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Guerra in Ucraina

“Con Chasiv Yar Putin ha in mano tutto il Donbass”: l’analista militare gela le speranze dell’Ucraina

Comandanti ucraini e analisti concordano: l’ultimo baluardo del fronte orientale sta per cadere. “È solo questione di tempo”. La brutale tattica della terra bruciata, da sempre cara agli eserciti di Mosca, si rivela efficace. E i propagandisti esultano.
A cura di Riccardo Amati
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Chasiv Yar
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Le avanguardie russe sono alle porte. Che non esistono più, come il resto della città. Chasiv Yar è ridotta a un mucchio di macerie. Preziosissime per l’invasore. Che una volta conquistata la roccaforte ucraina potrà dilagare immediatamente in tutto il Donbass non ancora occupato. E poi spostare truppe sui fronti di Kharkiv e Zaporizhzhia. Forse, puntare anche su Odessa. E, perché no, su Kyiv. Il quadro è fosco, dal punto di vista dei difensori. Come non mai in questi oltre due anni di guerra. Lo ammettono francamente loro stessi. E lo constatano gli analisti militari sentiti da Fanpage.it.

L’immagine che illustra in modo orribile quanto efficace il momento che sta vivendo l’Ucraina sotto l’aggressione russa è proprio quella, apocalittica, delle rovine fumanti della città dove si sta aprendo la falla. È il risultato della tattica della “terra bruciata”, da sempre cara agli eserciti di Mosca e dintorni.

La tattica della terra bruciata

Il metodo è stato impiegato fin dall'antichità, da quelle parti. Gli Sciti, che popolavano le odierne regioni della Russia meridionale e dell’Ucraina, lo usarono contro i persiani di Dario il Grande. Nel corso della storia, è stato utilizzato con successo per ostacolare le invasioni, in particolare in Russia contro svedesi, francesi e tedeschi. La tattica è diventata una caratteristica della condotta bellica russa, ed è stata messa in pratica da Mosca anche in modo offensivo. In vari conflitti.

Gli esempi più eclatanti, in Germania durante la seconda guerra mondiale e in Siria negli ultimi anni. Poi, in Ucraina. Nonostante le convenzioni internazionali che proteggono i civili, la tattica della terra bruciata, per i civili esiziale, è stata implementata in modo costante quanto spietato.

“Quel che si è visto a Chasiv Yar è semplicemente il modo prediletto dalle forze armate russe per conquistare una città”, spiega a Fanpage.it l’analista militare Ian Matveev. “È un metodo barbaro e piuttosto laborioso: trasforma una città o un paese in rovine in modo che i difensori non possano più manovrare né mantenere le loro posizioni. Si tratta soprattutto di privare il nemico delle posizioni ai piani superiori delle case”, nota l’esperto russo. “E di evitare di assaltare gli edifici separatamente. Il combattimento casa per casa è rischioso. Facendo terra bruciata, il combattimento a diversi livelli di altezza è ridotto a un livello: quello del suolo. Avendo la supremazia aere e avendo più munizioni, l'esercito russo preferisce demolire le città per poi catturare le rovine”.

E così è successo ad Aleppo in Siria, e a Mariupol, Bakhmut e Avdeevka dopo l’invasione dell’Ucraina. Ora è il turno di Chasiv Yar. La sua valenza strategica è cruciale. La città non c’è più, ma resta la collina su cui sorgeva. Una fortezza naturale protetta da un canale. L’ultimo baluardo. Il suo controllo consentirà ai russi di attaccare ovunque vogliano.

“Quella di Chasiv Yar è una posizione che copre sia Konstantinovka che la strada per Kramatorsk”, dice l’analista Matveev. “L’esercito russo avrà l’opportunità di avanzare in qualsiasi direzione, perché non ci sono altri ostacoli. E ogni attacco potrà essere coperto dal fuoco da parte delle posizioni sulla collina”. Ciò significa che la città rasa al suolo è la chiave per arrivare alle grandi città della regione di Donetsk non ancora in mano a Mosca.

L’ultima roccaforte

Che Chasiv Yar cadrà è ormai una certezza. Lo ha ammesso anche il numero due dell’intelligence militare di Kyiv Vadim Skibitsky in un’intervista con Oliver Carrol dell’Economist. “Non oggi né domani: tutto dipende da quanti rifornimenti riusciremo a inviare in linea. Ma cadrà, come è caduta Avdeevka”. Secondo Skibitsky, la situazione è attualmente la più difficile dai primi giorni dell’invasione.

