“Sono andato via da Gaza perché ho visto tanta gente morire, non sento mio fratello da una settimana”
A Gaza non è mai stata una novità vivere senza corrente, senz’acqua, senza cibo. La morte è sempre stata di casa. A raccontarlo a Fanpage.it è Andullah, che a Gaza ha vissuto per 24 anni. “Sono andato via perché ho visto tanta gente morire, ero convinto che sarebbe toccato anche a me, al punto di comprarmi un lenzuolo bianco, lavarlo, stirarlo, e metterlo in mezzo ai miei panni. Questa cosa l’ho fatta quando avevo 18 anni”. Abdullah ha vissuto in quella che è considerata una prigione a cielo aperto, racconta di come nulla di ciò che sta avvenendo a Gaza, per lui e i suoi familiari sia nuovo.
“Nella mia vita non c’è mai stato un anno di scuola non interrotto dai bombardamenti. Ricordo quando nel 2008 scoppiò la guerra, eravamo tutti davanti la scuola, e vedevamo il fumo salire in aria da tutte le parti”, continua Abdullah.
Il 31 ottobre, oltre agli ospedali, l’aviazione israeliana per colpire Hamas attacca anche un campo profughi. “A Jabalia si trova uno dei campi più affollati del mondo, dove c’è stato un massacro. Tra questi c’era anche mio zio con la sua famiglia”, spiega Abdullah mentre mostra sulla cartina dove si trova Jabalia.
E mentre i civili muoiono giorno e notte, i bambini rimangono senza genitori e i genitori senza figli, il premier Benjamin Netanyahu continua a sostenere la sua una battaglia del “bene contro il male”. “La guerra dentro Gaza sarà dura e lunga” ha dichiarato pochi giorni fa.
Da alcuni giorni si sono perse le tracce del fratello di Abdullah, che vivono a Gaza. “Non ho notizie di mio fratello e della sua famiglia da più di una settimana. Ad oggi, immagino che potrebbe essere successa qualsiasi cosa.”
Intanto sui social media continuano a turbinare immagini angoscianti che raccontano la storia di un’enorme catastrofe umana. Nelle città europee si svolgono marce di protesta. “La sensazione più forte e più brutta è quella sensazione di ingiustizia, perché abbiamo avuto la prova che le leggi internazionali e umanitarie non valgono veramente per tutti”, conclude Abdullah. È difficilissimo non perdere la speranza, “ma auguro al mio popolo di vivere un giorno in pace.”