“Sono sopravvissuto per 3 giorni nella barca sul fondo dell’oceano”: il racconto del sub Harrison Okene
"Sono sopravvissuto tre giorni in una barca capovolta sul fondo dell’oceano", così racconta la sua esperienza estrema Harrison Okene, l'uomo che dieci anni fa è stato protagonista di un evento che gli ha cambiato l'esistenza: è rimasto per 3 giorni nella barca sul fondo dell'oceano. Oggi descrive al The Guardian le emozioni vissute in quei momenti terribili. "Amo il mare più che mai e ho deciso di diventare un sub" afferma al quotidiano britannico l'uomo.
Okene aveva 29 anni nel 2013, quando avvenne "l'incidente", come lo chiama lui. All'epoca lavorava come cuoco sul Jascon-4, un rimorchiatore che assisteva una petroliera a circa 30 km al largo della costa della Nigeria.
Sembrava un giorno qualunque: Okene stava dirigendosi in cucina per accendere i fornelli per la colazione, indossava solo i boxer. Sarebbe dovuto andare in ferie tre giorni dopo; stava pensando a questo mentre si dirigeva verso il bagno, proprio quando l'onda colpì l'imbarcazione.
“Stavo cercando di aprire la porta per uscire, quando la tazza del water è caduta colpendomi alla testa”, racconta. "Ho avuto appena il tempo di vedere il sangue fuoriuscire dalla ferita prima che le luci si spegnessero. Ovunque era buio." Okene capì che il bagno stava cominciando a riempirsi d'acqua, sentendo la barca toccare il fondo del mare. L'imbarcazione si fermò a trenta metri sotto la superficie.
Inizialmente, come afferma Okene al The Guardian, "il portello di uscita sembrava la migliore via di fuga: poi mi sono detto che, invece di farmi prendere dal panico, dovevo pensare a un modo per scappare”. A quel punto Okene aprì la porta del bagno ed entrò nella cabina del secondo comandante, vide due giubbotti di salvataggio, ciascuno con una torcia.
"Ne misi una in bocca, l'altra nei boxer, nuotando nuovamente verso la porta d'uscita per cercare di scappare. Fuori dalla cabina del secondo ingegnere, i corridoi erano pieni d’acqua, non c’erano sacche d’aria e non avevo abbastanza fiato per stare troppo tempo davanti alla porta di uscita" dice il nigeriano al quotidiano britannico.
Okene dice di aver cercato di scacciare via la paura che provava in quei momenti interminabili: "Perché una cosa che può ucciderti velocemente è la paura. Quel panico che ti assale e ti uccide prima che arrivi la tua vera morte".
Poi un suono disturbò il silenzio: era un sub, venuto a mettere una boa segnaletica sulla nave per avvisare gli altri passeggeri della posizione del relitto. A quel punto Okene martellò speranzoso sulla fiancata della barca, “cercando di dare un segnale a chi era fuori”.
Il The Guardian mostra anche il video della telecamera sul casco del sub nel quale si vede il momento in cui il sommozzatore vide il palmo pallido di Okene galleggiare nell'acqua davanti a lui. A quel punto, la mano del sub afferrò la sua.
Il nigeriano fu portato in una camera di decompressione dove avrebbe trascorso tre giorni; se fosse tornato direttamente in superficie, sarebbe infatti morto. Quando furono effettuate alcune misurazioni a Okene, “tutto era normale: la temperatura, la pressione sanguigna. Ho pensato che fosse eccezionale" dice il nigeriano.
Uscito dalla camera, Okene ha successivamente rifiutato il consiglio di andare in ospedale. Nelle settimane successive, le notti furono caratterizzate dagli incubi. "Sentivo il letto affondare. Prendevo mia moglie, la portavo in braccio e cercavo di aprire la porta per uscire”, dice.
Okene oggi, come racconta al The Guardian, ha 39 anni, lavora come subacqueo, installando, costruendo e riparando impianti petroliferi e di gas. "La profondità massima a cui posso andare adesso è 50 metri", dice. La tragica esperienza vissuta sul fondo dell'oceano e la sua sopravvivenza “hanno cambiato la mia vita in tanti modi. Il modo in cui penso, il modo in cui vedo la vita. E sì, in realtà l'ha migliorata”, conclude il sommozzatore nigeriano.