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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

“Su Israele l’ombra dell’autoritarismo”: l’avvocato Sfard su Netanyahu, Cpi e sfida alla democrazia

L’intervista di Fanpage.it all’avvocato israeliano per i diritti umani Michael Sfard: “Dopo il mandato di cattura della Corte penale internazionale, Netanyahu è ancora più pericoloso”. Lo Stato ebraico è in “piena deriva autoritaria”. Nessun effetto immediato della decisione dell’Aia. “Cruciale che l’Europa rafforzi l’autorevolezza della Corte”.
Intervista a Michael Sfard
Avvocato israeliano di diritto umanitario
A cura di Riccardo Amati
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Se il governo attuale raggiungesse i suoi obiettivi “Israele perderebbe ogni caratteristica democratica trasformandosi in una specie di totalitarismo ebraico”, dice a Fanpage.it l’avvocato Michael Sfard. “Emerge una pericolosa ideologia di supremazia ebraica, ancora non maggioritaria ma pericolosa”. Per contrastarla e ottenere il rispetto del diritto internazionale, “occorre imporre un prezzo alla colonizzazione, divenuta la politica prioritaria dello Stato”. Un ruolo cruciale può averlo l’Europa: "deve unirsi nel rispetto delle decisioni della Corte penale internazionale e rafforzarla". Per adesso, la sua clamorosa decisione non avrà effetti sulla politica del governo. “Potrebbe però contribuire a moderare l’azione dei generali impegnati sul terreno”.

Michael Sfard è probabilmente il maggior specialista israeliano di diritto umanitario. Ha sostenuto infiniti casi contro l’occupazione dei territori palestinesi e difeso decine di obiettori di coscienza israeliani. Parla con noi dalla sua casa di Tel Aviv.

Michael Sfard
Michael Sfard

Cosa significano questi mandati di arresto, per voi israeliani?

Sono una macchia nella storia di un popolo che è stato tra le principali vittime di quelle atrocità che la Corte internazionale di giustizia è nata per prevenire.

La decisione della Cpi smuove qualcosa nell’opinione pubblica israeliana? O rischia solo di rafforzare la mentalità da assedio e il sostegno a Netanyahu?

Nel breve termine, la società israeliana si compatterà. Anche i più severi critici del primo ministro tenderanno a sostenere la narrativa ufficiale. Secondo cui la Corte è prevenuta e il procedimento oltre che ingiusto è antisemita. Questa reazione attraversa quasi tutto spettro politico, dalla destra estrema alla sinistra sionista.

Quindi non c’è da aspettarsi alcun cambiamento, nella politica del governo?

Netanyahu ora è più pericoloso che mai: non deve affrontare solo il sistema giudiziario israeliano, ma anche quello internazionale. E le accuse della Cpi non hanno scadenza. La galera è una prospettiva concreta. Non avendo più nulla da perdere, potrebbe agire senza freni.

Ma qualche effetto deterrente la decisione della Corte lo avrà pure…

Beh, è un segnale forte ai generali dell’esercito israeliano, che potrebbero essere spinti a moderare le loro tattiche di guerra. Ciò potrebbe avere un'importanza cruciale.

Netanyahu è sotto processo in Israele per corruzione. Rischia dieci anni. Ma, almeno all’estero, nessuno ne parla più. A che punto siamo?

Il processo è in una fase cruciale: i giudici hanno respinto la richiesta di rinvio, e il primo ministro dovrà testimoniare in aula a partire dal 2 dicembre, per settimane. È una situazione senza precedenti: nel bel mezzo di una guerra il capo del governo che passa intere giornate in tribunale.

Lui forse cercherà forse di evitarselo, invocando motivi di sicurezza. Potrebbe anche porre fine al processo con un patteggiamento. Che gli eviterebbe il carcere, ma lo costringerebbe a lasciare la scena politica.

Torniamo agli ordini di cattura emessi dalla Cpi. Abbiamo parlato dei possibili effetti nel breve termine. E andando più in là nel tempo?

Tutto dipenderà da come la comunità internazionale gestirà i mandati di arresto. È il test più grande mai affrontato dalla Cpi dalla sua creazione e pone una minaccia esistenziale per l'istituzione. Mai prima d’ora la Corte aveva preso di mira il capo del governo di un Paese potente, sostenuto dagli Stati Uniti e alleato dell’Occidente.

Infatti, la Corte era accusata di prendersela solo con imputati deboli, del Sud globale e dintorni…

È una sfida. Soprattutto con Donald Trump di ritorno alla Casa Bianca. Durante il suo primo mandato, aveva attaccato la Cpi, tentando di minarne l’autorità. Ora, insieme a Israele, potrebbe cercare di persuadere il maggior numero possibile di Paesi a uscire dal trattato che la istituisce o a ignorare i mandati di arresto. Magari offrendo incentivi economici.

Ma parliamo di 124 Paesi, alcuni molto importanti: Trump e Netanyahu non possono mica “comprare” la Germania o la Francia…

Il ruolo dell’Europa sarà cruciale. L’Ue è il principale sostenitore politico e finanziario della Corte. Ha il potere di rafforzarne l’autorevolezza. Se i Paesi europei si impegneranno a rispettarne le decisioni, la Cpi sarà più forte. Con un impatto significativo sulle relazioni internazionali di Israele.

Ovvero?

Isolamento politico e culturale, indebolimento di legami economici, stop alle forniture di armi. Sotto pressione, la società israeliana si stancherà di pagare il prezzo di difendere leader accusati di crimini di guerra. Gli israeliani si sentono parte del mondo liberale. L’emarginazione annullerà le resistenza e alle richieste della comunità internazionale.

