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La tragedia dei migranti sulla rotta balcanica

Rotta balcanica, i migranti sognano l’Europa: “Fuggito dall’Afghanistan dei talebani”

Bihac, in Bosnia-Erzegovina, resta una città trafficatissima. La rotta balcanica passa quasi inevitabilmente da lì: per arrivare in Croazia, poi in Slovenia e in Italia non c’è luogo più adatto della cittadina diventata anche il centro operativo di moltissime associazioni non governative che aiutano i migranti durante il loro percorso verso l’Europa. Accanto a un cimitero, in uno scheletro di cemento armato, vivono un gruppo di giovani uomini che, proprio quando li incontriamo, stanno per partire per il Game della vita. Tra loro c’è anche S., 22 anni, ex poliziotto in Afghanistan fuggito tre mesi fa dai talebani.
A cura di Luisa Santangelo
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Il game ricomincia, S. non vede l'ora di partire da Bihac. Ha 22 anni, è scappato dall'Afghanistan tre mesi fa. La sua lotteria per entrare in Europa, il gioco della fortuna per sopravvivere varcando le frontiere, è cominciata che ancora era estate. Lui faceva, da tre anni, il poliziotto per il governo defenestrato. I talebani gli avrebbero tagliato la testa e lui non ci ha pensato due volte ed è scappato. "No English", dice prima. Poi ci riflette, accende una sigaretta e accetta di raccontare qualcosa. Vuole anche riguardarsi, dopo. "Ora lo mandi alla polizia croata?", ride. "A quella italiana", rispondo. "Loro non sono cattivi". A guardarla da fuori, senza sentirla, sembrerebbe una conversazione spensierata. Ma a venti chilometri di distanza c'è il confine con la Croazia e basta quel pensiero a spegnere i sorrisi.

I morti nel game sulla rotta balcanica dei migranti

Non c'è ancora la neve ma fa già freddo. C'è un sole gelido, in Bosnia-Erzegovina. Il cielo è limpido ma fanno due gradi e dentro a un mostro di cemento armato di sembianze post belliche non si può più rimanere. Meglio tentarla adesso la sorte, che con le prime gelate. Da una apertura stretta escono fuori a uno a uno una ventina di uomini, la maggior parte giovani. Afghanistan, Pakistan, Bangladesh. Zaini, giubbotti, scarpe. Prima di partire riempiono le bottigliette d'acqua al rubinetto del cimitero lì accanto. Tra i lotti di lapidi di marmo, giù in fondo ce n'è uno di lapidi di legno dipinte di verde. Su molte c'è scritto solo NN. No Name. Alcune altre lapidi denunciano, invece, la crudeltà del game – la grande scommessa per entrare in Europa – a suon di date: 1996 – 2021. È morto sulla rotta balcanica delle migrazioni a 25 anni. Tre in più di S. che è ancora fresco di tentativi ed energico, e scherza pure, fa lo spaccone.

Il gruppo viaggia insieme. Per la legge dei grandi numeri, se a qualcuno va male a qualcun altro va bene. Su una ventina di persone, almeno un paio sperano di riuscirci stavolta, con l'aiuto di Allah. Si inginocchiano per la preghiera, uno di loro resta in piedi e comincia a intonarla. Appena finisce, S. prende la parola e aggiunge qualche battuta: io non parlo l'arabo, ma i nomi delle nazioni sono chiari: Croazia, Slovenia e – Inshallah, col volere di dio – Italia. Il suo obiettivo, però, è la Germania: suo fratello vive già lì, i soldi non sono un problema, dice lui, ma stavolta vuole studiare. Finire un istituto professionale e fare un altro mestiere.

La partenza per l'Europa

Alcuni partono leggeri, senza neanche uno zaino. Alcuni altri portano con sé almeno i tappetini di gomma per provare a stendercisi sopra. "Mi hai fatto un video?". "Sì" "Per favore, lo mandi a mio padre? Su WhatsApp va bene. Tieni il numero. Così sa che sono vivo" "Dov'è tuo padre?" "Lui è rimasto a casa, in Pakistan". È una buona idea, lo imitano in molti. È complicato trovare i profili Facebook, la tastiera non ha i caratteri in farsi, ma dalla schermata «Tutti gli amici» si riesce a trovare un profilo dopo l'altro. "Per favore non scordarlo". È importante. Un punto fermo. Fino alla fine di ottobre erano tutti lì, tutti vivi. Senza documenti, picchiati più volte, feriti, plurideportati ma pronti a ritentare. "Non ci fermeremo mai", interviene A. Vuole fare l'infermiere, anche lui punta alla Germania. "Ci riempiono di botte e sono veramente troppo forti. Anche la polizia slovena fa lo stesso. Ma noi tenteremo sempre".

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