“Solo Xi Jinping può convincere Putin alla pace in Ucraina”, dice il consulente del Cremlino
“Non è vero che il piano di pace di Pechino tiene conto solo delle richieste russe”. E comunque si deve sperare che porti a qualcosa perché “rappresenta l’ultima spiaggia”, vista “l’assoluta mancanza di flessibilità” dimostrata finora dallo zar. Alla vigilia della visita del leader cinese in Russia, Andrei Kortunov per 12 anni direttore del Russian International Affairs Council (Riac), istituto del ministero degli Esteri deputato a fornire analisi e raccomandazioni all’amministrazione presidenziale, spiega a Fanpage.it perché l’intercessione di Pechino è ormai l’ultima possibilità.
E racconta come abbia cercato in tutti i modi di tenere aperti canali diplomatici e di proporre soluzioni negoziali. Fin da prima dell’invasione: “Usa e Nato avevano lasciata aperta la porta al negoziato”. Tutto inutile, vista “la rigidità del governo russo”. Da qui la sua decisione di dimettersi: “Non posso accettare le recenti manifestazioni della politica della Russia, la mia è una decisione morale”.
Dottor Kortunov, l’unica speranza per un processo di pace in Ucraina viene dalla Cina, ci disse in una precedente intervista. Poi però sono stati resi noti i punti del piano cinese. E sembrano recepire solo le posizioni del Cremlino. Resta credibile, la mediazione cinese?
Resta credibile e io rimango della mia idea: Xi è l’unica persona in grado di convincere Putin a trattare. E non è vero che il piano cinese tiene conto solo delle richieste russe. Dipende da come lo si vuol leggere. Laddove parla di ”sovranità” e di “integrità territoriale”, per esempio, mi pare colga proprio il punto di vista ucraino. Certo, c’è da sperare che Xi arrivi a Mosca col desiderio di elaborare le proposte senza ignorare le istanze di Kyiv, e di discuterne con Putin.
Solo il leader cinese può aver influenza sulle decisioni del nostro presidente. Sono convinto che sia l’unica possibilità di arrivare a una soluzione diplomatica. Proprio perché nessun altro può far cambiare idea al leader del Cremlino e persuaderlo ad accettare i compromessi necessari per ogni negoziato. Compromessi che Putin ha finora rifiutato.
Intanto, un drone americano è stato praticamente abbattuto da un caccia russo sul Mar Nero, nello spazio aereo internazionale. Incidenti pericolosi. Quanto pericolosi?
Credo che l’area del Mar Nero sia la più ad alto rischio, perché è estremamente trafficata da mezzi militari. Sulla superficie, sotto la superficie e nell’aria. È molto più infida anche del Mar Baltico, dove pure spesso si sfiora lo scontro. Non a caso, l’incidente più grave degli ultimi anni è avvenuto proprio nel Mar Nero (nel giugno del 2021 la guarda costiera e l’aviazione russa spararono colpi “di avvertimento” contro la nave britannica Hms Defender che si era avvicinata alla costa della Crimea, ndr).
Si tratta di episodi che possono certamente innescare una escalation con le peggiori conseguenze possibili. E se succederà, tutto partirà proprio dal Mar Nero. Dove i pericoli sono molteplici e le regole di ingaggio pressoché inesistenti. Il caso del drone americano non fa che rafforzare i miei timori per quel che potrebbe succedere.
Quali sono i possibili esiti di questa guerra?
E difficile che una parte o l’altra mettano a segno una vittoria decisiva. Quindi, o si va a una trattativa o si prosegue con una guerra di logoramento. Una specie di Prima guerra mondiale sotto steroidi. In cui l’Ucraina viene distrutta, la Russia ha perdite enormi, e l’Europa vede ridimensionata la sua posizione nei confronti degli Stati Uniti. Una guerra in cui perdiamo tutti.
La posizione russa al momento è: nessuna trattativa prima di aver raggiunto i nostri obbiettivi. Lo ha ribadito recentemente il portavoce di Putin, Dmitry Peskov.
Non riesco proprio a capire cosa voglia dire Peskov. Perché ogni conflitto militare deve finire con la diplomazia. E ogni trattativa diplomatica si fonda sulla disponibilità a concedere qualcosa. A meno che non si voglia distruggere completamente il nemico.
Cosa difficile, anche per una potenza come la Russia.
Impossibile, per la Russia come per l’Ucraina.
Putin cercherà di trascinare la guerra il più a lungo possibile sperando che l’Occidente si stanchi di aiutare l’Ucraina?
Quali siano gli obbiettivi veri resta un mistero. La nostra leadership non li esplicita. Quel che è certo è l’assoluta mancanza di flessibilità nelle posizioni russe. E non vedo alcuna trattativa dietro le quinte che possa preludere a un’apertura.
Quel che dice la mette in contrasto col suo governo. Il Russian Council, che lei dirige da 12 anni, dipende direttamente dal ministero degli Esteri. È vero che sta rassegnando le dimissioni?
Sì. Da oggi non sono più direttore del Russian Council. Resterò come supervisore accademico solo per completare alcuni progetti. Al massimo fino alla fine dell’anno, se mi faranno lavorare. Ma probabilmente dovrò andarmene prima.
