Savina Caylyn: il punto della situazione a 121 giorni dal sequestro
Dopo 121 giorni di prigionia, nell'aggiornare la situazione di una delle due navi napoletane sequestrata dai pirati, la Savina Caylyn, è difficile non lasciarsi prendere dall'emozione. Sono 4 mesi che 22 marittimi sono sotto il tiro di circa 50 pirati, in condizioni igieniche pietose, mentre tutto sembra inspiegabilmente fermo. Tempo fa il Ministro Frattini ha invocato il silenzio stampa, chiedendo che gli organi d'informazione mantenessero il più stretto riserbo sulla questione, affinché le trattative potessero procedere in maniera più agevole. E' stato difficile: la voce dei marittimi, il fax di cui abbiamo riportato il testo integrale, sembravano l'unico modo per dare voce alla tragedia che si consumava nel Corno d'Africa mentre il Governo rassicurava famiglie o opinione pubblica riguardo le trattative. Più volte i pirati hanno lanciato ultimatum, più volte quest'ultimatum è scaduto senza essere rispettato e una fine tragica per queste persone sembra essere la prospettiva che più si avvicina alla realtà.
Lungi dal voler "fiancheggiare" i predoni del mare, ciò che appare chiaro è che questi uomini sono tutt'altro che assassini. Sono criminali, questo è fuori discussione, ma non hanno preso l'equipaggio per ucciderlo. In 121 giorni avrebbero avuto tempo e modo per farlo, ma non è successo. Il loro obiettivo è ottenere il riscatto: la trattativa pare essere ferma sui 16 milioni di euro, mentre qualche settimana fa si parlava di uno "sconto" che poteva essere applicato qualora il governo avesse ultimato in breve tempo la questione. Questo però non è successo e, attraverso una telefonata tra l'equipaggio italiano (il comandante Giuseppe Lubrano Lavadera e il Direttore di Macchine Antonio Verrecchia) e i giornalisti di Repubblica sono stati resi noti gli ultimi risvolti sulla Savina Caylyn.
"I pirati sono convinti che ci sono delle scorte di gasolio nascoste sulla nave. Non è vero. Ma se non dico dove sono, mi torturano" queste le parole disperate di Verecchia. Gli fa eco il comandante Lubrano Lavadera: "Una disperazione rassegnata perché oramai ci siamo rassegnati alla nostra sorte, anche se abbiamo paura di morire e questo pensiero ci assilla, ci distrugge l’animo e la mente ogni attimo della giornata". La paura di morire è una costante che accompagna la quotidianità di questa gente.
Non è dato sapere quanto delle parole del comandante sia viziato dalla pressione psicologica dei pirati sull'equipaggio. Ciononostante, a prescindere da ciò che succede su quella nave, dalle condizioni in cui si trova l'equipaggio ciò che è certo è che 19 persone sono sequestrate da 121 giorni, altre 3 sono state portate a terra. Una prigionia estenuante alla quale bisogna porre fine. Nella situazione della Savina Caylyn in ballo non c'è soltanto la dignità, che sembra essere diventata ormai un accessorio di poco conto perché, come dice il comandante, "Le umiliazioni che siamo costretti a subire aumentano di giorno in giorno. Siamo costretti a fare tutto davanti ai pirati, non abbiamo alcuna privacy e c’è sempre un fucile puntato addosso."
La posta in gioco va oltre ed è altissima, si tratta di una questione di vita o di morte: le riserve di carburante sono ormai finite e sulla nave manca elettricità nell'area del Corno d'Africa cominciano ad agitarsi venti monsonici. Un particolare di non poco conto dato che nelle vicinanze ci sono altre navi oggetto di ostaggio dei pirati con le quali la Savina potrebbe entrare in collisione. Per questi motivi, ancora una volta, l'equipaggio chiede aiuto e pietà al Governo italiano.
Una richiesta che rimbalza dalle pagine dei media e che ha trovato l'interesse anche del programma tv Mattina in Famiglia, che ha ospitato la moglie del Direttore di macchine Verrecchia. Conferma quanto già detto sulle questione dell'equipaggio, mentre il giornalista Aldo Forbice palesa dubbi sul fatto che effettivamente i tre membri dell'equipaggio siano stati sbarcati. Come abbiamo detto poco sopra, infatti, il sistema di monitoraggio della Farnesina non ha rilevato alcun spostamento; potrebbe effettivamente trattarsi di un tentativo dei pirati per affrettare la conclusione della trattativa.
Come sottolineato, è necessario pervenire il prima possibile ad una conclusione. Ad ogni modo, ci sentiamo di concordare con Forbice quando afferma che queste tragedie andrebbero evitate ab origine: quei mari non andrebbero salpati se la Marina Militare non è in grado di garantire sicurezza ai marinai. Ad un quadro già di per sé negativo, si aggiunge la comprensibile disperazione dei familiari: nelle case dei 5 marittimi italiani sequestrati ormai la speranza lascia, di frequente, spazio alla rassegnazione. Ancora una volta vogliamo affidarci alle parole di Adriano Bon, il padre di Eugenio per lanciare l'ennesimo appello a chi di dovere:
E’ curioso che di fronte al problema della pirateria di portata internazionale e con una petroliera e 5 marittimi italiani allo stremo delle loro forze di sopravvivenza, sequestrati da una nazione straniera nessuna delle importanti testate giornalistiche nazionali se ne sia occupato. […] Fare i marittimi è un lavoro duro, faticoso, a volte rischioso, che tiene per mesi figli e mariti lontani dai loro affetti e amicizie, ma sono insostituibili per assicurare il commercio internazionale e il benessere di tutti, ora alle consuete preoccupazioni e attese a noi familiari si aggiunge anche la paura di perderli.[…] Chiedo alla stampa di divulgare questo appello per avere il sostegno dell’opinione pubblica nel sollecitare chi ha il potere, il dovere e i mezzi per risolvere in tempo utile questo episodio drammatico.