Una femen francese di 30 anni si dissocia, spiega le sue ragioni in un libro di prossima uscita, e ne fa un'anticipazione a due giornalisti di Le Figaro, in un video, in cui appare, di spalle, e con la voce camuffata: “Ho scelto di essere anonima perché l'importante non è affatto chi sia io, ma il messaggio che veicolo. Mi sono confrontata a lungo anche con altre. E ho constato che non ero la sola ad aver vissuto questo”.
Nel corso dell'intervista a Le Figaro, uscita sull'on line il 12 febbraio, la “sexestremista” francese racconta risvolti non sempre piacevoli della vita trascorsa con le sue compagne militanti. In particolare insiste sulla “disorganizzazione”, “discriminazione” e soprattutto sulle “rivendicazioni femministe che il gruppo non applica al suo interno”.
I valori difesi dalle Femen sono universali, e condivisi, ma il problema è la mancanza di rispetto, e se non cambiano le cose, il gruppo è destinato a sparire. Gli esempi sono di tutti i giorni: uno entra nella sala, tu saluti e nessuno risponde. Come se non esistessi. Ti usano per fare delle cose, ma quando cerchi uno sguardo, non ti torna indietro niente. Il ruolo di un capo è anche di rassicurare e non quello di dividere. Le Femen per me erano moderne, i loro modi di agire interessanti e diversi. Non era un femminismo ‘a tavolino'. Per me era un modo diverso per farsi sentire.
L'ex attivista contesta poi una forma di “riconfigurazione mentale”.
La tua mente viene preparata dall'interno per l'esterno, non esisti più come individuo, non pensi più per te stesso ma per il gruppo, ingurgiti quello che ti insegnano. Le Femen trasformano il corpo e la mente. Devi ripetere di continuo i principi fondamentali […], devono entrarci in testa per uscire poi meccanicamente […]. Così ci si sente risucchiare naturalmente, senza violenza, e lasci andare lo spirito critico nei confronti del gruppo e la tua volontà.
Denuncia poi una “presa di potere sull'individuo” dicendo di “dover essere disponibile 24 ore su 24, a prescindere dal lavoro o dalla vita di coppia. Accetti lentamente una sottomissione che rifiuti dall'esterno. La sera torni a casa e ti dici che hai combattuto per una libertà alla quale non hai diritto”. E ancora: “Le Femen non rispettano le donne, le leader trattano le altre come carne da cannone”. Una grande testimonianza dall' “interno”, alla quale nessun giornalista, neanche quelli che le avevano seguite di più, e più a lungo, erano mai arrivati.
Le attiviste di origine ucraina che hanno la loro leader in Inna Shevchenko, sono state adottate dalla Francia, hanno ottenuto dal comune di Parigi uno spazio spesso chiamato “antro”, o “tana” o “grotta” o casa”, insomma, un luogo ormai leggendario che fa sognare stampa e media di tutto il mondo. Si tratta in realtà del Lavoir Moderne, vecchio teatro del quartiere popolare Goutte D'Or della capitale. E' qui che le sexetremiste si esercitano, pianificano le strategie di azione, si dipingono, e creano gadgets di protesta.
Con una simile testimonianza si mostrano pericolose fragilità sulle quali c'è da scommettere che potranno contare due deputati di destra (UMP) che stanno chiedendo al ministro degli Interni Manuel Valls non solo di ritirare i francobolli la cui Marianna – emblema della Francia – è ispirata alla leader Inna Shevchenko, ma anche di sciogliere il gruppo da considerarsi “ una setta”.
Vanno allora qui sintetizzate le polemiche a queste femministe post moderne, che si spostano con disinvoltura in varie nazioni. Da parte dei conservatori per ragioni evidenti: le Femen irrompono negli spazi pubblici e sacri in particolare, oppure dove si tengono spettacoli, o altre esternazioni istituzionali o politiche o religiose che implichino contenuti maschilisti: dal Vaticano agli interni della cattedrale Nôtre Dame, fino ai luoghi sacri all'Islam. Da parte delle femministe militanti – e sono le critiche più articolate e sensate – si dice: “non si possono affrontare concetti e questioni per i quali abbiamo lottato, usando gli stessi strumenti adoperati dal potere: cioè il corpo denudato di una donna per poter far passare una qualsiasi notizia”. La risposta delle attiviste è spesso: “noi ribaltiamo proprio il senso di quell'imposizione, siamo noi che manipoliamo i media che arrivano a ogni nostra performance, e così passa il nostro messaggio”.
Il punto è infatti questo: è così vero che qualcuno alla loro apparizione si mette a discutere o riflettere sul danno del maschilismo nella società o piuttosto si fotografano solo i loro seni nudi che fanno aumentare i click dei quotidiani on line? Riproponendo così l'eterna questione? Ma anche: si può mai negare a delle attiviste di esprimere il loro pensiero, come vorrebbero i deputati conservatori, o si dimostra così in modo clamoroso la disperata resistenza di una vecchia società maschilista e il terrore per le donne quando non sono “controllate” e “controllabili”?