Lei è sempre stato contrario a questa guerra. Pochi giorni dopo l’invasione dell’Ucraina, ci disse che quella decisione non aveva fondamento logico, era inconcepibile ed era stata da lei fortemente sconsigliata.
Il mio disaccordo col ministero degli Esteri, di cui il Russian Council è espressione, esisteva da molto tempo ed è continuato. Riguarda diverse questioni politiche. Non posso accettare alcune delle recenti manifestazioni della politica russa, come lei sa bene perché le indicava poc’anzi. È del tutto naturale, quindi, che lasci la guida di un’istituzione che dipende direttamente dal governo. Ero pronto a lasciare. Ognuno ha un proprio livello di sensibilità. E per quanto mi riguarda, si è raggiunto il colmo. La mia, quindi non è una scelta professionale. È una scelta morale.
Spero che sia la cosa migliore per lei. Ma perché è rimasto finora?
L’unica ragione per cui sono rimasto finora, dopo lo shock del 24 febbraio 2022, è che ho cercato di usare le mie limitate capacità per tenere aperto un secondo binario con gli ucraini e con le controparti occidentali. Purtroppo non ho avuto successo. Ho stabilito più linee di comunicazione ma nessuna di esse ha avuto potuto influenzare in modo significativo la situazione sul terreno. Sarebbe sbagliato continuare in qualcosa che non mi sembra più possa avere valore.
Quindi ha mantenuto contati con gli ucraini. A che livello?
Sopratutto l’ex vice-ministro degli Esteri Chali. (Oleksandr Chali è uno dei più alti diplomatici di Kyiv, è stato responsabile delle negoziazioni per l’entrata dell’Ucraina nell’Unione Europea, ndr). È un personaggio autorevole e ascoltato. Non so però quanto sia davvero ascoltato da Kuleba, l’attuale responsabile della politica estera ucraina. Perché anche da quella parte c’è un alto livello di radicalizzazione.
E in che direzione andavate, con l’ucraino Chali, su questo vostro “secondo binario” negoziale?
Abbiamo lavorato sulle modalità per un cessate il fuoco, sullo status dell’Ucraina e le relative garanzie di sicurezza…
Chali il 29 marzo del 2022 a Istanbul, a margine dell’incontro negoziale Russia-Ucraina, disse proprio che le garanzie di sicurezza erano un format possibile per porre fine alla guerra. In pratica, Kyiv avrebbe potuto garantire una neutralità permanente e denuclearizzata, al di fuori della Nato, in cambio di un meccanismo che avrebbe consentito di chiedere assistenza militare a un garante in caso di aggressione.
È quello che proponevamo come assistenti e consulenti del Cremlino in quel negoziato. Il tavolo di Istanbul fu l’ultima vera occasione per arrivare a una soluzione diplomatica. Ma le nostre idee, non trovarono mercato. Così come non lo trovarono durante i precedenti negoziati in Bielorussia.
E prima dell’invasione? Era proprio impraticabile per la Russia una via diplomatica per risolvere la crisi?
Le risposte di Nato e Stati Uniti alle richieste russe del dicembre 2021 (la Russia voleva il ritiro della Nato dietro quella che fu la “cortina di ferro” della Guerra fredda con un accordo sulla sicurezza in Europa, oltre alla “porta chiusa” all’Ucraina, ndr) lasciavano aperti margini di trattativa. Abbiamo lavorato su quei documenti per capire come iniziare un processo negoziale.
Si tratta dei documenti trapelati in gennaio, quando qualcuno li fece avere a El País?
Esattamente: quanto pubblicato dal quotidiano spagnolo era del tutto esatto. Non si trattava di un semplice “no” alle pretese di Mosca. Non erano risposte negative al cento percento. I documenti arrivati dall’Occidente contenevano idee che potevano costituire la base per trattare. E partendo da quelle idee provammo a sviluppare una nuova spinta negoziale.
Su quali punti, in particolare, il governo russo avrebbe potuto aprire un tavolo?
Per esempio sulla proposta di una moratoria sui missili a gittata intermedia in Europa. O anche su quella di un nuovo sistema di controllo sugli armamenti convenzionali nel continente, con un trattato Cfe 2 (il primo trattato Cfe, firmato nel 1990 a Parigi, di fatto non esiste più da quando la Russia ha ritirato unilateralmente la sua partecipazione nel 2015, ndr).
Inoltre, nei documenti di Usa e Nato si parlava di “misure volte a rafforzare la fiducia”. Sulle quali lavorammo e consigliammo il nostro governo di dialogare. E soprattutto, sembrava a portata di mano una moratoria implicita o esplicita all’espansione ad Est della Nato. Abbiamo provato, con i miei colleghi, a convincere il Cremlino. Che però ci diede ben poco tempo. Perché dopo un paio di settimane fu lanciata l’operazione militare speciale. Non ci hanno voluto ascoltare. Forse delle nostre analisi e raccomandazioni al Cremlino non ne hanno neanche discusso.
E possiamo capir bene perché oggi decida di lasciar la guida del Russian Council.
Non posso essere d’accordo col mio governo nel non considerare soluzioni diplomatiche che mi parevano possibili e — nell’ambito del mio mandato — ho caldamente consigliato.