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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Un anno fa l’attacco del 7 ottobre: da Gaza al Libano, com’è cambiato il conflitto in Medio Oriente

Sono passati 365 giorni dal 7 ottobre, da quando Hamas ha lanciato un massiccio attacco contro Israele, uccidendo circa 1200 persone e rapendo oltre 200 ostaggi. Fanpage.it ha intervistato Francesco Petronella, giornalista e analista ISPI, per analizzare il modo in cui si è evoluto il conflitto e capire come è cambiato il Medio Oriente: “La questione israelo-palestinese è sempre stata lì, aspettava solo che ce ne occupassimo”.
Intervista a Francesco Petronella
Giornalista e analista ISPI, esperto di Medio Oriente.
A cura di Eleonora Panseri
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Sono passati esattamente 365 giorni dal 7 ottobre, da quando più di mille miliziani di Hamas hanno lanciato un massiccio attacco contro Israele, uccidendo circa 1200 persone, tra civili e militari, rapendo oltre 200 ostaggi, e scatenando un conflitto che in un anno si è trasformato in una guerra regionale, coinvolgendo altri attori in Medio Oriente.

"Quella che all'inizio sembrava una crisi a livello locale, tra Israele e Hamas nella striscia di Gaza, si è trasformata in una crisi regionale, se non in modo ufficiale, almeno di fatto. In queste ore stiamo assistendo a una tensione palpabile e uno scontro tra i due principali attori della regione che sono Israele e Iran", ha spiegato a Fanpage.it Francesco Petronella, giornalista e analista dell'ISPI, esperto di Medio Oriente.

"Anche subito dopo il 7 ottobre ci si chiese quale fosse il ruolo dell'Iran nell'attacco di Hamas contro Israele e quale sarebbe stato il suo coinvolgimento. – prosegue – Nel corso dell'anno inizialmente la tendenza era stata quella dello scontro a distanza, nel senso che l'Iran non ha colpito direttamente Israele e viceversa, fino a un certo punto, ma hanno agito i cosiddetti ‘agenti' dell'Iran in Medio Oriente".

Chi sono questi ‘agenti' e come si è passati allo scontro diretto?

Primo fra tutti, il partito libanese Hezbollah. Ma non solo: anche gli Houthi dello Yemen, di cui abbiamo sentito parlare molto, soprattutto a partire da gennaio; così come alcune milizie in Siria e in Iraq. Perché l'Iran in questi anni ha costruito appositamente una rete di gruppi nella regione da utilizzare come schermo e come dispositivo per circondare Israele.

All'inizio hanno agito questi gruppi, poi si è arrivati allo scontro diretto. Non solo ora, ma anche ad aprile di quest'anno. Quando Israele aveva bombardato l'ambasciata iraniana a Damasco, l'Iran aveva risposto colpendo con droni Israele, il quale aveva reagito ancora prendendo di mira degli obiettivi militari vicino Isfahan. A quel punto l'Iran aveva ‘passato la mano' e aveva detto che la partita era chiusa. Questa volta però la situazione è cambiata tantissimo.

Perché è cambiata?

Per tutto quello che è successo nel mese di settembre. Con le esplosioni dei cercapersone e delle ricetrasmittenti prima, poi con l'intensificarsi della campagna aerea in Libano, e ancora con l'uccisione di Hassan Nasrallah lo scenario è completamente cambiato. Perché Nasrallah, capo di Hezbollah da più di 30 anni, era la chiave di volta di tutto questo insieme di milizie, gruppi e partiti legati all'Iran, il cosiddetto "Asse della resistenza".

Venuto giù lui, è chiaro che ora c'è un momento di difficoltà in cui tanti equilibri sono andati a incrinarsi. Lo scenario adesso è completamente nuovo e imprevedibile, siamo davvero in un momento in cui potrebbe succedere di tutto, visto che stiamo aspettando che Israele risponda all'attacco che ha subito martedì 1 ottobre.

Potrebbe farlo anche in modi estremamente duri, colpendo le infrastrutture petrolifere o, peggio ancora, quelle nucleari. Sarebbe lo scenario peggiore perché, in questo caso, l'Iran difficilmente passerebbe la mano.

È molto difficile far capire che tutto questo è anche un gioco di ruoli. I governi dei Paesi coinvolti hanno un'opinione pubblica a cui rispondere, non possono perdere la faccia di fronte a un'offesa subita. Ma, allo stesso tempo, cercano di rispondere in maniera abbastanza circoscritta, in modo da non far precipitare la situazione. Ed è successo sia ad aprile che a ottobre.

Su quali presupposti nessuno si aspettava che il conflitto si allargasse così? Quanto questa situazione non era prevedibile?

