Tregua a Gaza, rettore Tottoli: “Accordo timido, serve de-escalation. Netanyahu e Hamas si giocano futuro politico”
La tregua tra Hamas e Israele sembra davvero ad un passo, dopo aver definito l'accordo quadro che prevede la liberazione di 50 ostaggi israeliani e 150 prigionieri politici palestinesi, in cambio di 5 giorni di tregua, si attende la consegna ufficiale della lista di prigionieri da parte del movimento islamico palestinese. Dopo settimana di morte e di bombardamenti, la tenuta della tregua sembra essere un flebile spiraglio per rimettere ad un tavolo delle trattative le due parti. Con il Rettore dell'Università Orientale di Napoli, Roberto Tottoli, esperto di mondo arabo, abbiamo analizzato i termini dell'accordo e come influirà sul futuro politico delle due parti.
Come giudica l'accordo tra Israele e Hamas?
Mi sembra un tentativo benvenuto ma anche molto timido. Se l'obiettivo è mettere un freno a quello che sta avvenendo, alla difficilissima situazione di Gaza, ed all'interno delle due compagini, credo che l'accordo vada salutato positivamente, anche se vediamo già problemi sulla comunicazione dei nomi dei prigionieri da scarcerare. Quindi mi sembra un timido ma significativo punto in avanti in una situazione difficilmente gestibile.
A chi va dato il merito di aver trovato un primo accordo per la tregua?
Sicuramente gli alleati di tutte e due le parti non hanno fatto mancare nelle ultime due settimane messaggi in cui chiedevano di sedersi ad un tavolo di trattative, penso agli Stati Uniti ed al Qatar. Mi sembra in generale che intorno a questi due attori, alleati delle due parti, tutte le altre forze della regione abbiano contribuito da una parte e dall'altra per arrivare a questa tregua. Anche perché proseguire sulla strada della guerra a tutti i costi era uno scenario particolarmente insidioso per tutta la regione, con pericoli concreti di escalation.
Lei ha sempre detto che la pace si fa con il nemico, secondo lei questo accordo è una forma di riconoscimento per Hamas?
Io sono al Cairo e anche qui come in tutti i paesi arabi c'è grande attesa su questa tregua. Sono molto prudente nelle definizioni, purtroppo il dibattito italiano si gioca molto su sottoscrivere definizioni preconfezionate, ma mi sembra evidente che anche in questo caso, sebbene tramite intermediari, si fa la pace con il nemico che ci si trova di fronte. Anche se su questo tema sappiamo bene che nel definire anche le parole "guerra" o "terrorismo" si gioca molto del riconoscimento della legittimità dell'una o dell'altra parte, che è il grosso problema di questo scontro. Indubbiamente rappresenta un passo, anche per Hamas, sebbene tramite intermediari, essere riusciti a sedersi ad un tavolo di trattativa.
All'interno delle componenti politiche palestinesi come è stata accolta questa tesi? Hamas con questa mossa ha rafforzato la leadership?
La mia sensazione è che la necessità di interrompere il conflitto è esigenza di tutti, ma appena si cessa il conflitto le differenze politiche rimangono. La prima proposta di Netanyahu di affidare Gaza ad altri che non siano Hamas ha potuto allettare qualche componente, in questa fase se Hamas accetta la tregua, e questa condizione ne fa in qualche modo un interlocutore, sicuramente crea problemi all'Autorità Nazionale Palestinese e alle altre forze politiche in campo. Io però sottolineo la necessità di avviare un percorso di descalation, ma le divisioni sul terreno tra le componenti palestinesi restano anche rispetto a quello che sarà il futuro di Gaza. La leadership di Hamas in Palestina non vive di grandi fortune oggi, perché viene vista come la causa di tutto quello che è successo dopo il 7 ottobre. Hamas gioca le sue carte politiche in questo scontro e questa tregua fa parte delle carte da giocare. Ma se questa mossa possa rafforzare Hamas è tutto da vedere, dipenderà tutto dai prossimi passi e dalla tenuta stessa della tregua. La presa di Hamas sui palestinesi oggi passa tutta dalla capacità di uscire da questa situazione
Il governo Netanthahu invece arriva alla tregua dopo settimane di pugno di ferro, che impatto ha avuto la tregua sull'opinione pubblica israeliana?
Lo Stato di guerra rafforza sempre le leadership esistenti, in questa fase Netanyhahu vive una condizione che non era quella prima dello scontro, con grandi contestazioni e conflitti. In questa fase la mia impressione è che ci sia molta compattezza nell'opinione pubblica ma il problema degli ostaggi è quello che veicola anche i precedenti problemi di Netanyahu, oggi sono questioni congelate ma il suo futuro politico dipende da come esce da questa situazione. Netanyahu è nella stessa condizione di Hamas, il suo futuro politico dipende da come riuscirà ad uscire da questa situazione di scontro e di difficile gestione. I destini sono legati. Questo scontro è stato preceduto da anni di narrazioni liquidatorie da una parte e dall'altra, non riconoscendo l'esistenza dell'altro, e quindi la guerra tra le due parti è fortemente pregiudiziale di quella che è stata la narrazione degli ultimi anni. Io vedo nel futuro per tutte e due le parti non pochi problemi interni.
Biden è stato uno degli artefici della costruzione di un tavolo di mediazione, potrà giocare ancora un ruolo in futuro?
E' fondamentale, l'amministrazione americana sta isolando le posizioni più radicali della politica israeliana. Anche la situazione interna degli Stati Uniti non è semplice, con contestazioni anche del mondo ebraico ma anche con fenomeni di antisemitismo che ogni tanto affiorano in tutto il mondo occidentale. Assistere a quello che sta subendo la popolazione palestinese alla lunga non è sostenibile nemmeno per gli americani, quindi Biden, da alleato di Israele, sta lavorando per ricondurre tutto ad un tavolo di trattative perché lo scontro è troppo rischioso non solo per gli attori in gioco ma per tutta la regione. Gli Stati Uniti fanno sentire Israele sicura, ma allo stesso tempo l'obiettivo è quello di ricondurre tutto alla diplomazia fermando l'escalation bellica.