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Guerra in Ucraina

“Sono nelle galere di Putin perché ho fatto il mio dovere”: intervista in carcere con Dima Ivanov

Per il giovane attivista universitario chiesta una condanna a nove anni: ha criticato la guerra in Ucraina. È in attesa della sentenza. “A volte mi sento spaventato e solo. Sono giorni bui. Ma la Russia rinascerà libera”, scrive a Fanpage.it dalla prigione. E critica le sanzioni, che “in certi casi aiutano il regime”.
A cura di Riccardo Amati
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Dmitry Ivanov (agenzia Sota)
Dmitry Ivanov (agenzia Sota)
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Dopo averlo seguito per giorni, lo hanno aspettato dove aveva parcheggiato la bicicletta fuori dalla facoltà. Sapevano a che ora finiva la lezione. Per l’arresto, hanno trovato una scusa. Un’accusa da poco. Poi, quando si trovava già dietro le sbarre, gli hanno scaraventato addosso la “gorinovskaya”: articolo 207.3 del codice penale. Lo stesso per cui è stato condannato a sette anni il consigliere distrettuale moscovita Alexey Gorinov. È l’arma letale della magistratura russa contro chi parla della guerra in Ucraina in modo difforme dalla versione ufficiale del regime.

Dmitry Ivanov, Dima per gli amici, ha 22 anni e rischia di passare i prossimi nove in prigione, dove si trova dal maggio scorso. Attivista politico della prestigiosa Università statale Lomonosov di Mosca, Dima ha un canale Telegram seguito da oltre diecimila persone. Vi ha postato resoconti di quel che le forze armate russe hanno combinato a Bucha e a Mariupol. “La galera per me è la prova che ho fatto quel che era giusto fare”, spiega dal carcere scrivendo a mano sui fogli di un quaderno a quadretti fatti poi arrivare per vie segrete a Fanpage.it. “A volte mi sento spaventato e solo. Sono periodi bui. Ma la mia Russia nel futuro sarà libera, pacifica e prospera: sarà una Russia felice”. I giovani russi “non sono apatici, ma solo frenati da un regime che non ti permette di fare politica”. Le università restano “una fucina di libero pensiero, nonostante la repressione”. C’è speranza: “Putin sta cercando di trascinarci nella follia, ma non ci riuscirà” Le sanzioni? Alcune, come quelle bancarie che colpiscono i russi in fuga dal regime, “sono un aiuto allo zar”.

Le risposte di Dima alle nostre domande sono arrivate nel giorno stesso in cui la Corte del distretto di Timiryazevsky a Mosca ha chiesto che sia condannato a nove anni di reclusione. “Ha risposto con un sorriso”, racconta chi era presente in aula. “Faremo in modo che questo diventi un Paese libero“, ha poi detto Dima nel suo posledneye slovo” — l’ultima parola concessa dai tribunali russi agli imputati prima dell’immancabile condanna. Le assoluzioni, negli ultimi anni, non superano lo 0,5% del totale, secondo dati della stessa Corte suprema della Russia.

Quella che segue è l’intervista integrale al prigioniero di Putin.

Come sei trattato in carcere? Come sono le tue giornate?

Sono dentro da 10 mesi, ho girato tutte le galere di Mosca e non è certo il massimo della vita. Ma ho comunque una vita: parlo con i compagni di cella, ci scambiamo notizie. Ho il permesso di leggere e di scrivere. Gioco a scacchi. Una cosa che mi prende molto tempo e di cui sono felice sono le lettere: tante. Ogni giorno. Cerco di rispondere a tutte. I rapporti sono civili anche con i secondini. A volte parliamo addirittura di politica. Gli agenti son più cauti dei carcerati, nell’esprimere opinioni. Ma mica la pensano tutti come Putin. So che dove mi trovo ora, in attesa di giudizio, la situazione è relativamente confortevole. La prigione dove mi manderanno dopo il verdetto sarà ben più dura.

L’ultima volta che ci siamo visti, a Mosca nel marzo di un anno fa, qualcuno ti aveva appena scritto “traditore” sulla porta di casa, la città era piena di “Z” in appoggio all’invasione dell’Ucraina e il mondo stava crollando addosso a voi attivisti dell’opposizione. Era chiaro che l’arresto era imminente. Perché non hai lasciato la Russia, come tutti – me compreso – ti consigliavano di fare?

