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Turchia, confermato l’arresto e ordinata la detenzione del sindaco Imamoglu: “Non mi piegherò mai”

Il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, è stato arrestato con l’accusa di corruzione, scatenando proteste in tutta la Turchia. La risposta del governo è stata ferma, con nuove misure repressive e migliaia di arresti durante le manifestazioni di protesta.
A cura di Francesca Moriero
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Il tribunale di Istanbul ha confermato l'arresto del sindaco Ekrem Imamoglu, leader del Partito Popolare Repubblicano (CHP), accusato di corruzione e favoreggiamento al terrorismo. La sua detenzione, avvenuta martedì scorso, ha suscitato forti reazioni politiche in Turchia, dove Imamoglu è visto come uno dei principali rivali di Erdogan alle prossime elezioni presidenziali. Per questo motivo, l'opposizione accusa il governo di utilizzare il sistema giudiziario per eliminare un avversario politico scomodo, considerando che il leader del CHP è riuscito a sconfiggere più volte i candidati dell'AKP, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, sotto Erdogan, anche nelle storiche elezioni di Istanbul, città simbolo del potere del presidente.

Il sindaco ha definito le accuse contro di lui come "immorali e infondate", sostenendo che si tratterebbe di un tentativo di fermare il suo impegno per un cambiamento democratico in Turchia; per lui, la detenzione non sarebbe altro che una mossa politica finalizzata a indebolire l'opposizione in vista delle elezioni del 2028, per le quali Imamoglu si è già dichiarato candidato alla presidenza. In questo contesto, la sua figura è diventata un simbolo di speranza per molti turchi, che vedono in lui un punto di riferimento per un futuro più giusto dal punto di vista sociale e politico.

Le proteste e la repressione

Le proteste contro l'arresto del sindaco Ekrem Imamoglu sono esplose con forza in tutta la Turchia, a partire da Istanbul, dove i manifestanti si sono radunati in cortei e sit-in nelle piazze, esprimendo il loro dissenso. La risposta delle forze dell'ordine è stata altrettanto rapida e decisa: per contenere i manifestanti, sono stati impiegati gas lacrimogeni e altre misure di dispersione, che hanno portato a un elevato numero di arresti. Secondo quanto dichiarato dal ministro dell'Interno turco, Ali Yerlikaya, ben 323 persone sono state arrestate durante le proteste a Istanbul nella notte appena trascorsa. La repressione non si è limitata alla metropoli turca: il giorno precedente, in altre città come Ankara e Smirne, la polizia aveva già arrestato 343 persone. Non solo le strade, ma anche le autorità locali hanno reagito con durezza: la prefettura di Istanbul ha emesso un comunicato che vieta l'ingresso e l’uscita dalla città a gruppi e veicoli che potrebbero essere coinvolti in manifestazioni considerate illegali; è stato poi imposto un divieto alle manifestazioni politiche fino al 27 marzo, con il governo che ha chiaramente fatto sapere di non tollerare alcuna iniziativa in grado di mettere a rischio l’ordine pubblico.

Ad alimentare la tensione, anche l'inasprirsi delle proteste all’interno delle università: gli studenti della Middle East Technical University (ODTÜ) di Ankara si sono uniti ai cortei contro l'arresto di Imamoglu, mentre in altre università sono aumentati i segnali di dissenso nei confronti del governo e della sua repressione. In risposta, il governo ha intensificato la censura online, bloccando numerosi account su piattaforme come X (ex Twitter), cercando così di limitare la diffusione delle proteste e di ostacolare la mobilitazione dei manifestanti sul web.

Il presidente Erdogan ha reagito duramente alle manifestazioni, accusando il CHP di cercare di seminare il caos in Turchia: secondo il presidente turco, le proteste organizzate dalle opposizioni starebbero cercando di minare la stabilità del Paese e di minacciare le forze dell'ordine. In un discorso trasmesso dalla TV di Stato, il presidente ha affermato che la situazione è sotto controllo e ha avvertito che il governo non permetterà "minacce alla pace e alla sicurezza della nostra nazione".

Il contesto sociale ed economico

Oltre alla repressione delle proteste politiche, il Paese sta attraversando una crisi sociale ed economica che ha alimentato il malcontento tra la popolazione: con un tasso di disoccupazione giovanile che ha raggiunto il 16% e una crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni, i giovani turchi sono sempre più pronti a sfidare il regime di Erdogan, non solo nelle piazze ma anche sui social, nonostante la censura imposta dal governo. In questo contesto, le manifestazioni hanno così anche messo in luce la frustrazione sociale che caratterizza il Paese, dove si teme che il cambiamento democratico promesso da Imamoglu rimanga solo un sogno lontano.

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