Ucraina, il terrore della guerra dei droni ed i nuovi profughi: “Da soli non ce la facciamo”
L'ultimo mese nei cieli ucraini è stato trafficatissimo. Missili, bombe ma soprattutto i droni dei russi che come sciami piombano tutte le notti su Kiev e le altre grandi città del paese. Dopo 15 mesi di guerra, le notte in bianco tra sirene degli allarmi e bombardamenti, per i cittadini della capitale iniziano ad avere un impatto psicologico devastante. Intanto, mentre Zelensky avvia la controffensiva, la distruzione della diga di Kakhovka ha portato ad una nuova ondata di profughi interni, vittime degli allagamenti e delle inondazioni. Mentre i paesi stranieri preparano miliardi di euro per la ricostruzione del paese, l‘economia ucraina semplicemente non c'è più e la spesa sociale per i profughi di guerra costretti a vivere nei campi delle regioni dell'ovest o in luoghi di accoglienza informale diminuisce costantemente. Così come gli aiuti umanitari internazionali. Vi mostriamo le contraddizioni ed i drammi di un paese che vive sotto occupazione e sotto le bombe da oltre un anno, attraverso le testimonianze di chi è rimasto accanto agli ultimi, quelli che hanno perso casa, lavoro e futuro.
Kiev, il terrore psicologico: "Non si dorme per settimane"
Un drone iraniano costa poche migliaia di euro, infinitamente meno di un missile a lunga gittata. La controaerea riesce più facilmente ad abbatterlo una volta individuato. Ma cosa succede se insieme a tanti droni che tengono occupati i missile anti-missile arrivano anche i bombardamenti con le armi convenzionali? E' lo scenario delle notti di guerra su Kiev, con gli allarmi antiaerei che arrivano puntali tre intorno alle 2 di notte ora locale, per terminare solo dopo l'alba. Nonostante l'efficacia della controaerea i missili arrivano non di rado a bersaglio, colpendo palazzi civili, strutture senza alcun valore militare o strategico. A guardarla dal balcone la guerra dei droni somiglia ad uno schermo di un videogioco. Quello che ti riporta brutalmente alla realtà è il suono. Il rumore delle esplosioni che ti fa precipitare giù per le scale fino al rifugio antiaereo. Sotto gli attacchi quasi 3 milioni di persone nella sola capitale. "La mia famiglia non dorme da 3 settimane – ci spiega Jura Lifanse, responsabile della Comunità di S.Egidio in Ucraina – gli allarmi sono continui, si prova a stare nei posti più sicuri ma la situazione è difficile. Bombardano di notte se un missile colpisce un palazzo muoiono subito le persone. E' il terrore, un terrore che non ha fini militari perché bombardano palazzi, ma la gente è terrorizzata e spesso cede. Una mia amica ha detto basta, ha deciso di dormire. Ha chiuso porte e finestre, staccato internet, messo il materasso in corridoio ed ha dormito. Non si può sopravvivere stando sempre in tensione, per questo in molti negli ultimi periodi ignorano gli allarmi". Solo lo scorso 31 maggio sulla capitale ucraina sono stati abbattuti 32 droni di fabbricazione iraniana, in quella giornata i russi hanno operato 64 rai aerei sul paese, lanciando 88 razzi con sistema a lancio multiplo. Per Kiev è stato uno dei giorni più pesanti, con due bombardamenti in pieno giorno, e uno durato 4 ore durante la notte, il bilancio è stato di 3 morti, sono stati colpiti tre scuole, un asilo, una stazione di polizia ed un palazzo. "Sono uscito per qualche settimana dal paese, ma il rumore degli allarmi lo sentivo nel rumore degli autobus che passavano per Roma. E' un riflesso psicologico" racconta Jura. Lo stato di stress permanente è il dato più allarmante nella capitale, che nonostante tutto prova a continuare a vivere, con i negozi aperti, i dehors dei ristoranti attivi, la metropolitana che funziona perfettamente.