Come ti dissi allora, non ero per niente spaventato dalle scritte sulla mia porta. Poi ho scoperto chi fossero gli autori: un movimento pro-Putin noto per tali buffonate. A volte piuttosto pericolose, come quando gettarono addosso ad Alexey Navalny una vernice verde che quasi lo accecò da un occhio. O particolarmente odiose, come quando profanarono il memoriale di Nemtsov sul luogo dove fu ammazzato (il leader dell’opposizione Boris Nemtsov fu ucciso esattamente otto anni fa a Mosca sul ponte Bolshoy Moskvoretsky, a meno di cento metri dal Cremlino. Sui mandanti, nessuno ha mai davvero indagato, ndr).

Sono porcherie che attirano l’attenzione, ma niente di più. Per quanto riguarda l’arresto, me l’aspettavo da tempo. Dopo l’invasione dell’Ucraina, il rischio è aumentato. Fino a che è diventato inevitabile. Ho cercato di non pensarci. E comunque non ho mai pensato di lasciare la Russia. Era importante rimanere a casa e cercare di dar voce ai milioni di russi che sono contro questa follia. La stessa decisione è stata presa da Vladimir Kara-Murza, Alexey Gorinov, Ilya Yashin: per me è un onore trovarmi sulla loro stessa barca.

Sei stato arrestato altre volte, in passato, per aver protestato contro il regime. Stavolta però è tutto molto diverso, mi sa.

Prima erano dieci giorni di arresto “amministrativo”, o poco più. Ora mi aspettano anni di carcere duro. Ma non ho dubbi che il regime crollerà prima che io finisca di scontare la pena. Il piano di Putin per una rapida vittoria in Ucraina è fallito. E gli autocrati che subiscono una sconfitta militare vanno sempre incontro alla perdita del loro potere e alla caduta del sistema politico che avevano creato. Insomma, non mi pento di nulla. Tornando indietro, rifarei le stesse cose. Anzi, cercherei di protestare ancor più efficacemente contro il regime prima di essere arrestato.

Ma vale la pena affrontare una pena detentiva così dura per un attivismo politico che, nel Paese di Putin, è destinato ad rimanere sterile?

Il mio principio è: fai quel che sai di dover fare e poi sarà quel che sarà. Quando il mio Paese ha scatenato una guerra criminale contro il popolo fraterno di un Paese vicino, non potevo tacere. Dovevo dimostrare a tutti, all’Ucraina e al mondo, che Putin non è la Russia, che tanti russi sono contro la guerra e non hanno paura di dirlo. Insieme a molti altri, chiedo la fine immediata di questa guerra. Quindi, ho fatto quel che dovevo fare. Né più né meno. Ho partecipato a proteste non violente, distribuito volantini, diffuso informazioni, firmato petizioni, dato interviste. È vero che tutto questo non è servito a fermare il massacro solo a farmi finire in galera. Però la galera per me è la prova che ho fatto quel che era giusto.

E non ti senti scoraggiato? Non hai paura?

Certo. A volte sono spaventato, triste. Mi sento ferito e solo. Sentimenti naturali per chi è chiuso in una prigione. Ma ho un enorme sostegno da parte di tante persone, dalla ma famiglia, dagli amici. E mi sento partecipe di un evento storico. Magari degli eventi storici è più facile e piacevole leggerne piuttosto che trovarcisi dentro. Ma non siamo noi a scegliere i tempi in cui viviamo. Sta però solo a noi decidere come rispondere agli eventi che il destino ci mette davanti.

Che ambizioni hai, Dima? Ti vedi come un protagonista della politica in una nuova Russia? 

Mai pensato a una carriera politica. Sono un attivista e ho contribuito a campagne elettorali. Ma non ho mai desiderato il potere. Mai voluto controllare le persone. A me piace aiutarle, le persone. Cercare di far del mondo un posto migliore. Combattere le ingiustizie. Sono un matematico di formazione e un ingegnere informatico di professione. Mi interessa il mio lavoro, e constatarne i risultati. Solo che non posso farmi da parte quando vedo commettere crimini orribili per mio conto, pagati con le mie tasse. In futuro, sicuramente sosterrò politici di cui condivido le convinzioni. Ma niente di più.

