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Turchia, 121 ergastoli per il fallito golpe del 15 luglio 2016

Centoventuno condanne all’ergastolo, 86 delle quali con pena aggravata. Sono pesanti le sentenze emesse in Turchia al processo per il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016. Come riporta Anadolu, le sentenze sono state emesse da una corte di Ankara per il reato di “tentata violazione costituzionale”.
A cura di Davide Falcioni
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Centoventuno condanne all'ergastolo, 86 delle quali con pena aggravata. Sono pesanti le sentenze emesse in Turchia al processo per il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016. Come riporta Anadolu, le sentenze sono state emesse da una corte di Ankara per il reato di "tentata violazione costituzionale". Tra i condannati c’è l’ex colonnello Erkan Oktem, che è stato condannato a 9 ergastoli "aggravati" anche per omicidio premeditato. Il processo era considerato uno di quelli di maggior spicco tra i numerosi aperti in questi anni. Decine di migliaia di persone sono state arrestate e circa 150mila epurate dalle pubbliche amministrazioni per sospetti legami coi golpisti.

Tentato golpe in Turchia del 2016: Erdogan accusa Gulen

Era il 15 luglio del 2016 quando parte delle forze armate turche tentarono di organizzare un colpo di stato per rovesciare il presidente Recep Tayyip Erdoğan e prendere il potere nel Paese. Il capo dello stato fin da subito puntò il dito contro il religioso musulmano Fethullah Gulen, ritenuto la mente del colpo di stato e dal 1999 in esilio autoimposto in Pennsylvania; Gulen, dal canto suo, ha sempre negato ogni addebito sostenendo che il tentato golpe fosse in realtà stato orchestrato da Erdogan stesso e rappresentasse  un'operazione false flag per poter legittimare ulteriori restrizioni alle libertà civili e una serie di purghe sulla magistratura e sull'esercito.

Il tentativo di colpo di stato comunque non ebbe successo: circa 250 persone persero la vita ma Erdogan riuscì a conservare il potere dando vita fin da subito a una severissima repressione. Decine di migliaia di persone vennero indagate e arrestate, migliaia di poliziotti, magistrati e alti funzionari dell'esercito licenziati o sospesi dal lavoro perché sospettati di essere molto vicini a Gulen. La "caccia alle streghe" di questi quattro anni è stata talmente massiccia che molti gruppi per la difesa dei diritti umani e alcuni alleati occidentali della Turchia hanno criticato la portata della repressione, affermando che Erdogan avrebbe usato il colpo di stato come pretesto per limitare il dissenso interno. Analisti ed esperti hanno infatti spesso parlato di attacchi mirati contro decine di migliaia fra presunti oppositori, intellettuali, attivisti, personalità in patria e all’estero, militari e giudici, docenti e intellettuali, persone comuni, tutte accomunate da un’unica matrice: l’appartenenza, reale o presunta, alla rete del predicatore islamico turco Fethullah Gulen.

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