“Senza di noi oggi l’Ucraina sarebbe una piccola Russia”: parla l’uomo che fece scoppiare Euromaidan
Se in questi tempi di fitta propaganda putiniana qualcuno vi dice che Euromaidan fu in realtà un colpo di stato organizzato dagli Stati Uniti, potete sempre rispondergli: “Ma tu lo sai chi è Mustafa Nayyem”? Perché fu lui, e non la Cia, a innescare la rivolta. D’altra parte, chiunque abbia letto qualcosa di serio sugli innumerevoli golpe targati Usa e sulle tecniche dei colpi di stato capisce che Euromaidan, a cui seguirono la fuga in Russia del presidente Viktor Yanukovich, la “Rivoluzione della dignità” e nuove elezioni, fu tutt’altra cosa.
In piazza c’era il popolo. E se la Cia fosse stata all’opera nell’ombra avrebbe come minimo impedito alla responsabile dell’Ufficio affari europei del Dipartimento di Stato Victoria Nuland di andare con un sacchetto della spesa a distribuire panini ai manifestanti davanti alle telecamere. Certo, gli Usa avevano speso miliardi per aiutare l’Ucraina, dopo il crollo dell’Urss. Come per molti altri Paesi ex sovietici. Ma non fu Washington a portare in piazza gli ucraini, nel 2014.
Restano molti dubbi su chi sparò sulla folla e sulla polizia. Il ruolo di minoranze ultra nazionaliste ucraine come Pravy Sector nei disordini non è ancora chiaro. Pochi o punti sono però i dubbi sul coinvolgimento diretto della Russia nel cercare di pilotare la situazione a favore di Yanukovich, ovvero del Cremlino. L’eminenza grigia di Vladimir Putin, Vladislav Surkov, era a Kyiv insieme a uomini dei servizi di Mosca. Fece approvare le cosiddette “leggi dittatoriali”, a cui la piazza rispose con la rivolta. Ci furono i primi morti tra i manifestanti.
Accadeva esattamente dieci anni fa. “La rivolta scoppiò in modo naturale e fu del tutto trasparente e indipendente”, dice oggi Mustafa Nayyem. “Furono Surkov e i russi, piuttosto, ad agire nell’ombra fornendo approcci e narrative utili a Yanukovich”. I primi manifestanti scesero in piazza dopo un post di Nayyem su Facebook, la notte in cui il governo bocciò l’associazione con l’Ue: “Chi è pronto ad andare a Maidan (la piazza) prima di mezzanotte? I like non contano. Solo commenti sotto questo post con le parole ‘sono pronto’. Appena arriviamo a mille, ci organizziamo”.
Poco dopo, vista la reazione, aggiunse: “Appuntamento alle 10:30 sotto il monumento all’Indipendenza”. “Non pensavo sarebbe nata una rivoluzione”, dice oggi. “Fu una nuova fase della lotta per l’indipendenza dell’Ucraina. Una lotta che continua adesso contro l’aggressione russa”, spiega. “E continueremo a combattere. Per la nostra e per la vostra libertà”. Abbiamo raggiunto Nayyem in videoconferenze negli uffici dell’Agenzia governativa per la ricostruzione e per lo sviluppo delle infrastrutture, della quale è a capo.
Chi era Mustafa Nayyem nell’inverno di dieci anni fa?
Allora facevo il giornalista. Lavoravo per la Ukrainska Pravda. E avevamo appena lanciato la prima tivù online ucraina. Ero tra i fondatori e uno dei caporedattori.
Quindi era piuttosto conosciuto nel Paese. Sui social avrà avuto molti follower. Ma, quando il 21 novembre 2014 postò su Facebook il suo invito a scendere in piazza, si immaginava quel che poi sarebbe diventata quella protesta?
Non potevo immaginarlo. Vista a dieci anni di distanza, il post può sembrare qualcosa di straordinario. Ma in quel giorno mi sembrò una cosa ovvia da fare.
Quel giorno il vostro governo aveva fatto improvvisamente retromarcia su ordine del presidente Yanukovich e aveva votato contro l’integrazione nell’Unione Europea.
Il trattato di associazione all’Ue doveva essere firmato a fine novembre. Si erano create forti aspettative. Quando il governo decise che non ci sarebbe stata alcuna firma, fu uno shock. Per attivisti e giornalisti, ma anche per tutta la classe media. Fu una giornata di emozioni forti. Sembrò molto naturale uscire a protestare.
La scintilla ci sarebbe stata comunque, anche senza il suo post?
Già nelle settimane e nei mesi precedenti c’erano state proteste. Contro le violenze della milizia (la polizia antisommossa del ministero dell’Interno nota come Berkut, ndr). Addirittura era stata violentata e uccisa una ragazza e al poliziotto responsabile erano state garantite promozione e medaglia. Si era protestato anche contro gli arresti di leader dell’opposizione e attivisti pro-Europa. E poi c’erano la corruzione imperante e la censura. Tutte cose che ho vissuto sulla mia pelle. Le emozioni che già montavano tra la gente infine esplosero.
