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Conflitto Israelo-Palestinese

Tensione in Medio Oriente, Ispi: “Serve accordo Hamas-Israele per evitare allargamento conflitto”

L’intervista di Fanpage.it ad Anna Bagaini, analista e ricercatrice di Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale: “Quello che è successo tra Hamas e Israele è stata la scintilla che ha infiammato una situazione che era già compromessa. Serve accordo diplomatico per de-escalation”.
Intervista a Anna Bagaini
Analista Ispi.
A cura di Ida Artiaco
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"Quello che è successo stanotte è stato un incidente abbastanza importante in termine di vittime, ma non credo che avrà ripercussioni sul conflitto nel medio-lungo periodo. La guerra tra Hamas e Israele è però la scintilla che sta infiammando una situazione, quella in Medio Oriente, già compromessa. Si deve raggiungere necessariamente un accordo diplomatico per la de-escalation".

Così Anna Bagaini, analista e ricercatrice di Ispi, l'Istituto per gli studi di politica internazionale, ha commentato a Fanpage.it quanto successo nelle ultime ore a Sud di Gaza, dove nel corso dei combattimenti nella zona di Khan Yunis, sono stati uccisi 21 militari dell'Idf, mentre resta alta la tensione in tutta la Regione, tra gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso e le minacce dell'Iran.

Dott.ssa Bagaini, che significato ha per Israele la perdita di questi 21 soldati? Netanyahu ha dichiarato: "Un giorno duro ma non fermeremo la guerra"…

"Quello che è successo stanotte è stato un incidente abbastanza importante in termini di vittime, perché ci sono stati 21 morti ad ora e quindi ha avuto un grosso impatto da questo punto di vista. In Israele, specialmente per quanto riguarda le perdite nell'esercito, essendo molto piccolo, ogni vittima ha un peso specifico, ecco perché Netanyahu ha definito la giornata di oggi come una delle peggiori dall'inizio dei combattimenti per Israele".

Avrà delle ripercussioni?

"Io penso che non cambierà nulla. Questi incidenti non portano un peso specifico rispetto a quelli che potrebbero essere gli sviluppi di medio-lungo termine. Questo perché sicuramente all'interno di Israele c'è, secondo i sondaggi, un buon 46% della popolazione che appoggia la firma di un accordo per la risoluzione temporanea per lo scambio degli ostaggi. Inoltre, al momento ci sono grosse pressioni soprattutto da parte statunitense perché si inizia a pensare a un futuro per Gaza.

E Seppur Netanyahu continui a proporre una retorica assolutista come bisogno di distruggere Hamas, anche voci all'interno dell'esercito hanno affermato che promulgare questo tipo di obiettivo è di per sé irrealistico. Al momento il miglior risultato realizzabile è quello di ristabilire deterrenza e assicurare un certo grado di sicurezza e indebolimento di Hamas, completando quello che è stato portato avanti dal punto di vista militare con il raggiungimento di un accordo. Si parla di diversi tipi di accordi, ma i punti assolutamente non negoziabili sono il rilascio degli ostaggi e la cessazione del dominio politico e militare di Hamas sulla Striscia".

Per quanto riguarda il post-guerra, sembra che Netanyahu non sia propenso a una soluzione a due stati. Cosa dovrebbe fare la comunità internazionale per convincerlo?

"Da quello che si può evincere queste dichiarazioni sono fatte da Netanyahu perché all'interno del suo governo rimangono ministri di estrema destra che sono profondamente contrari a un assetto di questo tipo. Non si riesce a capire quanto queste parole siano dette perché genuinamente pensate o per mantenere una pace all'interno della coalizione di governo.

Io penso che Netanyahu non abbia molta scelta, nel senso che a quanto si vocifera gli Usa stanno profondamente spingendo per giungere a una soluzione che preveda i due stati e dagli ultimi sondaggi anche buona parte degli israeliani non sarebbe contraria a favorire l'implementazione del cosiddetto piano Biden. Per quanto riguarda la comunità internazionale, io credo che quello che è successo il  7 ottobre e che sta succedendo in questi giorni richieda una revisione di tutti gli sforzi che sono stati intrapresi negli ultimi 20 anni rispetto alla questione israelo-palestinese. Forse la strategia messa in atto non ha portato i frutti sperati per cui dovrebbe rafforzare e sostenere le parti civili e politiche all'interno di entrambe le società, a Tel Aviv come a Gaza, favorevoli ad accordo di lunga durata. Se la politica e la diplomazia riuscissero a portare a una visione dei due stati si dovrà accompagnare le persone verso l'accettazione e l'implementazione della pace".

Nelle ultime settimane, tuttavia, è tutto il Medio Oriente a vedere un aumento della tensione. Dove dovremmo focalizzare la nostra attenzione?

"Quello che è successo tra Hamas e Israele è stata la scintilla che ha infiammato una situazione che era già compromessa. I presupposti di un Medio Oriente sull'orlo di una crisi erano già tutti in essere. Sicuramente si deve mantenere l'attenzione su quanto succede nella Striscia di Gaza perché se si dovesse raggiungere un accordo diplomatico sarebbe sicuramente la chiave di volta di un meccanismo che potrebbe disinnescare l'allargamento del conflitto.

Ma attenzione anche a quanto succede nel Mar Rosso, perché è al momento il teatro in cui potenze occidentali stanno operando e nel quale si possono vedere sviluppi nel senso di allargamento del conflitto. Perché é qui che potenze esterne alla Regione stanno lavorando in ottica anti iraniana".

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