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Gli Stati Uniti di Donald Trump sono ormai alleati con il regime russo di Vladimir Putin. La litigata in pubblico nello Studio ovale della Casa Bianca dimostra che Washington ha abbandonato il campo delle democrazie liberali e gli amici degli ultimi 80 anni. La strategia non è chiara. Non sembra portare a quei vantaggi economici che la cosiddetta “politica transazionale” di Trump vuole in teoria perseguire. Le conseguenze per la stabilità e la sicurezza del mondo restano tutte da scoprire. Ma saranno pesanti.
Cambio di campo
Il più chiaro di tutti è stato il deputato democratico Seth Moulton: “Trump ha completamente abbandonato la tradizione americana e repubblicana, tutto ciò su cui il partito si è basato per decenni, solo per sottomettersi a Putin”, ha detto in un'intervista alla Msnbc. Comunque la si voglia pensare sulle origini e sulle responsabilità della guerra in Ucraina, quanto accaduto è un fallimento. Allontana la prospettiva di un negoziato e avvicina quella di una continuazione dei combattimenti fino a quando il Cremlino non abbia raggiunto tutti i suoi obiettivi. Che comprendono — è bene ricordarlo — la costituzione di un governo filo-putiniano a Kyiv, l’interferenza russa sulla legislazione ucraina e la privazione di ogni capacità difensiva in quello che diverrebbe più che uno Stato “cuscinetto” neutrale — come dicono a Mosca — un vassallo privo di reale indipendenza e statualità.
È possibile che il fallimento sia stato cercato dall’amministrazione americana per arrivare alla fine della guerra con la resa di fatto incondizionata dell’Ucraina, come vuole Putin. A Volodymyr Zelensky è stato teso un agguato. Trump e il suo vice JD Vance hanno umiliato e in pratica ricattato il presidente ucraino, ripetendo gli stessi concetti e le stesse parole utilizzate dalla propaganda del Cremlino. Accusandolo di essere l’unico ostacolo alla pace.
Malafede o ignoranza
L’accusa più indicativa della malafede — se non, peggio, dell’ignoranza e dell’incompetenza — dei suoi interlocutori è stata quella di non aver mai ringraziato l’America per il sostegno nei tre anni di guerra. Zelensky ha anche provato a rispondere che la ringrazia eccome. È stato interrotto. Ma non avrebbe avuto bisogno di rispondere. Si era sperticato in ringraziamenti solo poche ore prima, incontrando una delegazione bipartisan del Senato Usa. E non era certo la prima volta. Nel dicembre 2022, davanti a entrambe le camere del Congresso, le sue prime parole furono: "Grazie mille. Grazie mille per questo. Grazie. È troppo per me. Tutto questo per il nostro grande popolo. Grazie mille, cari americani, […] spero che le mie parole di rispetto e gratitudine risuonino in ogni cuore americano”. Come se non bastasse, subito dopo il disastro nello Studio ovale, in un’intervista a Bret Baier di Fox News Zelensky ha ripetutamente ringraziato il popolo americano e la leadership della Casa Bianca per la solida partnership con l’Ucraina, nel tentativo di riparare i rapporti con l’amministrazione Trump.
Rispetto
L’accusa di “mancanza di rispetto” nei confronti di Zelensky è ridicola. Come la domanda di un giornalista americano su perché che si sia presentato in maglietta nell’Ufficio ovale. Si veste così da tre anni. Ovunque. Anche davanti al Papa. Giusto o sbagliato che sia, ricorda in questo modo che il suo Paese è in guerra. La mattina del 24 febbraio 2022, alla prima riunione del suo governo dopo l’invasione, era ancora in giacca e cravatta. Da allora molte cose sono cambiate. Motivare poi la “mancanza di rispetto” con il fatto che abbia controbattuto, peraltro sommessamente, a frasi umilianti come “non hai le carte in mano” è puro bullismo.
Zelensky per andare a trovare Trump alla Casa Bianca è uscito dal palazzo di una città da tre anni sotto i bombardamenti. Ha lasciato un Paese devastato che continua a resistere all’invasione. Prima di poter salire su un aereo ha passato una notte in treno perché sull’Ucraina non si vola più se non per azioni militari. “Ospitalità e decenza non sono valori da poco e nello Studio ovale gli Usa non li hanno rispettati” sottolinea in un video su substack lo storico Timothy Snyder, tra i maggiori esperti delle regimi autocratici e dei rapporti tra Usa, Ucraina e Russia. “Siamo andati oltre la decenza”.
