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Guerra in Ucraina

Ucraina, cooperante italiano sotto i missili a Kharkiv: “Ho preso lo zaino e sono corso al rifugio”

La testimonianza di Filippo Mancini, responsabile WeWorld in Ucraina, sotto le bombe di Kharkiv: “Ho preso un pantalone e lo zaino e sono sceso nel rifugio. Mi ha colpito trovare ancora 50 famiglie nella metropolitana della città, da 7 mesi continuano a vivere lì sotto perché hanno timore e perché le loro case sono parzialmente distrutte”.
A cura di Ida Artiaco
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Filippo Mancini a Kharkiv (foto di Giovanni Diffidenti).
Filippo Mancini a Kharkiv (foto di Giovanni Diffidenti).
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"Ho preso pantalone e zaino e sono sceso nel rifugio. Non c'è molto tempo per riflettere sul da farsi, bisogna scappare e attendere che l'allarme rientri".

Filippo Mancini, responsabile in Ucraina per l’ong italiana WeWorld, si trovava a Kharkiv quando, nei giorni scorsi, è arrivata la risposta di Vladimir Putin all'attacco di Kiev al ponte di Crimea.

Una pioggia di missili è caduta su una serie di città, tra cui Kharkiv, per l'appunto, ma anche Dnipro, Leopoli e la capitale, Kiev, per un totale di 19 vittime e 105 feriti. A Fanpage.it Filippo ha raccontato la sua esperienza in Ucraina, in particolare degli ultimi giorni.

Kharkiv (foto di Giovanni Diffidenti).
Kharkiv (foto di Giovanni Diffidenti).

Dove si trova adesso?

"In questo momento sono a Leopoli. Sono arrivato ieri da Kharkiv, nell'Est del Paese, dopo essere passati da Kiev, tutto con la macchina".

Da quanto tempo è in Ucraina?

"Mi trovo qui da inizio agosto, quando ho cominciato a lavorare con WeWorld, che ricordo essere un’organizzazione italiana indipendente impegnata da 50 anni a garantire i diritti di donne e bambini in 27 Paesi, compresa l’Italia, in qualità di rappresentate in questo paese. Le attività di WeWorld qui sono cominciate subito dopo l'inizio del conflitto con una valutazione prima nelle varie aree del paese".

Blackout al Kharkiv Regional Children's Clinical Hospital (foto di Giovanni Diffidenti).
Blackout al Kharkiv Regional Children's Clinical Hospital (foto di Giovanni Diffidenti).

Cosa fate concretamente?

"Già ad aprile nella regione di Leopoli abbiamo supportato i rifugiati interni che fuggivano dalle aree ad est del Paese nei vari centri di accoglienza messi a disposizione dall'amministrazione locale. Abbiamo portato sostegno alimentare e di generi di prima necessità in ex studentati, dormitori, scuole. Da maggio è partito anche un programma di assistenza monetaria per 800 famiglie sia al centro di Leopoli che più a Sud e da agosto stiamo lavorando con un progetto finanziato dalla Cooperazione italiana ad Irpin, a Nord di Kiev, una delle aree più colpite dall'avanzata russa a marzo, dove supporteremo 800 famiglie con assistenza economica e kit per l'inverno, con stufe e coperte.

È iniziata anche una valutazione di necessità nel settore scolastico con un progetto in attesa di finanziamento sempre a nord di Irpin dove vorremmo lavorare a sostegno di personale scolastico e studenti fornendo attività di supporto psico-sociale, creando degli youth center, che si affiancano ai Child Friendly Spaces realizzati all’interno dei centri di accoglienza. Sono spazi a misura di bambino e bambina, aree protette dove ricostruire relazioni ed elaborare la propria esperienza in un luogo sicuro".

Coda alla fermata dei bus a Kharkiv (foto di Giovanni Diffidenti).
Coda alla fermata dei bus a Kharkiv (foto di Giovanni Diffidenti).

Come è cambiata la situazione dopo i missili di lunedì?

"Una risposta all'attacco ucraino sul ponte in Crimea era un po' prevedibile, anche se nessuno avrebbe mai immaginato una reazione di questo genere al centro di Kiev. A Leopoli sono state colpite alcune infrastrutture e centrali elettriche che hanno portato al blackout anche delle comunicazioni per l'intera giornata di ieri. È difficile dire come potrà evolvere la situazione nelle prossime settimane e mesi, ma anche noi seguiamo per motivi di sicurezza le notizie che arrivano in queste ore".

C'è un episodio che l'ha colpita e che vuole ricordare?

"Lo scorso fine settimana sono stato in missione a Kharkiv, un'altra area in cui stiamo cercando di intervenire. Mi ha colpito trovare ancora 50 famiglie nella metropolitana della città, da 7 mesi continuano a vivere lì sotto perché hanno timore e perché le loro case sono parzialmente distrutte. È l'unico rifugio che credono sicuro. Sono persone splendide che ci hanno accompagnato nella visita in città, ci hanno offerto un caffè. Anche alcuni bambini si trovano lì. È evidente nei loro volti l'inadeguatezza del posto che abitano in questo momento. Mi ha colpito molto. Così come il fatto di essermi svegliato di soprassalto con dei missili caduti vicino all'albergo in cui eravamo a Kharkiv".

Quale è stato il primo pensiero che ha avuto?

"Ho preso un pantalone e lo zaino e sono sceso nel rifugio. Non c'è molto tempo per riflettere sul da farsi, bisogna scappare e attendere che l'allarme che viene emesso a livello nazionale rientri".

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