Dmitry Ivanov (agenzia Sota)
Dmitry Ivanov (agenzia Sota)

Quale Russia vorresti vedere?

È un periodo buio e proprio per questo plasmare un’immagine del futuro è cruciale per la società russa. È il regime stesso che ha cancellato il futuro. Lo Stato si identifica in un’unica persona e non si capisce cosa verrà quando questa persona non ci sarà più. Un crollo? È l’idea che hanno anche molti oppositori di Putin in esilio all’estero: partono dal presupposto che i russi hanno fallito nel creare una vera nazione. Io però sono convinto che la Russia non si disgregherà, e che avrà un futuro. Putin sta cercando di trascinarci nella follia, ma non ci riuscirà. Ce la faremo. Supereremo le difficoltà. Non sarebbe la prima volta. Avremo una vita pacifica in un Paese finalmente normale, senza interruzioni traumatiche, senza la ricerca di nemici esterni più o meno virtuali. La Russia ha un potenziale enorme. Abbiamo tutte le condizioni per poter vivere con dignità. In libertà e nel rispetto di diritti inamovibili. E all’estero ci conosceranno per i nomi dei nostri scrittori e dei nostri scienziati, non per quelli di una banda di assassini. La Russia può utilizzare le sue risorse a beneficio dell’umanità e lo farà. Dirigendo le sue energie verso la creazione e non più verso la distruzione. La mia Russia sarà libera, pacifica, prospera. Sarà una Russia felice.

In un immaginario dopo-Putin, quali sono le prime cose che un nuovo governo dovrebbe fare? 

L’intero sistema si fonda sulla menzogna e sulla corruzione. Istituzioni e pratiche amministrative sono eredità dell’era sovietica. Si deve ricostruire tutto da capo. Priorità assoluta: rimuovere da ogni posizione di potere i criminali di guerra, che dovranno essere processati pubblicamente, così come i responsabili delle repressioni politiche. Nel contempo, si dovranno organizzare elezioni a tutti i livelli. Abbiamo bisogno di un parlamento indipendente, in cui siano rappresentate forze politiche in competizione fra loro (al momento tutti i partiti, compresi quelli della cosiddetta “opposizione sistemica” votano sempre a favore del governo, ndr) e che dovrà lavorare per abolire l’apparato repressivo e realizzare grandi riforme. A partire dalla creazione di una magistratura indipendente e di un sistema elettorale trasparente.

Credi che i giovani russi possano esprimere una nuova classe politica, nella Russia del futuro che immagini? Non sono troppo conformisti? Troppo apatici?

No, non sono apatici. Semplicemente, non è permesso loro di partecipare alla politica. Nella Russia di Putin, i nuovi partiti sono creati dall’amministrazione presidenziale. Sostenere partiti o movimenti non “registrati” significa esporsi a grandi rischi. Non è una questione di apatia.

Ci sono stati casi di studenti arrestati per essersi opposti alla guerra, su denuncia dei loro stessi compagni di classe. Lideologia del regime sta conquistando le università della Russia?

Come dappertutto, anche in Russia le università sono fucine di pensiero libero e progressista. Questo è il motivo per cui sono nel mirino della polizia e dei servizi di sicurezza, che cerano di reprimere i movimenti studenteschi, di “ripulire” il personale docente dagli elementi considerati anti-sistema e di creare un’atmosfera di paura. Ma è impossibile distruggere il ibero pensiero nelle università. Sarebbe necessario distruggere la stessa istituzione universitaria. Perché ti insegna a pesare, ad avere senso critico, a controllare le fonti e a lavorare individualmente e insieme agli altri.

Tu fai parte della “generazione Putin”: non hai visto governare che lui, durante la tua vita. Sei proprio sicuro che sapresti vivere senza uno zar? Che la Russia possa esistere senza un forte autoritarismo o un totalitarismo al potere?

