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Savina Caylyn: paura per l’equipaggio rapito dai pirati dopo l’ennesima telefonata, i familiari si incontrano a Procida

La motocisterna Savina Caylyn proprietà dei fratelli D’Amato non dava segni di vita da mesi. Ieri una telefonata, ma i familiari dei marittimi sequestrati sono allo stremo e stanno pensando ad un’azione dimostrativa forte per riportare a casa i loro cari.
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motocisterna sequestrata dai pirati

La speranza e la fiducia dei primi tempi hanno ceduto il passo, col trascorrere dei mesi, alla rabbia e alla disperazione. Negli ultimi 60 giorni, infatti, sui marittimi in ostaggio della Savina Caylyn non si sapeva nulla. Ad ogni modo, durante questo periodo diverse missioni diplomatiche, non ultima quella della deputata Margherita Boniver, facevano ben sperare: l'onorevole aveva lasciato la Somalia portando con sé un messaggio di speranza, ovverosia che i marittimi sarebbero tornati presto a casa. Ma l'equipaggio delle due navi sequestrate dai pirati, la Savina Caylyn e la Rosalia d'Amato, in realtà a casa non è ancora tornato. Sono 183 i giorni di prigionia a bordo della motocisterna Savina Caylyn e 110 quelli per i marittimi della Rosalia D'Amato, con cui, nello specifico, si è avuto soltanto qualche sparuto contatto. I familiari di questi uomini, da troppo tempo in balia di criminali, da mesi seguono sensazioni e sentimenti contrastanti: da un lato la speranza, perennemente tradita da missioni che nei fatti si sono rivelate fallimentari, dall'altro la voglia di intraprendere azioni concrete per riportare a casa i loro cari, a dispetto dell'indolenza dell'armatore e del Governo.

I due casi però, pur nella loro similitudine, restano differenti. Sin dai primi momenti i contatti con la Savina sono stati, seppur difficili, comunque frequenti. I pirati hanno dimostrato di voler far sapere, attraverso il contatto con radio e testate giornalistiche, cosa stesse accadendo a bordo della motocisterna.  Completamente diverso, invece, il discorso per la Rosalia D'Amato con cui, come si evidenziava poco sopra, i contatti (sia con l'equipaggio che con i familiari) sono sempre stati esigui. Non può trattarsi di una casualità: con larga probabilità i predoni che tengono in ostaggio questa nave preferiscono il silenzio. Così come i familiari dei marittimi sequestrati.

Domenica scorsa, il quotidiano La Repubblica nella sua edizione cartacea, ha pubblicato la lettera piena di amaro sarcasmo della famiglia di Enzo Guardascione, in ostaggio sulla Savina,  e di cui vi riportiamo uno stralcio:

Vogliamo pubblicamente ringraziare tutti coloro che finora ci sono stati vicini in questa vicenda. […]Ringraziamo innanzi tutto l’armatore e la famiglia proprietaria della società di navigazione, che non badando a spese si sono affidati ad un accreditato studio legale dì Londra per aprire una adeguata trattativa. La società ha dichiarato da tempo di aver fatto tutto il necessario, e di essere pronta a fare il suo dovere nei confronti di coloro non più., considerati lavoratori bensì figli. Abbiamo toccato con mano la comprensione, l’amabilità, la professionalità dei funzionari della Farnesina; che con assiduità ci rassicurano in vita e buona salute dei nostri cari, monitorati costantemente dalle nostre costose unità militari che pattugliano la zona di mare. La disponibilità del ministero degli Esteri e di tutte le altre istituzioni dello Stato impegnate spontaneamente e soprattutto tempestivamente per trovare una via diplomatica che potesse, non risolvere, agevolare le trattative in corso. […] Lo Stato italiano ti lascia in balia delle onde […]Non ci aspettavamo di arrivare ad agosto senza risultato.

I marittimi sono ancora nelle mani dei pirati ma dopo la lettera della famiglia Guardascione qualcosa si è mosso. La popolazione procidana, di cui fanno parte 4 degli 11 marittimi italiani sequestrati, ha dato vita ad un'azione mediatica volta a porre l'attenzione sulla questione. Diversi blog e testate ieri hanno pubblicato la lettera inviata da diversi cittadini che si stanno aggregando per discutere sulle sorti dei marittimi. Così scrive Francesco Lubrano in una lettera riportata dal sito di Beppe Grillo:

6 mesi, 180 giorni, 4320 ore di agonia senza sapere se fuori c'è qualcuno che si ricordi di loro, senza sapere se vivranno, se moriranno, che tristezza. Appena liberi, mi chiedo cosa vorranno sapere, cosa chiederanno, chi dovranno ringraziare per la loro liberazione, i media, la Chiesa, il democratico popolo italiano o altri. La mia coscienza mi impone di parlare, la mia coscienza mi impone di non tacere, il mio cuore fa a cazzotti con il cervello perché "è stato imposto il silenzio", e il silenzio è stato rispettato da tutti i Procidani, che solo per una "fiaccolata" sono scesi in piazza a manifestare solidarietà per i familiari, ma adesso basta è venuto il momento di gridare ad alta voce LIBERATELI!!! sono uomini di pace, sono padri e figli che non meritano di tornare alle proprie case in bare di legno con tanto di bandiera tricolore, abbiamo già vissuto queste esperienze e NON VOGLIAMO ripeterle.

