Terremoto in Myanmar, almeno 2000 morti: bombardamenti del regime bloccano gli aiuti alla frontiera

Dopo la scossa di terremoto di magnitudo 7.7 registrate in Myanmar alle 12.50 locali di venerdì, ne sono state rilevate altre di magnitudo fino a 5.1 dall'Istituto Geosismico Americano Usgs. Dopo il sisma con potenza 7.7 sulla scala richter e la seconda scossa di 6.4, è stato rilevato un altro terremoto di magnitudo 5.1 nei pressi della capitale Naypyidaw, a una profondità di 10 km, preceduta di circa 9 ore da un'altra scossa di 4.2 a Shwebo, a circa 70 km da Mandalay.
Mentre la terra continua a tremare, la popolazione deve fare i conti anche con i raid aerei del regime militare contro i cosiddetti ribelli del Fronte di difesa popolare. La guerra civile è andata avanti fino a ieri, sabato 29 marzo. Le vittime registrate dopo il sisma sono state circa 1.600, ma si teme che i morti siano almeno 2000. I numeri sono destinati a salire con la poca disponibilità di ospedali, gravemente danneggiati dal sisma e dall'impossibilità di ricevere aiuti per le attrezzature e per il personale mancante.

A complicare il lavoro dei soccorritori e di chi sta cercando di far entrare beni di prima necessità nel Paese, vi sono stati i bombardamenti aerei del regime militare nei villaggi dello Stato di Shan, nella zona centro orientale del Paese.
In Myanmar, secondo l'Onu, le persone che hanno bisogno di aiuti potrebbero essere circa 20 milioni. L'area colpita dal sisma è infatti piuttosto vasta e in termini di vittime, i numeri continuano ad aumentare. Il governo di Min Aung Hlaing ha chiesto aiuto alla comunità internazionale e dichiarato lo stato di emergenza.

Da quattro anni Hlaing ha preso il comando nel Paese con un colpo di Stato e da allora aveva mantenuto canali diplomatici aperti quasi esclusivamente con Cina, Russia e Bielorussia. L'invito per gli aiuti, invece, è stato rivolto a tutte le organizzazioni e nazioni disposte a venire ad aiutare i bisognosi.
La risposta dal mondo non si è fatta attendere e i primi soccorritori sono partiti dalla Cina. Altri aiuti sono partiti da India e Thailandia, con 49 militari che dovrebbero utilizzare gli scali ancora agibili. La guerra, la mancanza di mezzi e l'inagibilità degli aeroporti rischia però di bloccare i soccorsi ai confini.