C'è un tema di politica internazionale molto dibattuto, quello delle ‘linee rosse'. Limiti simbolici, oltrepassati i quali si scatena una reazione o una sanzione. Non è detto che questi vengano superati, ma nella mente di chi osserva il Medio Oriente da tanto tempo ci sono dei punti di riferimento. E molti erano convinti che si sarebbe rimasti, come dicevo all'inizio, nella logica dello scontro a distanza perché sono cose che succedono da un sacco di tempo.

Israele però ha sostanzialmente fatto una grande scommessa aprendo il fronte con il Libano e avviando anche la campagna contro i vari leader, con l'uccisione di Nasrallah e prima del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh. Ha rotto gli schemi, per questo la situazione era prevedibile, ma solo fino a un certo punto.

E perché sono stati rotti questi schemi? Tutto era iniziato come una ‘difesa' dopo il 7 ottobre, ora però si è andati ben oltre.

Il punto è che c'è una riconfigurazione generale dell'assetto del Medio Oriente. Nei decenni passati c'era un garante dell'ordine nella regione, basato sul concetto della deterrenza, data dalla forza militare. Quel garante erano gli Stati Uniti. Che, tuttavia, circa 10 anni fa, hanno cercato di subappaltare questo ruolo perché hanno capito, dopo l'Iraq e l'Afghanistan, che ci avrebbero solo rimesso.

A chi l'hanno subappaltato? A Israele, tramite i famosi accordi di Abramo. Che sono, sì, delle normalizzazioni diplomatiche: Israele così ha instaurato rapporti con Paesi con cui non ne aveva, come gli Emirati Arabi e il Bahrein. Ma è anche un modo per mettere questi Paesi sotto la protezione di Israele in funzione anti iraniana.

Il 7 ottobre dello scorso anno Hamas ha dimostrato la debolezza di Israele che, però, non poteva fare questa figura di fronte ai Paesi che dovevano diventare i suoi nuovi ‘protetti', diciamo così. E quindi ha voluto ripristinare la deterrenza.

Così si è impantanato in un'impresa molto complicata a Gaza (perché la guerriglia urbana non è mai stata il suo forte) e poi ha aperto un altro fronte enorme dando una prova di forza clamorosa, sia dal punto di vista militare che di intelligence. L'attacco che è stato messo a segno in Libano è frutto di una preparazione di almeno 20 anni.

Di Hamas, di Gaza e del cessate il fuoco non si parla più, perché ora l'attenzione è ovviamente rivolta verso un altro fronte. Il problema però rimane.

Gaza è il nodo iniziale ma l'attenzione si è rivolta altrove, anche per una scelta intenzionale. Aprendo il fronte a Nord, con il Libano, Nethanyahu si è tolto un po' di castagne dal fuoco. Non si parla più, per esempio, della questione degli ostaggi. Che a noi può sembrare una nota a margine, mentre per l'opinione interna israeliana è importante: ci sono ancora manifestazioni delle associazioni dei parenti nel Paese.

Ma spostare l'attenzione aiuta e pare che paghi, anche in termine di consenso. I sondaggi danno il Likud, il partito di Netanyahu, in ripresa. Quindi, non è detto che un uomo che era dato per finito, politicamente e anche personalmente, visto che ha anche una serie di beghe giudiziarie da affrontare, alla fine non la spunti.

È ancora possibile trovare una soluzione, come quella dei "Due popoli, due stati"?

Se negli anni '90 c'era l'idea di risolvere politicamente l'intera questione mediorientale, con Netanyahu, durante il suo ventennio, si è affermata l'idea di poter mettere dei "cerotti" per singole questioni dal punto di vista militare. Pensando quindi che si potesse convivere con il conflitto.

La soluzione di Oslo era un accordo difficilissimo da implementare e anche da spiegare perché, per esempio, la Cisgiordania sarebbe stata divisa in zone controllate per metà dai Palestinesi e per metà da Israele. E lasciava l'ANP (l'Autorità Nazionale Palestinese) priva di alcune caratteristiche proprie di uno Stato, come un proprio esercito o la possibilità di poter uscire dal territorio senza l'autorizzazione israeliana.

Dopo tutto quello che è successo, questa soluzione è più morta di prima. Infatti, se ne parlava lo scorso anno, ma in questi mesi non ne sta parlando più nessuno. Ci vorrà molto tempo per arrivare a risolvere la questione. Il 7 ottobre dello scorso anno è stato un brutto risveglio per la questione israelo-palestinese, che riguarda tutto il mondo arabo, e che da tempo era fuori dai riflettori. Ma in realtà era sempre stata lì e aspettava che ce ne occupassimo.

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