Tina Marinari (Amnesty International): “Stato di apartheid in Israele, servono sanzioni internazionali”

Amnesty International è tra le organizzazioni più attive nel denunciare la violazione dei diritti umani nei territori palestinesi da parte delle forze armate israeliane. Il loro "Rapporto sul genocidio a Gaza" ha raccolto numeri impressionanti sugli effetti delle azioni di guerra dell'esercito israeliano nella Striscia, che sono riprese dopo la fine della tregua decisa dal governo di Benjamin Netanyahu.
Le testimonianze raccolte dall'organizzazione internazionale più di ogni altra hanno definito i contorni di ciò che sta avvenendo nei territori palestinesi. Ma l'attenzione è sempre alta anche in Cisgiordania dove Amnesty conduce dal 2022 il monitoraggio sulle misure di apartheid adottate dalle autorità israeliane nei confronti dei palestinesi, un dossier che è stato utilizzato anche dal Sud Africa nel ricorso alla corte di giustizia internazionale contro il governo israeliano.
Fanpage.it ha incontrato Tina Marinari di Amnesty International per discutere delle violazioni dei diritti umani in Cisgiordania. Quello che è emerso è un quadro inquietante, tale da portare a chiedere sanzioni internazionali contro il governo israeliano.

Armi ai coloni e possibilità di arrestare chiunque
I team di Amnesty International che si stanno occupando di Gaza e della Cisgiordania raccolgono competenze diverse, dai giuristi agli operatori per la difesa dei diritti umani, dagli esperti forensi ai medici, che raccolgono sul campo le prove di quello degli atti compiuti dall'esercito, ma anche da parte dei coloni, divenuti ormai delle entità ibride, armati fino ai denti, grazie alle nuove leggi volute dal Ministro Ben Gvir, occupanti di terre con la costruzione di nuove colonie definite illegali dal diritto internazionale, ed infine braccio armato dell'estrema destra israeliana, che vede gli abitanti delle colonie compiere continui raid contro i villaggi palestinesi.
"Il nostro monitoraggio sta continuando, abbiamo iniziato a denunciare i morti, gli sfollamenti, come gli abitanti dei villaggi palestinesi di notte vivano chiusi in casa per le scorribande dei coloni, che li aggrediscono, uccidono gli animali tramite avvelenamento, sono ormai terrorizzati" spiega Tina Marinari. Già nel 2023, quindi prima del 7 ottobre, come dimostrano i dati raccolti da Amnesty International, il numero di uccisioni e arresti in Cisgiordania non era mai stato così alto dal 2005, una sostanziale escalation che ha poi trovato nuovo sfogo dopo l'inizio della guerra Gaza.
Tra le misure denunciate come strumento di apartheid, c'è la nuova legge sulla concessione del porto d'armi: "L'ha fortemente voluta Ben Gvir – spiega – oggi basta un semplice colloquio telefonico per ottenere il porto d'armi per i coloni, una facilitazione incredibile che ha portato ad uno aumento esponenziale della concessione dei porto d'armi e chiaramente della vendita delle armi".
Oggi Israele è uno dei paese con la più alta diffusione di armi al mondo, se comparata al numero di abitanti e alle proporzioni del paese. Ma da dove arrivano? "Queste armi arrivano anche dall'Italia, dal 2024 sono circa 4 milioni di euro di armi che sono partite dalla provincia di Viterbo per Israele, sappiamo che Beretta e Fiocco hanno continuato a vendere armi a Israele e le stesse aziende hanno confermato di non avere idea di quale sia l'utilizzo finale di queste armi, non possono garantire che queste armi non sia usate per la violazione dei diritti umani" sottolinea Marinari.
