Dominique Strauss Kahn è tornato ad essere un uomo libero, scagionato dall'accusa di aver violentato una cameriera in un albergo di Washington. Riabilitato, ma politicamente distrutto (anche se in Francia sono in molti a chiedere che il Partito Socialista torni a scommettere su di lui) e per giunta ancora in attesa degli sviluppi relativamente alla denuncia per molestie sessuali di Tristane Banon, giornalista e scrittrice, figlia di Anne Mansouret, esponente di primo piano del Partito Socialista francese. E sono in molti a credere che sia proprio nei meandri della politica, francese ma non solo, che vada ricercata la vera "ragion d'essere" dell'intera vicenda.
In effetti, analisti e commentatori sono piuttosto concordi in una valutazione "a posteriori", ovvero che la sostituzione di Strauss Kahn con la connazionale Christine Lagarde al vertice del Fondo Monetario Internazionale rappresenti un "punto a favore" del presidente Francese Nicholas Sarkozy e, più in generale, dei conservatori europei. Anche perchè la vicenda cade in un momento estremamente delicato per gli equilibri politico – finanziari del vecchio continente, con la Grecia a rischio default e una difficile stabilizzazione in Portogallo ed Irlanda.
E se la rispettata studiosa francese è chiamata innanzitutto a restituire credibilità all'istituzione finanziaria, non vanno dimenticati altri tasks di primaria importanza, la cui gestione resterà non priva di conseguenze per gli equilibri internazionali.
IL CASO GRECIA – "A default and restructuring of Greece's debt may be necessary", questo in sintesi il pensiero del nuovo capo del Fmi. Il punto è però come conciliare questa linea con l'enorme esposizione delle banche (anche e soprattutto francesi) sui titoli greci, soprattutto in considerazione del fatto che la Grecia è la nazione che in assoluto ha beneficiato della maggiore assistenza da parte del Fondo Monetario (solo nello scorso anno ha ricevuto da Unione Europea e Fmi qualcosa come 160 miliardi di dollari). Anche in tal senso il legame a doppio filo fra la neo – Presidente ed il Presidente francese Nicholas Sarkozy non ha mancato di suscitare più di qualche perplessità fra gli analisti e gli esperti di relazioni internazionali. Come ha affermato Kevin Gallagher, professore alla Boston University, in una intervista a Seattlepi.com, "She needs to make it clear that she's taking off her French finance minister hat and putting on her global financial institutions hat", dimostrandosi autonoma e capace di prendere decisioni nell'interesse "generale".
EQUILIBRI INTERNAZIONALI – La Lagarde è vista prima di tutto come una conservatrice, una donna di polso a cui spetta soprattutto il compito di ridare credito all'istituzione, travolta da scandali, insinuazioni e "complotti" e mai come ora sotto la lente d'ingrandimento dei media internazionali. E che la sua reggenza cominci proprio in un momento estremamente delicato per l'intero sistema occidentale non può essere vista come una semplice coincidenza. Anche perchè questo "momento" in realtà rappresenta l'apice di una crisi che si trascina da anni e che affonda le sue radici nelle contraddizioni "storiche" dell'economia occidentale e, senza volerci addentrare troppo in tecnicismi e nozioni specifiche, che si sostanzia in alcuni punti essenziali tra cui spiccano l'incapacità di ripensare criticamente i gangli del liberismo post colonialista, l'emergere di "economie alternative rette da enormi capitali e forza lavoro a basso costo" e il dissidio fra economia e speculazione finanziaria.
ANCHE GLI STATES A RISCHIO DEFAULT? – Ma la partita a scacchi che si sta giocando ai vertici dell'istituzione internazionale rischia di passare finanche in secondo piano rispetto alla crisi "sostanziale e gravissima" che si è aperta negli States, con l'impossibilità per il presidente Obama di ottenere "l'assegno in bianco" da parte dei repubblicani e lo spettro, giorno dopo giorno sempre più concreto, di un default per quella che è (verrebbe da dire "era") la prima economia mondiale. E se gli USA dovessero risultare definitivamente "insolventi", cosa ne sarà delle tante "economie satellite", nonchè delle banche esposte e delle "strategie" di mercati e Governi? E tutto questo per non parlare neanche degli enormi costi sociali che comporterebbe una tale situazione, ma questo del resto pare non preoccupare troppo i repubblicani statunitensi ostinati nell'opporsi al piano Obama (che prevede aumenti di tasse sulle rendite finanziarie in particolare): "che mangino brioches…"