Savina Caylyn, telefonata dei pirati: se intervengono i militari, l’equipaggio morirà
L'ultima minaccia dei predoni del mare arriva dalle pagine di Repubblica on line; il quotidiano italiano riporta un'intervista intercorsa tra Niccolò Carratelli di Radio Capital e uno dei pirati artefice del sequestro della Savina Caylyn, l'unico somalo a bordo della petroliera che sa parlare italiano. Nel corso del dialogo tra l'uomo, che lavora come traduttore, e Carratelli il bandito conferma che la volontà dei pirati era quella di rilasciare subito gli ostaggi, qualora la compagnia D'Amato avesse pagato il riscatto. Da troppo tempo però, dice l'uomo, la compagnia non si fa avanti più; poi conferma che la nave attualmente si trova nelle vicinanze della costa somala e che i pirati non vogliono un intervento militare italiano. In quel caso, infatti, "il primo a morire sarà l'equipaggio".
Ancora una volta, quindi, quelle che giungono dalla Savina Caylyn sono notizie tutt'altro che rassicuranti. Dopo il fax inviato dall'equipaggio e la telefonata intercorsa ieri tra un cronista di Repubblica e il comandante Giuseppe Lubrano Lavadera, le condizioni in cui si trovano gli uomini della Savina Caylyn dovrebbero essere arcinote e non si attende altro che un intervento del Governo italiano. La cifra richiesta dai predoni (16 milioni di dollari), infatti, è fuori dalla portata dell'armatore e soltanto un'azione governativa concreta potrebbe metter fine allo strazio dei marittimi e delle loro famiglie.
Azione concreta che stenta ad arrivare, nonostante le interrogazioni parlamentari bipartisan dei deputati De Luca Bosso del PD, Luigi Muro di Fli e di Di Stanislao dell'Idv, cui fino ad ora il Governo ha risposto con il silenzio. Soltanto ieri, in una nota diffusa dalla Farnesina, Frattini ha fatto sapere che
Il governo italiano, sulla base di tutti i dati a sua disposizione, valuterà le possibili opzioni percorribili a protezione dei propri connazionali.[…] La Farnesina si ritiene al contempo essenziale ribadire l'opportunità che da parte dei media venga osservato il necessario riserbo per non compromettere l'efficacia delle diverse iniziative istituzionali.In relazione alla vicenda del sequestro della petroliera Salina Caylyn e ai diversi articoli apparsi sulla stampa nazionale e locale, il Ministro Frattini e la Farnesina, in particolare attraverso l'Unità di Crisi, hanno seguito in ogni momento sin dall'inizio l'evolversi degli eventi, attivando ogni canale utile – diplomatico, militare e di intelligence – per favorire la soluzione della vicenda. E' stato inoltre mantenuto un costante e quotidiano contatto con i familiari dei sequestrati, con i quali rappresentanti dell'Unità di Crisi e della Difesa hanno avuto più incontri personali.
Il modo in cui il mondo dell'informazione potrebbe mettere a repentaglio le trattative ci è sconosciuto. E' da escludere che una tale richiesta rappresenti la volontà dei sequestratori e dei sequestrati; in tal senso, altrimenti, non si spiegherebbero la volontà dei sequestratori di concedersi al telefono e di concedere al telefono anche i sequestrati. Da quello che traspare, invece, sembra proprio che i predoni desiderino che questa vicenda venga allo scoperto, cosicché l'opinione pubblica faccia pressioni sul Governo che si convincerebbe, così, a pagare il riscatto. Col silenzio stampa, invece, la situazione dell'equipaggio continuerebbe a passare sotto silenzio e il Governo seguiterebbe a starsene per conto suo, mentre in Africa si rischia la pelle. Mentre in Africa, intanto, dei 5 italiani della Savina Caylyn, 3 sono stati abbandonati nelle alture del deserto e altri 2 sono a bordo della motocisterna, insieme al resto dell'equipaggio, a convivere con 60 pirati armati fino ai denti. Per quale motivo occorre tacere?
Il silenzio, omertoso, ci renderebbe complici di una tragedia, quale è quella della Savina Caylyn. Il silenzio è quello che il Governo desidererebbe per evitare le pressione e l'attenzione su quanto farà e soprattutto su quanto non ha fatto in questi mesi. Quella della Savina Caylyn è una questione nazionale che non potrebbe e non dovrebbe essere lasciata soltanto al sindaco del piccolo comune di Procida cui, fermo restando le capacità e le opportunità, non compete risolvere una situazione internazionale. Così come non può essere lasciata alla solidarietà della comunità isolana, che più volte ha proposto di darsi da fare.
Le sorti di Eugenio, Crescenzo, Giuseppe, Antonio e Gianmaria riguardano tutti gli italiani indistintamente e specialmente gli italiani che lavorano. Nessuno meriterebbe di morire sul posto di lavoro, nessuno. Sia che esso sia un soldato che serve la patria, sia che sia un operaio, sia che sia un marittimo; la morte è qualcosa che non dovrebbe avere a che fare col lavoro. Il luogo di lavoro è espressione e realizzazione di sé, e non luogo di disgrazia e peritura. Cosa succederebbe se il Governo italiano venisse al corrente che è previsto un attentato nelle zone dove operano i nostri soldati? Sicuramente nell'immediato i soldati verrebbero ritirati, o almeno messi al sicuro. E allora, perchè dopo 3 mesi i marittimi della Savina Caylyn sono ancora nelle mani di questi delinquenti? Hanno ragione i pirati a dire agli italiani che per il loro governo questi 5 uomini non valgono nulla?
Non vogliamo crederlo e non ci crediamo, ma c'è bisogno di agire. Ora. A tal proposito, il Governo ha un'ultima chance per evitare il peggio: i pirati hanno diffuso un ulteriore ultimatum che dovrebbe scadere entro domani; ci si augura che almeno per quest'ultimo appuntamento la questione arrivi all'epilogo che tutti si attendono da un paese civile.