Il generale ritiene che la Russia darà priorità alla “liberazione” delle regioni orientali di Donetsk e Luhansk. È stata emanata una direttiva russa per catturare quel territorio entro il 9 maggio, sostiene il generale. È il giorno in cui la Russia di Putin celebra la vittoria sul nazismo nella Seconda guerra mondiale, continuamente equiparata dalla surreale propaganda del Cremlino alla “operazione militare speciale” in Ucraina. Se non si farà in tempo — ha detto Skibitsky all’Economist —, l’obiettivo dovrà comunque essere raggiunto prima della visita a Pechino di Putin, prevista a metà maggio. Il successo di questo sforzo determinerà le prossime mosse della Russia. “Il nostro problema è molto semplice: non abbiamo armi. I russi sapevano benissimo che aprile e maggio sarebbero stati mesi critici per noi”.

Se Putin riuscirà nell’intento immediato in Donbass, i suoi comandi potranno spostare le forze su altri fronti. Kharkiv è da molti osservatori indicato come il successivo obiettivo. Ma è critico anche il settore di Zaporizhzhya. Ian Matveev sta monitorando la situazione nella zona di Staromaiorske-Urozhaine, a sud di Velyka Novosilka. “L’aviazione russa bombarda spesso la regione, suggerendo potenziali preparativi per operazioni attive”, secondo l’analista militare.

“I recenti attacchi hanno portato alla cattura di una piccola area da parte delle forze russe, con gli ucraini che mostrano una difesa fiduciosa. Velyka Novosilka, che funge da hub logistico, potrebbe essere un bersaglio”. Metveev ipotizza che le truppe russe possano replicare le manovre ucraine del 2023, spostandosi di villaggio in villaggio verso l’importante autostrada trasversale N15. “Le aspettative sono per un’intensificazione dell’attività russa nell’area nei prossimi mesi”. I tempi per gli ucraini stanno però diventando molto stretti. L’arrivo dei nuovi armamenti americani potrebbe in parte rafforzare la loro difesa. Difficile però, dicono molti osservatori, che possano garantire un riequilibrio delle forze.

Stivali sul terreno

Nel caso di una rotta ucraina, l’invio di truppe Nato sul terreno di nuovo evocato dal presidente francese Emmanuel Macron potrebbe diventare un’ipotesi realistica. Se non altro a protezione di Odessa e della stessa capitale. La cosa potrebbe avere senso se un “cordone” Nato bastasse a  convincere Putin a negoziare per evitare la Terza guerra mondiale. I suoi propagandisti però —in particolare il capo del maggior gruppo editoriale di Stato Dmitry Kiselov — mentre esultano per i recenti successi continuano a ripetere in tivù che l’intervento diretto di Parigi o altri Paesi occidentali porterebbe immediatamente a un conflitto nucleare.

“Penso che Macron non invierà mai la sua Legione straniera”, commetta Ian Matveev. “Non si può prevedere come reagirebbe Putin. L’unico ipotizzabile è un intervento molto limitato intorno a obiettivi particolarmente importanti”. Dal punto di vista strettamente militare, comunque, “l’arrivo di contingenti limitati di truppe straniere, che siano mille o diecimila soldati, sarebbe poco significativo, su un fronte che di soldati in azione ne vede già quasi un milione”. Certo, il significato sarebbe soprattutto politico. Ma la certezza di raggiungere gli obiettivi politici voluti non c’è. E, anche se si è coscienti che la narrativa nucleare del Cremlino è propaganda spicciola, il rischio rimane troppo alto.

E mentre la minaccia atomica torna a risuonare da Mosca, gli Stati Uniti sostengono che la Russia sta utilizzando armi chimiche contro le truppe ucraine: cloropicrina, in particolare. Il Cremlino smentisce con sdegno. Certamente per le sue forze armate si tratta di una sostanza familiare: “La cloropicrina veniva utilizzata nell'esercito sovietico come gas da addestramento per simulare gli attacchi chimici”, ricorda Matveev. “È plausibile che vi siano scorte di quella sostanza nei magazzini militari russi”.

In concentrazioni modeste, la cloropicrina è più un lacrimogeno che un gas letale. “Lanciandone piccole cariche dai droni si potrebbe mettere temporaneamente fuori combattimento un unità nemica”. Sarebbe una violazione grave della Convenzione sulle armi chimiche, di cui la Russia è parte”. Washington deve ora provare le sue accuse.

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