Non solo sapremmo vivere senza una verticale del potere, ma è l’unico modo per noi. La Russia è un paese eterogeneo per etnie, culture, religioni e demografia. A lungo termine il decentramento del potere è inevitabile. Dobbiamo lottare perché avvenga. Servono organi di autogoverno locale con ampi poteri, e il ritorno ad elezioni dirette per sindaci e governatori. Non si può dettare dal Cremlino di Mosca a tutti i russi come vivere.

Alcuni “esperti” di Russia ritengono che in un Paese così grande e complesso, con una Storia così drammatica, l’autocrazia sia inevitabile. E che i russi l’autocrazia ce l’abbiano nel sangue, nel loro Dna. 

Saremmo “geneticamente dittatoriali”, insomma. No, queste sono sciocchezze razziste. Vengono usate per parlar male dei russi come popolo. Non esiste una mentalità da schiavi, in Russa. Esiste solo una cultura politica che può e deve cambiare. E nel nostro Paese c’è una richiesta di cambiamento.

Perché la gente non scende in piazza a protestare?

Veramente le proteste contro la guerra hanno portato a 20mila arresti, e ogni settimana vengono istruiti nuovi procedimenti penali contro gli oppositori. È vero che ora di manifestazioni se ne fanno di meno, ma è naturale che sia così. Le pene detentive per chi vi partecipa sono diventate estremamente pesanti. La protesta prende altre forme, o scompare. La posta in gioco però si fa sempre più alta. Putin si sta giocando tutto. Nessun compromesso con lui è più possibile. Quando perderà, e sicuramente perderà, l’esito sarà fatale. Putin perderà tutto.  

Come è cambiato il regime, durante gli anni di Putin?

Ovvero durante gli anni di tutta la mia vita, come dicevi. Riconosco una tendenza immutabile: l’attacco costante alla libertà e il rafforzamento degli apparati e del potere. All’inizio l’autocrazia ti dava qualcosa in cambio: la crescita economica. “Abbiamo barattato la libertà con il prosciutto”, dicevamo. Poi è finito anche il prosciutto. E la libertà non è tornata. Ci sono state fasi diverse. Il breve “disgelo” della presidenza Medvedev, le grandi manifestazioni del 2012, l’attacco giudiziario a Navalny, l’annessione della Crimea, l’omicidio di Nemtsov. I 22 anni di potere di Putin hanno avuto il loro culmine il 24 febbraio 2022: è stata la dimostrazione al mondo di dove può arrivare un potere irremovibile e senza controlli.

In Italia e in altri Paesi c’è molta gente che vede di buon occhio il “multipolarismo” e l’anti-americanismo di Putin. E che si schiera con il sedicente terzomondismo anti-imperialista della Russia. Non hanno qualche ragione?

A chi la pensa così vorrei far presente questo: l’anti-americanismo fomentato oggi dal regime di Putin non è che il ritorno alla retorica della Guerra fredda, instillata nelle vecchie generazioni. Si fonda sul desiderio di non approfondire l’essenza dei problemi e scaricare la colpa su un nemico esterno. Si tratta di un populismo a buon mercato che gioca sulle debolezze umane. Ma è tutto artificiale. La gente in Russia dice che i valori americani ci sono estranei e che gli Usa son la causa di tutti i nostri guai. Ma poi guarda i film di Hollywood e mangia hamburger con la coca-cola.

Le sanzioni servono a indebolire il regime? O fanno male solo alla gente comune?

Molte sanzioni non solo non danneggiano Putin ma addirittura lo aiutano, rafforzando il gradimento nei suoi confronti. Il presidente non ha certo risentito dell’assenza di Netflix e Spotify (che hanno abbandonato la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, ndr). Putin non sa neanche cosa siano, Netflix e Spotify. Ma i miei amici ed io lo sappiamo. Il danno è solo nostro. Però le sanzioni più controproducenti sono quelle bancarie contro i cittadini comuni. Il rifiuto di accettare le carte di credito russe all’estero non colpisce certo Putin e i suoi oligarchi. Colpisce i russi che sono fuggiti dal regime e dalla mobilitazione. È una misura che rende la vita difficile proprio a chi si oppone alla guerra. E tra l’altro rallenta il deflusso di capitali dalla Russia. È un aiuto diretto a Putin.

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