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Studenti iraniani a Fanpage: “Presi in ostaggio, picchiati e arrestati nelle proteste a Teheran”

Hamid, uno studente iraniano laureando in Ingegneria, ha raccontato a Fanpage.it le violenze subite dai chi protesta all’università di Teheran.
A cura di Redazione
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A cura di Dario Barani

"In ostaggio per una notte intera nell’università, cercando di sfuggire alla caccia all’uomo delle milizie speciali iraniane. «I soldati non si fermavano di fronte a niente. Il loro unico interesse era colpirci e arrestarci. Non abbiamo appiccato incendi o danneggiato cose. Abbiamo solo cantato. Perché niente più delle parole fa male al regime". All’università Sharif di Tehran gli studenti sono ancora in sciopero. Sono passati pochi giorni dall’assedio delle forze speciali iraniane di domenica 3 ottobre e la tensione è ancora alta. Molti degli oltre 50 arrestati sono stati rilasciati dopo 48 ore. Qualcuno continua a essere sotto custodia cautelare. "Chiamo tutti i giorni il carcere per sapere che fine abbia fatto il mio migliore amico. Ma nessuno mi da una risposta. So solo che è vivo".

Hamid, laureando in ingegneria,  accetta di parlare con Fanpage.it a condizione dell’anonimato. È uno dei tanti ‘geni' – così vengono chiamati gli studenti della Sharif – che si è ritrovato a vivere una notte di terrore, passata a schivare i proiettili di gomma delle forze speciali e la violenza dei Basij, la milizia paramilitare giovanile che risponde agli ordini della Guida Suprema."I soldati non si sono fermati di fronte a nessuno: studenti, professori, vigilanza. Il loro unico obiettivo era sbatterci a terra, farci male e arrestarci".

"Arrestati e picchiati per slogan contro il regime"

Il racconto di Hamid parte dal giorno precedente, sabato 2 ottobre. "Avevamo disertato le elezioni ed eravamo scesi in strada per protestare contro l’arresto di quattro studenti, quattro nostri amici. Arrestati e poi picchiati solo per aver intonato slogan contro il regime e la guida suprema dell’Iran. Sabato, ci siamo dati appuntamento davanti all’ingresso principale dell’università. Tutto era tranquillo, anche il giorno dopo avremmo voluto fare la nostra protesta. Però ci siamo accorti subito che il clima era cambiato". Domenica mattina, infatti, gli studenti non sono soli. I Basij si sono infiltrati come sempre fra loro. Ma questa volta iniziano a provocarli. "Cercavano lo scontro, deridendoci e difendendo l’operato delle autorità. Noi, però, non siamo caduti nella trappola. Abbiamo usato solo la nostra voce più forte che potessimo cantando la nostra rabbia. Nessun incendio, nessun danno. Solo la nostra voce, le nostre parole. Eravamo tanti, almeno 500".

"Ci hanno presi in ostaggio, sparavano ad altezza uomo"

Il clima è incandescente, e per evitare incidenti gli studenti si spostano all’interno dell’università per continuare la mobilitazione. Poi dopo un’ora decidono di tornare a casa.  Ma scoprono di essere in una  gabbia. "Fuori dal portone principale c’erano in tenuta antisommossa poliziotti e forze speciali. Oltre a soldati vestiti in abiti civili". È a quel punto che la sicurezza dell’università decide di sbarrare tutti gli ingressi, sperando di mettere in sicurezza gli studenti. "Eravamo circondati, praticamente in ostaggio. Mi sono affacciato dal portone secondario – ricorda Hamid –  e c’era di tutto: moto, furgoni e truppe armate pronte a colpirci". Gli studenti alla spicciolata cercano di uscire. Ma quando la porta si apre le milizie tentano un’irruzione. "Alcuni studenti sono stati sbattuti in terra e picchiati. Noi abbiamo cercato di aiutarli, e subito è partito il lancio dei gas lacrimogeni. Ci sparavano con i proiettili di gomma ad altezza uomo, per fortuna nessuno di noi è morto, anche se alcuni hanno riportato serie ferite".

Le proteste studentesche in tutte le università dell'Iran

L’unica via di fuga diventa il parcheggio. È li che la sicurezza dell’università conduce gli studenti con un cordone umano. L’exit strategy si rivela però una trappola. "Anche lì era pieno di soldati vestiti da civili. Hanno iniziato a rincorrerci e a spararci per tutto il parcheggio (come si può vedere in alcuni video condivisi sui social ndr). Ci hanno picchiato e hanno fermato alcuni studenti. Mano nella mano ci siamo messi in salvo e siamo tornati nell’università, chiudendoci completamente dentro. Molti di noi hanno avuto attacchi di panico". La situazione si è calmata solo dopo diverse ore. Col passare dei giorni, però, la mobilitazione studentesca si è allargata alle università di tutto l’Iran: Tabriz, Esfahan, Mashad. "Per impedire di incontrarci sono state imposte le lezioni online. Ma noi le stiamo disertando e continuiamo il nostro sciopero".

"Non è protesta contro Hijab ma contro gruppo di potere"

Dalla morte di Mahsa Amini, arrestata dalla polizia morale (Gasht-e Ershad) perché portava il velo in maniera non corretta e poi morta durante la custodia cautelare, è ancora impossibile quantificare il numero degli arrestati e uccisi nel corso delle manifestazioni. Proteste che secondo la guida Suprema Ali Khamenei sarebbero state “orchestrate” dagli Stati Uniti. "È una stronzata – conclude Hamid –  ma questa non è la protesta contro l’Hijab. In Iran tutti hanno un motivo per odiare questo gruppo di potere. Colpiscono noi giovani per mettere paura a tutti. Ma invece della paura sta crescendo la rabbia. Ma non possono ucciderci o arrestarci tutti. Non siamo insetti. Per questo continueremo a protestare".

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