Inoltre quel giorno era un anniversario importante per l’Ucraina. L’appello ad andare a Maidan fu dovuto anche a questo?
Era il decimo anniversario della Rivoluzione arancione (la serie di proteste e di eventi politici nati dall’accusa di brogli nell’elezione di Viktor Yanukovich alla presidenza nel 2004 e sfociati in nuove elezioni vinte da Viktor Yushchenko, ndr). Per molti anni il Paese aveva festeggiato la ricorrenza. Quando Yanukovich divenne presidente, cancellò le celebrazioni. Ma molte persone avevano continuato a riunirsi informalmente a Maidan (Maidan Nezalezhnosti, ovvero Piazza Indipendenza, nel centro di Kyiv, ndr) per ricordare quegli eventi.
Insomma, fu un insieme di cose a iniziare Euromaidan…
Iniziò in modo molto naturale. La gente era arrabbiata e si mise a discutere della situazione su Facebook. Era successa una cosa enorme, che comprometteva il futuro del Paese. Dopo mesi di tensione. Tutto questo in una data dall’alto valore simbolico. E così partì quel mio post. In piazza arrivarono in tanti, nonostante fosse una fredda notte di pioggia. Ma certo non mi sarei mai aspettato quel che successe nei giorni e nei mesi successivi. Non credevo che così tanta parte della società civile rispondesse all’appello. Ogni giorno erano di più.
Cosa risponde a chi dice che Euromaidan fu in realtà un colpo di Stato organizzato dalla Cia?
Falso. Del tutto. La gente cerca spiegazioni e scuse per le cose che non capisce, e la propaganda russa ci marcia. La realtà è che fu una rivolta del tutto indipendente. In una prospettiva storica, non fu solo contro il governo e per l’Unione Europea: fu l’inizio di una nuova fase nella lotta per l’indipendenza del Paese. Tutte le istituzioni, dalla presidenza ai sevizi di sicurezza, erano occupate da persone che volevano riportarci sotto l’influenza diretta della Russia. Lo dimostra il fatto che quelle persone, dopo la rivoluzione, sono scappate proprio in Russia. La rivolta fu anche contro di loro.
La stessa narrativa viene utilizzata contro di voi oggi: l’Ucraina combatte come proxy, guidata dall’esterno…
Ed è anche questa una una sciocchezza: nei primi giorni di guerra combattemmo con le sole nostre forze. Eppure fermammo l’invasione. Fu la nostra gente a resistere. Era la nostra volontà. Altro che influenze esterne.
Cosa sarebbe l’Ucraina se dieci anni fa non vi foste ribellati a Yanukovich?
Una piccola Russia. Per i russi e i loro agenti è facile oggi rivoltare la frittata e dire che eravamo e siamo tuttora controllati dall’estero.
Non è mai stato provato che nei giorni di Euromaidan a Kyiv fosse in azione la Cia. Di sicuro, però, nella capitale era in azione il “proconsole” di Putin: l’ideologo Vladislav Surkov, con i suoi uomini. È ampiamente documentato. Come cercò di influenzare gli eventi?
Oh, in molti modi. Era dietro a tuti gli approcci e le narrative utilizzati dal governo di Yanukovich.
Proprio in questi giorni ricorre l’anniversario delle cosiddette “leggi dittatoriali” che Surkov si portò da Mosca. Furono approvate dal Parlamento ucraino nel caos e poi firmate da Yanukovich. Prevedevano le stesse misure repressive adottate in Russia dopo le manifestazioni del 2011-2012. La piazza si rivoltò e ci furono i primi morti di Euromaidan…
Oltre all’influenza diretta sulla politica, c’è stata probabilmente una responsabilità diretta di Surkov nella strage che poi ci fu in febbraio (in tutto morirono un centinaio di dimostranti e 13 poliziotti, ndr). Si sa che diversi gruppi legati ai servizi di sicurezza arrivarono da Mosca. Non è mai stato dimostrato che furono loro a sparare sulla folla. Ma ci sono documenti che avvicinano il nome di Surkov al massacro. Il caso resta aperto di fronte alla giustizia ucraina.
A parte queste accuse non dimostrate, l’influenza politica di Surkov si limitò alle “leggi dittatoriali” di cui parlavamo?
No: si concentrò anche sulla creazione di partiti pro-Cremlino. Il suo lavoro, come è noto, continuò poi nel Donbass. Tra i separatisti. Facevo il giornalista ed ebbi modo di documentare queste interferenze.
