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Se la guerra ce l’hai in casa bombardare in Siria non servirà

Come nel caso degli attentati a Charlie Hebdo il nemico è in casa: almeno uno degli appartenenti al commando del Bataclan è un giovane francese della periferia di Parigi. La Francia deve fare i conti con giovani di seconda o terza generazione radicalizzatisi con il conflitto siriano, con i limiti dell’integrazione della République.
A cura di Valerio Renzi
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François Hollande calca l'elmetto e prova a prendere per mano una nazione ferita e sanguinante. A rete unificate e rimbalzando sulle televisioni di tutto il mondo prepara la risposta della Francia, che “contro le barbarie sarà spietata”. Il presidente lo dice chiaramente, agirà su tutti i fronti, quello interno con la proclamazione dello stato d'emergenza, è quello esterno che vuol dire una cosa sola: guerra a Daesh sul terreno siriano e iracheno.

Ancora non sono note le identità di tutti gli attentatori, ma è difficile pensare che il commando che ha sparso la morte a Parigi abbia introdotto una partita di AK-47 dalla Siria. Le forze dell'ordine hanno da poco reso noto che uno di loro è un cittadino francese, un giovane di Courconne, alla periferia di Parigi. Identificato tramite le impronte digitali avrebbe fatto parte del gruppo che ha aperto il fuoco al Bataclan. Un ragazzo che ha aperto il fuoco verso i suoi coetanei, francesi come lui, probabilmente incontrati in metro chissà quante volte, amici di amici o magari compagni di scuola.

Siamo con tutta probabilità di fronte a un gruppo misto, composto anche da cittadini francesi di seconda o terza generazioni radicalizzitisi come foreign fighters nel conflitto siriano. Come nel caso degli attentatori di Charlie Hebdo. Quella che la Francia ha di fronte è in gran parte una guerra civile, che mostra i nodi scoperti del modello d'integrazione della République, la coda lunga di un processo di decolonizzazione passato per la violenza brutale della guerra d'Algeria e mai concluso davvero sul terreno metropolitano.

I figli delle banlieues, francesi a tutti gli effetti ma di serie b. Quelli che Sarkozy da ministro dell'interno bollava come racaille, “feccia”, inchiodati al piano terra con l'ascensore sociale rotto. Messi da parte, visibili solo quando esplodono i riot all'indomani della morte di qualche ragazzino per mano della polizia, a Parigi come a Londra. Abbiamo visto giovanissimi radicalizzarsi tramite internet e qualche imam di quartiere, dare un orizzonte al loro futuro, trovare un posto nel mondo aderendo all'esercito della jihad globale. Sono ragazzi cresciuti in una società laica, nelle orecchio l'hip hop ai piedi le Nike, i genitori spesso e volentieri sono laici o vivono l'elemento religioso soprattutto come fatto culturale e non politico. Sono andati in scuole normali, non in qualche madrasa di Kabul o Islamadab,

Così mentre i caccia bombardieri riscaldano i motori, le frontiere vengono sigillate e le strade presidiate, sarebbe indispensabile, per disinnescare quella che si comincia a configurare anche come una guerra civile, riflettere anche su questo. Fare i conti fino in fondo con gli effetti di medio periodo, qui a casa nostra, della guerra al terrorismo inaugurata all'indomani dell'11 settembre. Perché il rischio è che la lotta si sposti per le nostre strade, nelle sterminate periferie di metropoli multietniche e multiconfessionali, che ci si avviti in una spirale di violenza quotidiana e strisciante. Mentre politici e impresari della paura già soffiano sul fuoco.

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