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Strage Orlando, familiari delle vittime fanno causa a giganti del Web: “Aiutano l’Isis”

Alcuni parenti delle persone uccise da Omar Mateen al gay club Pulse hanno citato in giudizio Twitter, Facebook e Google ritenendo che le loro piattaforme social abbiano fornito all’Isis account usati per diffondere la propaganda estremista.
A cura di Antonio Palma
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I grandi colossi del web e del mondo dei social media come Google, Twitter e Facebook, contribuiscono con le loro piattaforme a dare "supporto materiale" alla propaganda dell'Isis  di fatto favorendo la radicalizzazione di tanti musulmani. È quanto sostengono alcuni familiari delle vittime della strage di Orlando, in Florida,  che hanno intentato un causa davanti ad un tribunale citando in giudizio le grandi società che gestiscono i social con l'accusa di aver contribuito a radicalizzare l'autore della strage, Omar Mateen. L'uomo, da tempo negli Stati Uniti, entrò in un locale frequentato da gay, il club Pulse,  mettendo in atto quella che è passata alla storia come la più grande strage della storia americana con 49 vittime, poi rivendicata anche dall'isis.

Come confermato dalle indagini, il 29enne, ex guardia giurata, non faceva parte di nessun gruppo organizzato ma si era radicalizzato col tempo anche grazie ad alcuni filmati e scritti che reperiva online attraverso la propaganda dello Stato islamico sul web. Da questo dato sono partiti alcuni familiari delle vittime sostenendo che le tre piattaforme web "hanno fornito al gruppo terroristico dell'Isis account usati per diffondere la propaganda estremista, raccogliere fondi e attrarre nuove reclute". "Senza Twitter, Facebook e Google (YouTube), la crescita esplosiva degli ultimi anni del gruppo terroristico più temuto al mondo non sarebbe stata possibile", si legge nella citazione del procedimento giudiziario intentato nel distretto orientale del Michigan.

Fino ad ora la legge ha sempre messo al riparto i colossi del web da simili contestazioni ma ora alcuni avvocati sostengono che network come Facebook potrebbero aver violato la normativa sul finanziamento a gruppi terroristici perché consentendo di piazzare pubblicità legate alle informazioni degli utenti avrebbero condiviso con l'Isis gli introiti pubblicitari. Che la causa vada in porto è ancora tutto da vedere, ma se si dovesse arrivare a processo potrebbe essere una rivoluzionare per il mondo dei social media.

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