Stuprata a morte da due uomini: condannati gli assassini di Lynette
La Corte Suprema di Coffs Harbour, in Australia ha condannato i due uomini che hanno stuprato a morte la 33enne, Lynette Daley. Dopo sei anni dall'omicidio della giovane madre, avvenuto sulla spiaggia di Ten Mile a nord di Yamba, nel Galles del Sud, i giudici hanno giudicato colpevole di omicidio l'allora fidanzato della vittima, Adrian Attwater, 40 anni, e di favoreggiamento e inquinamento delle prove, l'amico Paul Maris, 47. Entrambi sono stati giudicati colpevoli di stupro aggravato.
I tre erano in campeggio nella solitaria spiaggia australiana, quando, dopo che Lynette aveva ingerito una consistente quantità di alcol (circa sei volte superiore a quella consentita per guidare) Attwater ha aggredito sessualmente la fidanzata, invitando anche l'amico ad approfittare di lei. L'atto sessuale è stato consumato con tale violenza da causare gravi lesioni interne ed esterne alla giovane, ormai incosciente e incapace di reagire.
Attwater si è fermato solo quando ha notato la propria mano insanguinata: è stato allora che ha capito che Danielle aveva subito danni molto gravi. I due amici quindi hanno occultato le prove del brutale stupro e, solo dopo aver finito, hanno chiamato un'ambulanza, consegnando ai paramedici il corpo nudo e esangue di Lynette. Per la 33enne, ormai, era troppo tardi. La ragazza è morta per l'emorragia causata dallo stupro, ma, come stabilito successivamente, si sarebbe potuta salvare se i soccorsi fossero stati chiamati in tempo.
Gli uomini hanno negato da subito ogni responsabilità, spiegando che si era trattato di un malore. Dall'esame autoptico, tuttavia, il coroner ha potuto immediatamente trarre conclusioni diverse. Le gravi lesioni sul corpo della ragazza hanno dimostrato che era morta per un trauma da stupro, non solo: l'esame tossicologico ha fornito la certezza che la ragazza fosse praticamente in coma e il rapporto fosse tutt'altro che consenziente.
In attesa della sentenza definitiva il padre di Lynette si è detto soddisfatto del verdetto della corte: "È bello sentire la parola ‘colpevole'".