Ieri, inoltre , la redazione di LiberoReporter.it si è messa in contatto con la nave che risultava non raggiungibile da 52 giorni. A parlare è sempre il comandante Lubrano Lavadera che dice:

Qui bisogna considerare che manca tutto da quasi 2 mesi.[…]Siamo stati costretti a spegnere tutte le celle frigorifere sull’imbarcazione, l’aria condizionata non si può accendere e siamo ancora fortunati perché non ci sono state condizioni atmosferiche e del mare avverse. Adesso tutto sta mutando: se l’ancora dovesse iniziare ad arare (in pratica l’ancora non sarebbe più in grado di svolgere la funzione che svolge) non potremmo più ripristinare l’assetto della nave, perché non possiamo accendere i motori. Qui si sono preparati per almeno altri 6 mesi di prigionia.[…] E’ dal 28 giugno scorso che il carburante necessario per i servizi di bordo è totalmente finito e l’energia elettrica funziona solo grazie ad un generatore di corrente di emergenza. I pirati hanno si rifornito l’imbarcazione, ma il carburante servirà per mantenere il sequestro il più a lungo possibile, visto che la trattativa non fa alcun passo avanti. Abbiamo un solo bagno per 50 persone e vi lascio immaginare in che condizioni possa essere. Hanno razionato l’acqua potabile per farla durare altri 6 mesi. Non ci laviamo adeguatamente da circa 3 mesi e si sono presentati dei grossi problemi di salute, anche a causa del fatto che non possiamo lavare i vestiti che abbiamo addosso regolarmente. Il cibo è razionato e l’acqua da bere pure. Le medicine a bordo non esistono più e ci sono alcuni membri dell’equipaggio che abbisognano di cure, ma non è possibile curarli. Inoltre uno dei membri dell’equipaggio indiano, ha serissimi problemi di salute: ha perso 22 kg in questo tempo di prigionia ed è colpito da dissenteria. Non possiamo che cercare di tamponare la situazione, ma non avendo medicinali a bordo il tutto diventa difficilissimo. […] In questi giorni si sta alzando un forte vento che spira a quasi 160 km orari ed il rollio della nave è di circa 20 gradi. Rischiamo, senza ausilio dei motori, di finire tra le secche, visto che siamo a meno di un miglio dalla parte bassissima della costa. A causa delle incrostazioni della vegetazione marina, lo scafo sta subendo un deterioramento.

Una situazione di abbandono acuita dal fatto che nessuna nave italiana in realtà sta monitorando a vista la Savina (come era, invece, successo nelle prime fasi), c'è  soltanto il pattugliamento da parte della Atlanta  che "segue" la questione a distanza perché impegnata in un altro incarico. La telefonata del comandante termina con un ultimo appello disperato al Cavaliere D'Amato, della Società Armatrice cui fa parte la Savina. Secondo quanto riportato dal sito web, inoltre, dopo le beffe i pirati hanno comunicato ai marittimi la volontà di procedere alla decapitazione di uno dei membri dell'equipaggio. Il messaggio del comandante Lubrano Lavadera, dunque, stavolta non potrà andare inascoltato.

Un appello che riecheggia tra le parole dei familiari. Il quotidiano Il Mattino ha mostrato una foto inviata via fax ai familiari dei marittimi sequestrati. Si tratta di un'istantanea in cui vengono mostrati tre uomini dell'equipaggio, Bon, Cesaro e Guardiascione seminudi e ammanettati sotto il tiro dei pirati somali: ragazzini di 15- 16 anni coi volti coperti da kefiah, cartucciere al collo e casco da lavoro sul capo. Si tratta di 5 foto in cui i tre marittimi mostrano di stringere un pugno di riso, hanno la barba lunga ma non sembrano avere segni di violenza sul corpo. Un particolare importante ma che, al tempo stesso, non consente più, dopo oltre 180 giorni di agonia, di restare a guardare.

pirati somali
La foto inviata via fax ai familiari dei marittimi rapiti

Per questo motivo, oggi la Sala Consiliare del Comune di Procida ha ospitato un incontro tra le famiglie del comandante Lubrano Lavadera e di Enzo Guardascione. L'isola, che ha già dimostrato al sua partecipazione in occasione del primo maggio quando è stata organizzata una fiaccolata, da qualche tempo ospita nella sua strada principale, uno striscione che reca la scritta "1616: Procida col Pio Monte riscattava i procidani rapiti dai Turchi; 2011: l'Italia non riesce a liberare i marittimi sequestrati dai pirati".

Il Pio Monte era "un'associazione di mutuo soccorso della quale potessero far parte tutti gli armatori di barche e vascelli della terra di Procida, purché si obbligassero a corrispondere al Monte una "quadra del lucro che ritraessero dal noleggio dei loro legni. Codesta istituzione, di assoluto ed esclusivo patronato del ceto suddetto, aveva lo scopo di sovvenire elemosine e medicinali ai marinai poveri ed alle loro famiglie, concedere doti alle loro figlie, sia per maritarsi che per monacarsi, riscattare la libertà coloro che cadevano in schiavitù dei barbari." secondo quanto si legge sul sito internet ad esso dedicato.

Un'associazione, dunque, che non aveva certo i mezzi di uno Stato e che comunque riusciva a garantire assistenza ai lavoratori, che per i 25 membri dell'equipaggio della motocisterna è attualmente negata. Dopo mesi di paziente quanto estenuante attesa, i familiari e i concittadini di questi marittimi, da Procida hanno espresso la volontà di farsi sentire, e soprattutto il desiderio che le loro richieste non rimangano inascoltate. Agire sembra essere, oggi più che mai, necessario per questa gente che da secoli vive di marineria. E' arrivato il momento di riavere a casa i propri concittadini, amici, figli, padri, semplicemente uomini che si portano dietro la sola colpa di aver solcato quei mari.

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