Siria, l’ONU conferma: “800 persone uccise dal regime”. L’indifferenza dell’Occidente
Come tutti i venerdi delle ultime otto settimane, i siriani, dopo la consueta preghiera, scenderanno in strada per protestare contro il regime di Bachar el Assad. Almeno oggi, però, non dovrebbe esserci l'ennesimo, brutale, spargimento di sangue in quanto pare che il presidente abbia ordinato all'esercito di non aprire il fuoco contro i manifestanti. Fino ad oggi sarebbero circa 800 le persone morte in Siria a causa della dura repressione attuata dal regime contro le proteste.
A confermare questi dati è stata oggi l'ONU, aggiungendo, inoltre, che migliaia di manifestanti sono stati arrestati dalle forze del regime di Bachar Assad dalla metà del mese scorso. "Non possiamo verificare questi numeri, ma ci sono liste dettagliate e pensiamo siano attendibili", ha affermato oggi il portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Rupert Colville. Le parole del rappresentante dell'ONU confermano le cifre diffuse da varie organizzazioni, come il gruppo di difesa dei diritti umani Sawasiah, organizzazione che lo sabato scorso aveva segnalato la morte di almeno 800 civili, uccisi dalle forze di sicurezza che, dall'inizio delle proteste, non hanno mai esitato a sparare sulla folla inerme.
Nel frattempo, la Siria si prepara a vivere un altro venerdì di proteste e, nonostante le promesse di Assad di nuove riforme (con la speranza di placare la rivolta) e di non sparara sui manifestanti, i carri armati dell'esercito, che ieri hanno attaccato la città di Homs, sono entrati nelle città del sud di Dael, Tafas, Jassem ed Al Harra. I leader occidentali intanto restano a guardare il massacro del popolo siriano, prendendo e perdendo tempo ed al massimo rilasciando timide dichiarazioni di condanna, come ha fatto la segretaria di Stato statunitense, Hillary Clinton, la quale, in una conferenza stampa, ha dichiarato che gli Stati Uniti presto chiederanno al Governo di Assad spiegazioni per le "rappresaglie brutali" contro i manifestanti e che potrebbero rafforzare le sanzioni contro il suo Paese, senza mai chiedergli, però, di lasciare il potere.
Sembra quantomeno curioso che se da una parte gli Stati Uniti e l'Europa sono intervenuti con fermezza in Libia, dove la NATO sta continuando i bombardamenti aerei per forzare l'uscita dal paese del dittatore Gheddafi, dall'altra hanno appena alzato la voce contro il regime siriano, imponendo lievi sanzioni economiche al regime, ma senza mai prendere una posizione netta contro il dittatore Bachar El Assad. Una spiegazione potrebbe essere ricercata nel fatto che la crisi libica è esplosa prima di quella siriana: quando è iniziata la rivolta in Siria, tra l'altro, molti paesi europei erano già impegnati militarmente su più fronti (Libia, Afghanistan, la Francia anche in Costa d’Avorio) e non sarebbero in grado di intervenire in un’altra crisi.
Nonostante questo, però, la titubanza, il silenzio e l'indifferenza dei paesi occidentali e dell'Unione Europea in primis (ancora una volta incapace di trovare una linea comune di politica estera) verso alcuni scenari mediorientali (vedi anche il Bahrein) anche se trovassero una spiegazione dal punto di vista strategico, stanno minando inevitabilmente, nei paesi interessati dalle proteste pro-democrazia, la credibilità degli Stati Uniti e dell'Europa e delle loro pretese democratiche.