Lo stato di apartheid nei confronti dei palestinesi non è una opinione politica: definendo la popolazione palestinese come un gruppo etnico nazionale, e analizzando gli strumenti e le azioni compiute dalle autorità israeliane nei confronti di quel gruppo di persone, si evince, dal punto di vista giuridico, che sono in campo misure di apartheid. "Le leggi israeliane mettono in discussione anche la libertà di movimento e la libertà di riunione per i palestinesi – spiega Marinari – c'è un ordine militare, l'ordine 101 che autorizza l'esercito ad arrestare 10 palestinesi se si sono incontrati per strada e se secondo i militari stanno parlando di qualcosa che può minare la sicurezza nazionale. Un ordine così vago che autorizza ad arrestare chiunque, questo è apartheid".
Le demolizioni: "Dove devono vivere i palestinesi?"
Un'altra pratica di apartheid utilizzata dalle autorità israeliane è quella della demolizione arbitraria delle abitazioni civili palestinesi nei villaggi. Un fenomeno che Fanpage.it ha avuto modo di raccontare a più riprese e che vede la Cisgiordania come zona particolarmente colpita dal fenomeno, in particolar modo la zona della Massafer Yatta nel Sud. "Abbiamo fatto uno studio, su 1200 richieste di costruzioni degli israeliani, non ne viene concessa nemmeno una ai palestinesi – spiega l'attivista di Amnesty – quindi la domanda che ci poniamo è: i palestinesi dove devono vivere? E come devono vivere?".
Emerge sempre di più il grande piano auspicato dall'estrema destra israeliana, ovvero quella dell'occupazione totale dei territori palestinesi. Anzi di più, mentre fino a qualche tempo fa il movimento dei coloni chiedeva di occupare tutta l'antica Palestina, ora immaginano una "Grande Israele" che va dal Tigri all'Eufrate, un territorio molto più grande che comprende il Libano, la Giordania e l'Iraq. Israele è quella società dove il messianismo è diventato politica e dove il linguaggio disumanizzante ha preso il sopravvento su qualsiasi altra forma di dialettica politica. D'altronde affermazioni come quelle del Presidente della Repubblica Isaac Herzog, che ha sostenuto che a Gaza non ci sono innocenti, fanno ben comprendere il tenore del fenomeno. È di appena pochi giorni fa il video messaggio del Ministro della Difesa Israel Katz che ha detto agli abitanti di Gaza che se rilasciano gli ostaggi e cacciano Hamas, possono trasferirsi in altre parti del mondo, l'alternativa sarà invece la distruzione totale.
C'è poi il fenomeno dello spostamento dei villaggi, della limitazione della libertà di movimento e della sottrazione delle terre. "Stiamo monitorando le mappe, le cartine, per capire come i villaggi siano stati chiusi e isolati dal resto della comunità – spiega – questi sono strumenti di apartheid e diamo questa formulazione a partire dalla definizione stessa di apartheid: la volontà di un gruppo di sottomettere, controllare e dominare un altro gruppo per trarne un beneficio politico ed economico, ed è quello che accade in Israele, è quello che successe in Sud Africa, il principio è lo stesso".
Amnesty chiede sanzioni contro Israele
Le immagini di orrore che arrivano da Gaza, le esplosioni di violenza che arrivano dalla Cisgiordania, spesso documentate dagli smartphone degli attivisti internazionali, hanno esposto l'opinione pubblica occidentale da un lato alla conoscenza dell'orrore, ma dall'altro al rischio di perdere il contesto politico e sociale in cui questo avviene, ovvero quello di uno stato di apartheid in cui l'obiettivo finale sembra essere sempre di più lo sterminio della popolazione palestinese e la cancellazione di tutti i territori abitati dai palestinesi.
Lavori come quello di Amnesty International ci permettono di restituire un quadro di contesto necessario per comprendere che non sono solo gli atti di guerra in sé ad essere un fenomeno inaccettabile per ogni democrazia e per ogni società libera, ma è il complesso di misure che configurano quello Stato come un regime di apartheid che lo rende fuori dal mondo libero e fuori dal consesso democratico. "Noi chiediamo che ci siano sanzioni internazionali contro Israele – spiega Tina Marinari – abbiamo testimoniato con il nostro lavoro che il regime di apartheid non è nato oggi, ma è così dal 1948 e che è stato alimentato negli anni con delle politiche specifiche, con prassi consolidate e sempre nella totale impunità".