Il disastro della diga di Kakhovka e la nuova ondata di profughi
Al momento i sospetti più forti sulla distruzione della diga di Kakhovka, che ha causato allagamenti di paesi e villaggi, tende sulla mano russa, con l'obiettivo di ostacolare la controffensiva dell'esercito ucraino. Da quel disastro si è generata una nuova ondata di profughi di guerra che si riverseranno nelle regioni dell'Ovest per trovare ospitalità. Nel solo oblast di Leopoli vivono ancora 250 mila sfollati. Un numero enorme. In città esiste un solo campo profughi pubblico, gestito dal municipio che ospita 890 persone. Tutti gli altri trovano luoghi di accoglienza informale. Come quello realizzato nel Politecnico Nazionale di Leopoli, che conta 42 mila iscritti, una delle università più grandi d'Europa. Qui grazie al Rettore ed alcuni professori volontari come Mycola Brych, docente di telecomunicazioni, nelle palestre hanno trovato ospitalità 250 persone. "All'inizio della guerra ce ne erano 700, oggi ce ne sono ancora 300. Abbiamo anche un'altra palestra dove ospitiamo i transitanti, persone che tornano nelle loro città a est provenienti dall'estero, oppure che lasciano l'Ucraina per l'Europa, e possono trovare qui una tappa intermedia per riposare" ci spiega il professore. Lo scenario ha un impatto forte, come l'odore nell'aria. Una distesa di letti, separati l'uno dall'altro solo da teli o plastiche. Su quei letti c'è tutta la vita di intere famiglie: i vestiti, i documenti, i giochi per i bambini. Qui opera Mediterranea Saving Humans con il suo ambulatorio medico mobile, che porta assistenza sanitaria di base a oltre 2000 profughi in città. "Le condizioni di vita sono inaccettabili è una delle situazioni più dure che stiamo affrontando – spiega Denny Castiglione di Mediterranea Saving Humans – le condizioni igieniche sono molto precarie e le persone sono molto vulnerabili dal punto di vista psicologico. Dopo 15 mesi non è accettabile questa situazione, il tessuto sociale dovrebbe aver assorbito queste persone o averli messi in condizione di avere almeno una sistemazione dignitosa. Quando arrivano i nostri team medici c'è la fila, e quando scarichiamo gli aiuti umanitari una volta al mese, troviamo le cambuse semivuote". Le immagini dei profughi nelle palestre del Politecnico di Leopoli compaiono anche nel video ufficiale di "Stefania" della Kalush Orchestra, brano vincitore dell'Eurovision 2022. Quello che colpisce è che le immagini del video girato un anno fa, sono esattamente uguali a quelle che abbiamo visto oggi.
Più soldi per la ricostruzione ma pochi per gli aiuti: "Situazione inaccettabile"
L'anello debole in questo momento è rappresentato proprio dalla spesa sociale per gli sfollati di guerra, persone che hanno perso tutto, ed hanno bisogno di tutto. "L'Ucraina da sola non ce la fa, né militarmente ma nemmeno dal punto di vista umanitario – sottolinea Jura Lifanse – l'economia non esiste più, viviamo con gli aiuti umanitari del mondo. Un missile anti-missile costa 3 milioni di euro e ce ne hanno regalati 700, ma quello che ci pesa oggi sono i chili in meno di aiuti umanitari che riceviamo. L'economia dell'Ucraina non esiste più, non c'è più il lavoro, tanti sono nell'esercito e tanti sono sfollati, noi oggi viviamo con gli aiuti del mondo". Mentre si organizzano convention internazionali per la ricostruzione dell'Ucraina, come quella organizzata a Roma lo scorso aprile con più di mille aziende italiane e ucraine, il paese è ancora sotto le bombe, e soprattutto milioni di persone sono ancora sfollate. Se da un lato il flusso di aiuti militari non si è mai interrotto, se è comprensibile la necessità di immaginare un piano di ricostruzione del paese, quello che sta venendo meno è la spesa sociale qui ed ora. A Leopoli, nonostante gli allarmi notturni che si registrano anche nell'Ovest del paese, lo scenario resta molto diverso dalla capitale. Girando per la città non si possono non notare SUV e macchine di rappresentanza. E' la ricostruzione che già si prepara a mettersi all'opera, con i capitali esteri e l'ombra del debito internazionale sul paese di Zelensky. "Ci sono tantissimi soldi per la ricostruzione di questo paese, è una cosa naturale e comprensibile – sottolinea Castiglione di Mediterranea – ma ci chiediamo come sia possibile che non ci siano ingenti spese per la sistemazione degli sfollati. Basterebbe un sussidio per pagarsi i medicinali o per avere una casa e non dormire nelle palestre o in luoghi di fortuna per così tanti mesi". Una condizione oggettiva che fa i conti con una attenzione internazionale che evidentemente è venuta meno. "Noi siamo passati da una condizione di grande emergenza, un anno fa, ad una condizione stabile ma in condizioni bruttissime" ci dice il responsabile di S.Egidio. Se non ci si prenderà cura di chi è scappato dalle zone occupate, da chi vive in condizione precarie già da oltre un anno, dei bambini che dovranno fare i conti per tutta la vita con i traumi della guerra, si potranno realizzare ponti bellissimi e strade larghissime, ma sarà difficile che ci sarà qualcuno a percorrerli.