video suggerito
video suggerito

Siria – Elicotteri da guerra, quartieri fantasma, centinaia di morti: è la guerra civile

Sventrata dalla guerra civile, la Siria prova resistere ai bombardamenti di Al Assad e alle mille contraddizioni presenti in seno al Consiglio Nazionale Siriano, organo che riunisce le principali sigle dell’opposizione. Intanto, la battaglia tra lealisti e ribelli si è spostata ad Aleppo e non accenna a finire.
A cura di Anna Coluccino
18 CONDIVISIONI
SYRIAN REVOLUTION

Bombardamenti e smentite. Questo il clima politico che, negli ultimi mesi, ha caratterizzato la Siria. Interi quartieri rasi al suolo, migliaia i morti accertati: l'esercito ribelle accusa l'esercito governativo ma Al Assad afferma di non saperne nulla. La missione ONU si fa sempre più complessa e infruttuosa, tanto che il capo dei caschi blu, Hervé Ladsous, ha dichiarato: "I diplomatici dovrebbe essere sempre ottimisti, ma la situazione è peggiorata rispetto a prima". Almeno la metà dei caschi blu presenti sul territorio ha lasciato il paese e restano altissimi i dubbi sul potenziale successo della missione. Stando alle dichiarazioni dell'esercito dei ribelli, Assad – questa mattina – avrebbe bombardato le aree di Yurat a Shaibati e di Al Sabina e Alasali a Damasco. A Yurat, in particolare, sono seguiti accesi scontri tra l'esercito lealista e l'esercito ribelle. Ma la zona calda, in queste ore, resta quella di Aleppo, tanto che la Turchia ha già chiuso – precauzionalmente – le frontiere, con particolare attenzione ai quartieri di Al Sukari e Al Bustan a Qasr Bab che sono stati attaccati dagli elicotteri delle truppe del regime. Gli scontri tra i due eserciti sono ormai all'ordine del giorno e non offrono alcuna tregua alla popolazione. Ad Atareb, centro un tempo celebre per essere uno dei mercati più vivaci della Siria nordoccidentale, ora regna solo il silenzio. L'esercito ribelle l'ha strappata a quello lealista a costo di mesi di sanguinosi combattimenti, tanto che la strada principale della città è stata soprannominata "il corridoio della morte": per mesi chiunque vi si avventurasse doveva affrontare raffiche di colpi dei cecchini di entrambi gli schieramenti. Sui muri della città i lealisti – costretti alla ritirata – hanno impresso un monito "Assad o la distruzione totale", è la guerra civile, non c'è spazio per chi vuole restarne fuori; non c'è spazio per la neutralità.

La TV di Stato siriana parla di "pulizia in corso" nel comune di Daria, periferia di Damasco, e dipinge i ribelli come terroristi e mercenari. Racconta di diversi arresti, sequestri di armi e munizioni, ma resta impossibile verificare quanto viene raccontato dai vari media per via dell'impossibilità per qualsiasi giornalista di lavorare sul posto. Molti sono di stanza in Libano e si affidano a fonti secondarie, alle dichiarazioni dell'ONU o a quelle dell'Osservatorio siriano per i diritti umani. Quel che è certo è che, dopo Damasco, tocca ad Aleppo sopportare il peso dei combattimenti che vedono coinvolti – da un lato – l'esercito siriano fedele ad Assad (i lealisti) e – dall'altro – l'esercito libero che ne chiede l'allontanamento (i ribelli) formato da diverse realtà d'opposizione riunite nel Consiglio Nazionale Siriano. In mezzo c'è quello stesso popolo che, lo scorso anno, ha cominciato a protestare contro il presidente/monarca chiedendo più diritti, più libertà, più giustizia sociale, più democrazia, ovvero un cambiamento radicale delle pratiche governative e si è visto rispondere con la repressione, i pestaggi, le persecuzioni, i bombardamenti.

Oggi però, nel giro di un anno, il popolo siriano si ritrova ostaggio di una sanguinosissima guerra civile di cui ancora non si vede la fine. Il presidente siriano, ormai, sembra aver perso il senso della misura e sono in molti – prima tra tutti la Turchia – a chiedere a Bashar Al Assad di accettare l'esilio per evitare un epilogo paragonabile a quello libico. La richiesta di abdicazione si è fatta ancor più insistente quando, nei giorni scorsi, il portavoce del ministero degli esteri – Jihad Maqdisi – ha candidamente ammesso il possesso di armi chimiche, dichiarazione prontamente smentita e riportata – oggi – come mera strumentalizzazione dei "media e dei canali diplomatici". Ma Assad non molla e, agevolato dalle molte contraddizioni presenti in seno al Consiglio Nazionale Siriano (organo collettivo che riunisce la molte sigle dell'opposizione), continua a combattere il tentativo di rivolta messo in piedi dai ribelli. Molti, infatti, cominciano a sollevare dubbi sulle reali intenzioni di alcune frange dell'esercito ribelle e del consiglio; specialmente dopo le dichiarazioni di George Sabra – portavoce del Consiglio Nazionale Siriano in Libano – che ha affermato di essere favorevole a una fase di transizione in cui i poteri vengono trasferiti nelle mani di figure vicine al regime, salvo poi offrire una poco convincente rettifica al sollevarsi delle proteste, ovvero: "La disponibilità rimane a formare un governo di unità nazionale con personalità del regime. Queste non dovranno però presiedere il nuovo esecutivo". A questo punto è lecito domandarsi: che cosa sta succedendo? A che serve tutto questo sangue se il cambio di guardia ai vertici si concretizza in un mero cambio di volto ma non di pratiche? Perché massacrarsi nelle strade – a danno della popolazione – e accordarsi nei palazzi? Cosa chiede l'esercito ribelle e perché Arabia Saudita e Qatar – alcuni tra gli stati meno democratici del Medio Oriente – ne sostengono militarmente le azioni?

Tutto è cominciato con la legittima ribellione di un popolo che ha voluto cavalcare l'onda rivoluzionaria innescata dalla primavera araba, desiderando emanciparsi dalla propria condizione, avanzare sul piano delle conquiste sociali e promuovere un governo più equo, giusto; ciononostante – ora – appare difficile capire con assoluta certezza dove stia andando a finire quel sano slancio rivoluzionario. La CIA ha recentemente ammesso di non avere idea di chi siano i principali animatori della guerriglia; ha ammesso di fornire loro mezzi di comunicazione schermati per evitare intercettazioni governative (le armi, invece, vengono fornite da Arabia Saudita e Qatar, due dei paesi più estremisti quanto ad islamizzazione della vita sociale) ma, non essendo presente sul territorio siriano, ha dichiarato di non avere modo di conoscere la composizione dell'esercito ribelle e comincia ad affermare timidamente che sì, potrebbe essere composto anche da frange estremiste. La presenza dei Fratelli Mussulmani in seno al Consiglio Nazionale Siriano e tra i ribelli è cosa risaputa – così come lo era  durante la rivolta egiziana – ma sono in molti a sollevare dubbi circa la presenza di vere e proprie organizzazioni terroristiche tra cui Al Qaeda, non ultimo il politologo libanese e giornalista di Al Jazeera Kamel Wazne e la stessa CIA.

18 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views