Surkov parlava direttamente, anche di aspetti strettamente militari con i capi delle autoproclamate repubbliche del Donbass, ha accertato il processo sulla strage del volo MH17…
E sono accertati pure la sua presenza e il suo ruolo prima e dopo l’occupazione della Crimea.
In seguito alla “Rivoluzione della dignità” molti attivisti di Maidan, tra cui lei, sono entrati in politica o sono diventati alti funzionari dello Stato. A dieci anni di distanza, vi trovate ad essere la classe dirigente di un Paese in guerra. È valsa la pena?
Credo che abbiamo fatto bene a entrare in politica e nelle istituzioni. Un errore grave degli attivisti della Rivoluzione arancione del 2004 fu che non lo fecero. Così dopo cinque anni ci ritrovammo con Yanukovich presidente. L’energia sociale e la voglia di trasformazione non si trasformarono in influenza diretta. Se non avessimo provato a cambiare le cose dall’interno, dopo il 2014, avremmo fallito ancora. Certo, non è stato facile. C’è stata tanta resistenza da parte dei vecchi padroni della politica e di burocrati abituati ad anni di corruzione e malaffare. Abbiamo fatto molti errori. Ma se non si iniettano forze giovani nel sistema, sarà impossibile cambiarlo.
Lei oggi è a capo dell’Agenzia governativa per le infrastrutture. Sono sufficientemente difese, le vostre infrastrutture?
Siamo più preparati rispetto a un anno fa. Ma gli attacchi russi si infittiscono e i problemi rimangono. L’inverno sarà ancora lungo. Oggi sappiamo meglio come affrontare i raid. Abbiamo più sistemi di difesa antiaerea. E i nostri soldati fanno miracoli per difendere le infrastrutture civili.
Il masterplan per la ricostruzione di Londra era pronto nel 1943, quando la fine della Seconda guerra mondiale non era in alcun modo prevedibile. Voi a che punto siete?
Non possiamo fare una stima precisa dei danni, se non altro perché parte del nostro territorio è ancora occupato. Al momento, più che sulla ricostruzione, siamo concentrati sulla sopravvivenza delle infrastrutture critiche. Ricostruiamo ponti, strade e rifugi antiaerei nelle aree più colpite e dove è più necessario. Ma la vera ricostruzione arriverà solo dopo la fine della guerra. Stiamo preparando standard, strutture organizzative e procedure in attesa di quel momento.
Il presidente Zelensky al forum economico di Davos sta incontrando alcuni dei maggiori investitori al mondo. Il numero uno della Jp Morgan Chase, per esempio. Si parla di emissioni obbligazionarie per la ricostruzione finanziate dalle riserve della banca centrale russa congelate all’estero. Quanto conteranno i capitali privati e i mercati, per la ricostruzione?
Saranno fondamentali. Capisco che al momento ci siano timori forti. Ma gli investitori devono venire qui e vedere come lavoriamo. I problemi della sicurezza pesano come un macigno, ma in alcune zone del Paese sono già affrontabili con serenità. È solo questione di tempo.
E come la mettiamo con il grande nemico interno, la corruzione?
Non è una situazione ideale. Siamo tutt’altro che perfetti. Ma dal punto di vista mio e del mio team, posso assicurarvi che non va poi così male come molti dicono. C’è una bella differenza rispetto a dieci anni fa. Le agenzie anti corruzione, la procura dedicata e gli standard creati dal governo funzionano. I corrotti ci sono. Ma i procedimenti contro chi viene beccato sono rapidi, le risposte sono pronte. Dobbiamo fare altre riforme e rafforzare le nostre istituzioni. Aiutare di più chi, sul campo, resiste alla corruzione.
Che aria tira a Kyiv? C’è stanchezza nei confronti della guerra? E si avverte la stanchezza dei Paesi alleati, per citare la nostra presidente del Consiglio?
Questa cosa che i Paesi europei e gli alleati occidentali sono stanchi di quel che succede in Ucraina la sento dire almeno dai tempi di Euromaidan e dell’occupazione della Crimea. È parte della propaganda contro di noi. Certo, è vero che il mondo ha altre cose a cui pensare e che nei Paesi alleati alcuni politici hanno interessi divergenti da quelli di Kyiv. Ma a livello popolare la nostra causa è sostenuta dai più. La narrativa secondo cui l’Ucraina ha stufato è pericolosa per l’Ucraina ma in generale per tutto l’Occidente e per la sua civiltà. Perché i nostri valori sono minacciati. La gente lo capisce. E sa bene che il conflitto potrebbe non fermarsi all’Ucraina. Comunque, tutto dipende da noi. Dagli ucraini. Se continueremo a combattere, saremo sostenuti dai nostri alleati. E so che continueremo. Lo dobbiamo alla nostra storia. Euromaidan compresa. Combattiamo per la libertà. Non solo nostra.