L’accordo che Kyiv voleva
Non c’è dubbio che l’Ucraina avesse la volontà di arrivare a questo stranissimo accordo sulle risorse naturali pur di mantenere con gli Usa i migliori rapporti possibili ed essere quindi più forti in vista di trattative che lo stesso Zelensky auspica da molti mesi. “L'Ucraina e gli Stati Uniti sono partner, e la cooperazione sui minerali è importante”, aveva detto a Fanpage.it, poco prima della prevista firma del trattato, il parlamentare ucraino Oleksiy Goncharenko, all’opposizione di Zelensky. “L'accordo deve basarsi sul beneficio reciproco, non sul ripagare debiti. Per questo motivo sosteniamo pienamente la presenza delle aziende americane nell'estrazione mineraria e la nostra collaborazione in questo settore”. Da Kyiv arrivavano anche commenti comprensivi sui voti degli Usa all’Onu contrari alla condanna dell’invasione russa: “Il mondo sta cambiando, così come gli approcci alla politica internazionale”, era stato il commento di Goncharenko. “Gli Stati Uniti sono forti e tutti cercano il loro sostegno. Questa è la realtà”.
Minerali e prospettive di pace
Seppur con cadute maldestre come il “piano di pace in dieci punti” — un tentativo forse dovuto ma poco realistico — il presidente ucraino ha da tempo detto di esser disposto a compromessi dolorosi, anche sui territori occupati dai russi. Sulla Crimea poi, aveva esplicitamente accettato di rinviare la questione sine tempore. L’accordo con gli Usa sui minerali era parte di questo cammino verso un tavolo di pace a cui l’Ucraina potesse presentarsi con un minimo di leva, grazie a Washington.
Il trattato minerario aveva poco senso industriale e commerciale.
I dati sui minerali strategici e le terre rare ucraine sono obsoleti e la guerra ha devastato le infrastrutture energetiche necessarie per l’estrazione. Inoltre, l’instabilità rende improbabili investimenti a lungo termine — aveva notato la direttrice del Programma Critical Minerals Security del Center for Stetegic and International Studies (Csis) Gracelyn Basksaran. Molti analisti osservavano come Zelensky stesse cercando di sfruttare a favore del suo Paese una percezione superficiale sbagliata degli Usa sulle risorse in questione.
Strategie e sicurezza
Per la sicurezza dell’Ucraina, senza un impegno chiaro da parte degli Usa l’accordo sarebbe stato pericoloso. Trump aveva persino suggerito di stringere direttamente con la Russia se Kiev non avesse accettato. L’ipotetico ricatto, nella debacle dello Studio ovale, è diventato reale: “Firma o vattene fuori da qui”, è stato detto esplicitamente a Zelensky quando ha osato dire che la sicurezza era inscindibile dal resto del pacchetto. Forse ha fatto male a dirlo in pubblico. Ma il crac era inevitabile e forse deciso a priori.
I pesi e contrappesi che la democrazia americana possiede, anche se la loro efficacia è giorno dopo giorno erosa a colpi di ordini esecutivi e di bufale sparate su X, potranno limitare il peggio. Ma è lecito chiedersi cosa ci sia dietro alla strategia dell’amministrazione Trump nei confronti della Russia. Il presidente è un businessman e tratta la politica internazionale come la compravendita o la costruzione di immobili e resort. Ce lo ripete continuamente. Ne va fiero. Non si capisce però quale sia il vantaggio di allearsi con un Paese, la Russia, che ha un’economia grande quanto quella del Canada e circa 15 volte inferiore a quella dell’Unione Europea. Mani libere per opporsi alla Cina, vero nemico di Washington? Ma Cina e Russia hanno rapporti sempre più stretti, dal 2022. Il nuovo ordine mondiale tripolare ipotizzato da Mosca cozza con ciò che hanno in testa Trump e i suoi collaboratori.
Indipendenza
Secondo Timothy Snyder, in questo momento gli Stati Uniti stanno addirittura mettendo in dubbio “la loro indipendenza”. Le parole sono le stesse utilizzate a Mosca. La linea politica e quella ideologica ormai si sovrappongono in modo esatto a quelle del Cremlino. Forse conviene leggere con attenzione il libro del premio Pulitzer del Watergate Bob Woodward, “War”. In cui sostiene che Trump ha parlato più volte con Putin prima della sua elezione. E riconsiderare le indagini sull’influenza russa nelle elezioni Usa del 2016 vinte dal tycoon. Compresa l’intelligence fornita allora all’Fbi da parte dell’ex capo del desk Russia del Sis (o Mi6) britannico Christopher Steele. Con tutti i limiti dell’intelligence, che non produce prove per un processo ma solo informazione attendibile per i decision maker, sosteneva che Trump fosse ricattabile da Putin.
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Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.