Un bimbo dorme in valigia, il simbolo degli innocenti in fuga da Ghouta Est e da Afrin
In Siria, quello che doveva essere un mese di tregua si è rivelato invece il più mortifero di sempre. E i civili della Ghouta orientale e di Afrin, la città del nord-ovest sotto attacco dell’esercito turco, stanno fuggendo in massa. Famiglie con figli piccoli, malati e anziani trasportati in carrozzina o in una carriola, cercano di mettersi in salvo dai combattimenti. Secondo le Nazioni Unite, solo nella Ghouta orientale 40.000 civili, stremati dalla fame e sopravvissuti ad un mese di continui bombardamenti, hanno abbandonato quel che resta delle loro case.
Una fiumana interminabile si dirige verso i varchi aperti dall'esercito siriano che ormai controlla oltre la metà dell’enclave ribelle a pochi chilometri da Damasco. Portano con sé lo stretto necessario, i ricordi di una vita racchiusi in una busta di plastica; ad attenderli un futuro incerto da sfollati. E c’è anche chi nel proprio bagaglio ha messo il suo bene più prezioso, il figlio piccolo. L’immagine di un bambino assonnato dentro una valigia di cuoio portata dal padre è il simbolo dell’esodo della popolazione della Ghouta.
Se migliaia di persone stanno scappando, altrettante rimangono ancora intrappolate a Douma e nelle altre città bersaglio dei raid incessanti dell’aviazione siriana. Solo nella giornata di ieri, sono state 81 le vittime tra i civili. Il saldo più pesante a Kafr Batna dove hanno perso la vita più di 60 persone.
E pesanti bombardamenti sulle città controllate dagli insorti sono in corso anche oggi e già si registrano le prime vittime. Dal 18 febbraio, l’offensiva dell’esercito di Assad ha provocato oltre 1.300 morti, tra cui centinaia di donne e bambini. I medici locali riferiscono che, a causa della mancanza di farmaci e medicine, sono costretti ad assistere impotenti alla morte dei feriti. “Una delle scene più brutali di distruzione totale che ho visto da quando sono presidente dell'Icrc”, ha scritto Peter Maurer, il presidente della Croce rossa internazionale, dopo aver visitato la Ghouta orientale.
Ma i combattimenti non hanno risparmiato neppure Afrin, la città dell’enclave curda nel nord-ovest della Siria, sotto attacco della Turchia e delle milizie dell’Esercito libero siriano (Fsa). Ieri i bombardamenti hanno provocato decine di morti e feriti. Fonti locali hanno affermato che anche l’unico ospedale di Afrin è stato colpito con tre missili e sarebbero almeno 15 le vittime. Da parte sua, l’esercito turco si è affrettato a negare l’attacco.
Di fronte all'imminente assalto delle truppe di Erdogan, anche da Afrin migliaia di persone stanno scappando verso Aleppo e nelle zone controllate dall'esercito siriano. Per la Turchia, gli abitanti sono “ostaggi” delle milizie curde dell'Ypg (le Unità di protezione popolare) che starebbero impedendo ai civili di lasciare la città. Una circostanza confermata anche dalle Nazioni Unite “Abbiamo ricevuto rapporti secondo cui solo i civili che hanno contatti all'interno dell'autorità curda o delle forze armate curde sono in grado di andarsene”, ha dichiarato la portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). Per attraversare i posti di blocco dei militari siriani – continua la nota dell'Unhcr – i civili sarebbero costretti a pagare delle somme di denaro.
La guerra in Siria è entrata nell'ottavo anno: oltre 500.000 persone hanno perso la vita, milioni i rifugiati e gli sfollati. Una carneficina a cui il mondo ha assistito impotente e che, nonostante i timidi negoziati di pace, sembra destinata a non concludersi presto. Sul piano diplomatico, i ministri degli esteri di Iran, Turchia e Russia si sono incontrati ieri ad Astana, la capitale del Kazakistan, per discutere della creazione delle cosiddette “zone di de-escalation” del conflitto (zone sicure già previste negli accordi precedenti ma mai rispettate) e della situazione umanitaria. Nel frattempo, i siriani continuano a morire e per quelli che riescono a salvarsi dalle bombe, li aspetta una vita da sfollati.