Però l’Europa su questa decisione della Corte si divide: Olanda, Spagna e l’Irlanda sono con la Cpi. Germania, Francia e Italia ci stanno pensando su. Un nostro vice-primo ministro vorrebbe dare il benvenuto a Netanyahu in Italia. E Orbàn, ovviamente, lo ha già invitato a Budapest…  

Eppure, per l’Europa la Corte Penale Internazionale non è un’istituzione come le altre: è frutto della lezione avuta dalle atrocità della Seconda guerra mondiale e il baluardo contro il ripetersi di tali crimini. Mettere in discussione un suo provvedimento perché colpisce il premier di un Paese alleato significa minare irreparabilmente la legittimità della Corte.

La forza di ogni sistema giuridico si basa sull’applicazione eguale per tutti. L’Ue e i suoi membri devono agire con integrità: non si può celebrare il mandato d’arresto per Putin e ignorare quello per Netanyahu. La questione va oltre il destino di un singolo leader o del conflitto israelo-palestinese. È una sfida esistenziale per la Corte e per la credibilità dell’Europa. È cruciale per l’intera comunità internazionale.

Nel mondo si protesta per la Palestina e contro Israele. E c’è anche chi se la prende con gli ebrei in generale. Cosa pensa di questo rigurgito di antisemitismo?

Attribuire a tutto il popolo ebraico ciò che Israele ha fatto a Gaza è antisemitismo, ma lo stesso governo israeliano contribuisce a questa narrativa, pretendendo di rappresentare l’intero popolo ebraico.

Quanto è forte la deriva clerico-religiosa in Israele? Ministri del vostro governo leader politici sembrano prendere la Bibbia per una fonte storica. Inneggiano al “Grande Israele” citandola, la usano per giustificare la violazione delle risoluzioni Onu. C’è un “partito di Dio”, al governo di Israele?

La società israeliana sta diventando sempre più conservatrice e religiosa, e il cambiamento si intreccia con la guerra. Ne emerge una pericolosa ideologia di supremazia ebraica, non ancora maggioritaria, ma apertamente sostenuta da una parte significativa dell’attuale governo.

La visione messianica del ruolo del popolo ebraico nello Stato di Israele sta legittimando crimini a Gaza, in Cisgiordania e in Libano. Idee un tempo marginali, come la distruzione di Gaza o la perpetuazione di una guerra infinita, oggi provengono dal governo. È una svolta allarmante.

Come è cambiata la società israeliana dopo il massacro del 7 ottobre 2023?

È come se il tempo si fosse fermato a quel giorno. Il trauma domina ancora il discorso pubblico. I media che focalizzano tutta l’attenzione sulle vittime di Hamas e sugli ostaggi. È comprensibile, dopo una tragedia così profonda. Ma così si oscura ciò che Israele sta facendo altrove.

Nel nord di Gaza è in corso un processo di pulizia etnica, di cui nei principali telegiornali non si parla. Le azioni in Cisgiordania e in Libano vengono ignorate. Lo squilibrio nella narrazione impedisce ogni riflessione critica.

L’azione della Cpi avrà qualche impatto pratico contro le violazioni dei diritti umani nei Territori occupati?

La Corte sta indagando sul crimine di trasferimento di civili israeliani nei Territori, con la creazione di insediamenti. Non si sa se siano imminenti mandati d’arresto. Potrebbero essere già stati richiesti, in modo riservato.

La colonizzazione della Cisgiordania non solo è una politica ufficiale del governo israeliano, ma è la sua priorità. Ogni altra iniziativa è subordinata. L’obiettivo dichiarato è colonizzare il più possibile, nel modo più rapido e determinato possibile.

Quali altri mezzi ha la comunità internazionale, oltre alla Cpi, per contrastare la politica degli insediamenti?

Il parere emesso nel luglio scorso dalla Corte Internazionale di Giustizia (o Cig, da confondersi con la Cpi, è il principale organo giudiziario della Onu, ndr) dovrebbe essere trasformato in politiche concrete da tutti i Paesi del mondo. Vale erga omnes, ovvero per tutti. I governi hanno l’obbligo di evitare ogni sostegno anche indiretto all’attività di insediamento israeliana in Cisgiordania.

Sta funzionando?

Il processo avanza molto lentamente. Finché Israele e i suoi cittadini non percepiranno un costo elevato per questa politica di colonizzazione, gli insediamenti continueranno. Il basso costo della terra sottratta e l’aumento dei prezzi immobiliari li rende redditizi. Se moralità e diritto internazionale non bastano, l’unica strada è che la comunità internazionale imponga un "prezzo" alla colonizzazione.

Lei ritiene che Israele sia ancora uno Stato democratico?

Un Stato che, per generazioni, lascia milioni di persone senza diritti civili e politici, senza prospettive di cambiamento, non può essere considerato democratico.

Però ha istituzioni democratiche.

Certo: ha un parlamento eletto, ha la separazione dei poteri, rispetta lo stato di diritto, è pluralista in ambito accademico e artistico. Però molti di questi tratti si sono erosi, negli ultimi anni. Il Paese è su una deriva autoritaria.

Israele, da sempre nel campo dei Paesi liberali, sta diventando un’autocrazia?

Abbiamo ancora libere elezioni. Ma stiamo seguendo le orme di Paesi come l'Ungheria, l'India e persino la Russia di Putin.

Spera che Israele vada presto al voto?

Sì, ma anche qui incombono minacce: c’è un tentativo di modificare la legislazione per escludere i rappresentanti della minoranza palestinese dalla partecipazione elettorale.

Se il governo in carica riuscirà a realizzare tutti i suoi obiettivi, non solo Israele resterà uno Stato di apartheid, responsabile di crimini di guerra e contro l’umanità, ma anche le sue ultime caratteristiche democratiche svaniranno. Diventeremo una sorta di totalitarismo ebraico.

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