Sono entrambi anziani. Sono entrambi maschi. Sono entrambi bianchi. Sono entrambi eterosessuali. Sono entrambi cristiani. All’apparenza, sembrerebbe la solita scelta tra due facce della stessa medaglia, della stessa élite, dello stesso establishment. Stavolta, però, le apparenze ingannano. Perché mai come in questa sfida tra il presidente uscente, il repubblicano Donald Trump, e il suo sfidante democratico Joe Biden, si sfidano due destini diametralmente opposti sul futuro dell’America, e giocoforza del mondo intero.
Accade loro malgrado, in parte. Probabilmente, non ci fosse stata la pandemia di Covid-19 staremmo raccontando una storia diversa. Di sicuro, non ci sarebbero stati centinaia di migliaia di morti da ricordare, né milioni di disoccupati per strada, né terremoti geopolitici in atto contro la Cina, rea di aver diffuso il virus letale al mondo intero, e contro l’Organizzazione Mondiale della Sanità, abbandonata dall’America di Trump sbattendo la porta, rea di aver coperto le responsabilità di Pechino. Il primo snodo del destino è proprio questo, a ben vedere. Vincesse Biden, tutto rientrerebbe nei canoni di una normale dialettica internazionale. Rivincesse Trump, probabilmente, la tensione contro la Cina e il Palazzo di Vetro si alzerebbe oltre ogni possibile livello di guardia.
Eppure, sarebbe riduttivo ridurre la dialettica tra Trump e Biden alla mera gestione della pandemia. Perché molti altri sono i nodi arrivati al pettina all’appuntamento del 3 novembre 2020. Il rapporto tra Stati Uniti e Cina, innanzitutto, le cui tensioni pre-esistono al deflagrare della pandemia. E che da mera guerra commerciale è diventata nuova guerra fredda a 360 gradi, con implicazioni legati al futuro della globalizzazione e delle tecnologie. Se rivince Trump, soprattutto, si andrà di nuovo verso un mondo a blocchi, diviso in due grandi sfere di influenza e fibrillazioni nelle terre di mezzo. Quel che è accaduto a Hong Kong è l’antipasto di quel che potrebbe accadere a Taiwan, o in Africa, tra qualche mese.
Sono due diversi destini cui pure l’Europa guarda con attenzione. Negli ultimi quattro anni, l’alleanza tra le due sponde dell’Oceano Atlantico è stata messa a dura prova dai comportamenti e dalle provocazioni di Trump, prima fra tutte il pieno sostegno al referendum per la Brexit e al Regno Unito durante le negoziazioni con Bruxelles, così come i rapporti stretti con le forze sovraniste d’oltreoceano, agenti di destabilizzazione europea molto graditi alla Casa Bianca così come a Mosca. Paradossalmente, l’atteggiamento di Trump ha finito per unire l’Europa, anziché sfasciarla e probabilmente una rielezione di The Donald finirebbe per accelerare ulteriormente il processo di integrazione europeo. La vera incognita, paradosso tra i paradossi, è quel che succederà se dovesse succedergli un presidente più internazionalista come Biden. Ricucire l’alleanza atlantica potrebbe rinviare a data da destinarsi la nascita degli Stati Uniti d’Europa, o di qualcosa che gli somiglia.
Di sicuro, se vincesse lo sfidante dem, cambierebbe l’approccio americano verso la questione del riscaldamento globale. Una vittoria di Biden vorrebbe dire un ritorno agli accordi di Parigi sul contenimento dell’emissioni, e a un approccio multilaterale al prossimo grande problema della nostra epoca. Vincesse Trump, il liberi tutti sarebbe pressoché definitivo.
Più del futuro in senso stretto, tuttavia, quel che preoccupa è l’immediato. Le tensioni sociali e razziali che hanno accompagnato i mesi antecedenti le elezioni covano sotto la cenere da anni e la crisi sanitaria ed economica sono stati il detonatore che li ha fatti esplodere, con tanta virulenza, tutti assieme. Quel che accadrà dopo le elezioni, soprattutto se il voto dovesse consegnare un esito incerto, tra voti postali e sfide all’ultimo riconteggio, potrebbe far deflagrare la stessa America. E forse è questo il più grande rischio cui va incontro il mondo, con il voto di stanotte. Che si debba fare i conti non con l’America, ma con i suoi conflitti. E che sia l’America di Trump o di Biden, così fosse, sarebbe l’ultimo dei problemi. Di sicuro, un’America dilaniata è l’ultima cosa che dobbiamo augurarci.