Tensioni Nato-Russia, torna in Europa orientale la Cortina di ferro
Dalle 4 alle 10mila unità in stato permanente di combat readiness, pronte ad essere dispiegate in qualunque scenario operativo in meno di 48 ore, stanziate con una turnazione – ancora da definire – negli stati baltici ed ex sovietici di Lituania, Lettonia ed Estonia nonché in Polonia.
Questo, secondo le indiscrezioni più insistenti, sarà il nuovo assetto antirusso che verrà adottato dalla Nato ed ufficializzato durante il meeting dell'Alleanza Nordatlantica in programma a Cardiff, in Galles, il 4 e 5 settembre.
La creazione del nuovo raggruppamento operativo del Patto Atlantico, che dovrebbe ricordare da vicino il modello della Nrf (la Nato Response Force, ovvero la Forza di risposta rapida che ad oggi consta di circa 25mila uomini e donne e che prevede l'utilizzo di reparti aeronautici, marittimi e terrestri capaci di essere dispiegati in tutto il mondo in 5 giorni), avrà tuttavia come focus la protezione dei paesi che aderiscono alla Nato e confinano con la Russia.
La creazione della possibile Nrf Nord (al momento non sono state comunicate sigle ufficiali), avrebbe come obiettivo quello di agire: come deterrente contro lo sconfinamento delle truppe russe in territori terzi – nelle ultime settimane il Presidente Petro Poroschenko ha accusato Mosca di aver introdotto in territorio ucraino colonne di blindati, denuncia ribadita anche dal segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmusse e rigettata dal ministro degli Esteri russo Sergeij Lavrov che ha definito tale accusa “senza prove” –; come forza d'intervento rapido in caso di ostilità; come forza d'interposizione, anche sotto l'egida dell'Onu ad esempio, tra paesi terzi non membri ma alleati dell'Alleanza(l'Ucraina come la Georgia non sono stati membri del Patto) e la Russia.
Secondo le indiscrezioni circolate nelle ultime ore i paesi che dovrebbero fornire il personale della nuova forza di risposta rapida sarebbero: Danimarca, Estonia, Lituania, Lettonia, Norvegia e Paesi Bassi (anche il Canada starebbe prendendo in considerazione l'ipotesi di mettere a disposizione militari e mezzi); sotto l'immancabile direzione di Washington e Londra che tuttavia devono fronteggiare i malumori dei partner “meridionali” quali Italia, Francia e Spagna. Per quanto riguarda invece le basi operative, si ritiene altamente probabile che verranno individuate strutture già funzionanti nei paesi baltici oltreché in Polonia per l'evidente continuità territoriale con le zone ed i paesi da proteggere.
Dopo mesi di dichiarazioni al vetriolo, tensioni e provocazioni prende forma dunque il nuovo assetto del Patto Atlantico. Un assetto a trazione settentrionale che, dopo un decennio di relativo basso profilo (dove ad esempio le cosiddette missioni umanitarie l'hanno fatta da padrona), con problemi di budget e di trasformazione interna della struttura stessa – si pensi alla creazione della Ncia (la Nato communications and information agency) –, l'Alleanza Atlantica torna prepotentemente a ricoprire il ruolo di scudo militare antirusso.
La creazione ed istituzionalizzazione del nuovo assetto Nato va inserito nell'attuale contesto bellico dell'Europa orientale. La guerra civile in Ucraina che vede da una parte il governo di Kiev (di matrice ultranazionalista e sostenuto apertamente dall'amministrazione di Barak Obama nonché dall'Ue) e dall'altra i separatisti filorussi del Donbass (a loro volta sostenuti dal governo di Mosca) rappresenta un problema tutt'altro che secondario per la Nato, Washington e Bruxelles soprattutto se si pensa alle ricadute economiche ed energetiche derivanti dalle ostilità in corso.
A questo si deve aggiungere che dal punto di vista strettamente militare la situazione in Ucraina sud orientale è tutt'altro che favorevole all'esercito di Kiev. Poche ore fa i russi hanno ‘barattato' dieci paracadutisti del 98esima Divisione aviotrasportata in mano alle truppe di Kiev (che secondo la versione ufficiale di Mosca si sono “persi” al confine con l'Ucraina e per questo avrebbero sconfinato, versione senza dubbio poco realistica) con 60 combattenti fedeli al governo di Petro Poroschenko. Il rapporto di uno a sei così come le cronache delle continue vittorie dei miliziani del Donbass (supportati, secondo la stampa occidentale, dai reparti speciali dell'esercito russo) metterebbero in evidenza il difficilissimo momento delle truppe di Kiev cui servirebbe ben più di un aiuto politico al fine di non perdere anche quella parte del paese dopo la Crimea.
E ad aggiungere ulteriori tensioni c'è la notizia, non smentita, relativo all'arrivo nelle prossime ore nel Mar Nero del cacciatorpediniere Usa Uss Ross e della fregata francese Commandant Birot al fine di potenziare il dispiegamento militare Nato nell'area e contrapporre così il naviglio russo presente in zona. È indubbio che le vittorie politiche e militari russe (quali la Crimea) suonano come sirene incessanti nelle orecchie dei vertici Nato che, con tutta probabilità, hanno dovuto affrettare i tempi per la creazione di una nuova forza d'interposizione andando, potenziando al contempo i dispositivi già esistenti. Le parole infine di Federica Mogherini, lady Pesc in pectore, sembrano confermare la tendenziale scarsa indipendenza dell'Unione Europea alle direttive militari provenienti dalla Casa Bianca, così come il richiamo all'Articolo 5 dell'Alleanza (che prevede, in estrema sintesi il mutuo soccorso tra i paesi membri del Patto) sembra più vuoto e pretestuoso (in ogni caso le operazioni militari non vedono in questo momento coinvolti ufficialmente paesi della Nato) che sostanziale. Insomma più uno spauracchio per provare a gettare acqua sul fuoco che altro (gli avvenimenti degli ultimi vent'anni inoltre ricordano che il confine dell'applicazione di tale articolo è sempre stato molto labile e soggetto ad interpretazioni più che discutibili).