della conta dei detenuti. Una sera del 1967, dopo aver segato le sbarre della loro cella, i due riescono ad arrivare al muro di cinta, alto quasi 4 metri. Lo scalano, usando delle magliette per proteggersi dal filo spinato che ne tratteggia l’estremità. E una volta fuori, spariscono nel nulla.

Secondo quanto riportato dal giornale locale del tempo, ci fu un immenso dispiegamento di forze, aeree e terrestri, pattuglie e posti di blocco, in almeno quattro stati diversi, ma dei fuggitivi nemmeno l’ombra.

Secondo la ricostruzione fatta anni dopo da Geoff Britton, capo dell’Office of Law Enforcement Support (California) che indagò sul caso tra il 2004 e il 2013, i giovani arrivarono a Omaha, presero un autobus verso Chicago e là si separarono.

Il complice, James Harding, venne preso dopo nemmeno un anno dall’evasione, mentre la latitanza di Arnold continuerà altri 44 anni. A nulla valsero i tentativi di Britton, ormai ossessionato dal caso, di tracciare gli spostamenti del fuggitivo: secondo alcune voci sarebbe giunto addirittura in Sud America (circostanza tuttora mai verificata, né smentita).

Nel frattempo, grazie al lavoro di un giornalista del luogo, Henry J. Cordes, che si occupò approfonditamente della vicenda, cominciarono a emergere nuovi particolari che permisero di tracciare un ritratto più sfaccettato di Arnold: il giovane risultava essere un ottimo studente, con un rapporto complicato con i suoi genitori. Era inoltre un eccellente musicista, tanto che anche in carcere aveva passato la maggior parte del suo tempo nella stanza dedicata alla musica.

Le indagini, nonostante i continui tentativi di Britton, rimasero bloccate per decenni, fino al 2020, quando Matthew Westover, sceriffo in Nebraska, ereditò il fascicolo del caso da un collega prossimo alla pensione. Sempre più incuriosito, Westover capì ben presto che trovare Arnold sarebbe diventata la sua fissazione, una sorta di sfida personale.

La svolta nel 2022, quando allo sceriffo arriva il messaggio che il server per trovare le parentele sulla base del DNA ha rilevato un match, una connessione. Westover, infatti, un paio di anni prima aveva caricato sul sito il DNA del fratello di Arnold, fuori casa quella lontana sera dell’omicidio dei genitori. Il DNA associato è talmente simile che deve necessariamente trattarsi un parente prossimo di Arnold. E proviene dall’Australia.

I due cominciano a parlare: dall’altra parte dello schermo, all’altro capo del mondo, si trova il figlio di Arnold (per lui, John Vincent Damon) che, dopo la morte del padre, vuole scoprire qualcosa in più sul suo passato. Sa solo che il padre era un orfano di Chicago.

Westover si prende quindi l’incarico di dirgli la dura verità: dopo essersi assicurato che il suo interlocutore non sia solo nel ricevere la notizia, gli confessa il passato oscuro del padre. “Era un orfano, su questo non ha mentito, ma perché aveva ucciso lui i suoi genitori”, comincia.

Eppure, questa storia dimostra come ci sia sempre un livello di complessità che non può essere ignorato che spinge anche un lettore o una lettrice esterna a guardare il tutto sotto una prospettiva diversa: Arnold era sì colpevole di aver ucciso i suoi genitori all’età di 16 anni, ma allo stesso tempo, per il resto della sua vita, era riuscito ad essere un uomo, marito e padre modello, come dimostrano la reazione e le parole del figlio. “Non mi pento di aver fatto il test del DNA, sono felice di sapere finalmente la verità su mio padre. Per quanto sia scioccante sapere che ha compiuto un tale crimine, però, la sua eredità è molto più di questo: vorrei venisse ricordato come un padre eccellente, che mi ha passato la passione per la musica e ha fatto di me quello che sono oggi”.

Gli stessi agenti che avevano fatto della ricerca di Arnold il loro obiettivo, alla fine si sono trovati ad ammettere di essere quasi sollevati dal fatto che fosse morto, perché dopo aver visto la bella famiglia che si era costruito in Australia, sarebbe stato un peccato portarlo via. Conclude Britton: “Penso che alla fine sia diventato il padre che voleva essere, o quello che avrebbe sempre voluto per sé”.

128 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views