“Russia e Ucraina verso una pace per sfinimento. Kiev si sta preparando”: l’analisi dell’esperto
"L’accordo sul cessate il fuoco potrebbe prevedere la ripresa delle forniture di armi a Kiev e il loro uso senza limiti in caso di nuova aggressione russa": Anatol Lieven, direttore del Programma Eurasia del Quincy Institute for Responsible Statecraft, è reduce da uno dei suoi frequenti viaggi a Mosca. Sostiene che ci si stia avviando a una "pace per sfinimento" in Ucraina: un accordo che "scontenta entrambe le parti ma che può consentire sia a Putin che a Zelensky di cantare vittoria". Una via d’uscita dalla impasse provocata dalle perdite russe e dalla paura del primo a dichiarare la mobilitazione e dalle oggettive difficoltà del secondo a implementare l’ultima chiamata alle armi in un Paese coraggioso ma esausto.
Lieven riferisce a Fanpage.it quanto ha ascoltato da persone vicine al Cremlino, ritiene che i segnali per un accordo ci siano tutti e che la diplomazia meno formale e più segreta sia già al lavoro. Non ci dice se ne fa parte. Pensa che la guerra finirà entro il 2027, quando le elezioni politiche in Germania potrebbero confermare un cambiamento della politica di aiuto a Kiev.
Volodymyr Zelensky, a Cernobbio, ha dichiarato che la pace è più vicina e che presenterà a Washington una road map per il cessate il fuoco. L’analisi dell’accademico britannico fa capire quali possano essere alcuni dei punti su cui costruire il negoziato. Che è favorito dal recente cambiamento al vertice della diplomazia di Kiev, ritene Lieven. Il Quincy Institute è un think tank critico della politica estera statunitense e favorevole alla limitazione della sfera militare in favore di quella diplomatica e della pace.
Dottor Lieven, il rimpasto di governo deciso da Zelensky in Ucraina è un atto di disperazione o solo il preannunciato ricambio per rinnovare le energie nell’esecutivo?
"Tutt’e due le cose. La cose non stanno andando bene, per Kiev. I bombardamenti russi sulle centrali elettriche colpiscono duro. Il governo ha problemi a implementare la mobilitazione. La popolarità di Zelensky è in discesa. Ma il ricambio era comunque necessario e atteso. Per rinvigorire l’immagine dell’esecutivo e la sua capacità di risposta agli eventi".
Però sostituire il ministro degli Esteri a guerra in corso è clamoroso.
"Infatti, le uniche dimissioni che indicano un vero mutamento politico sono quelle di Dmytro Kuleba. Seguono una fase inaugurata nei mesi scorsi: la narrativa ucraina è cambiata rispetto a un anno fa, quando si rifiutava ogni trattativa con Putin. Kyiv ora dichiara di esser pronta a negoziati".
Senza Kuleba Zelensky può procedere meglio su questo nuovo corso?
"Certo. È sempre così. Se cambia la politica, chi ha avuto la responsabilità di implementare la vecchia è bene che se ne vada. Altrimenti sarebbe esposto pubblicamente alle critiche".
Al posto di Kuleba arriva Andrii Sybiga. Che è stato finora l’ambasciatore ad Ankara. Considerato il ruolo di mediazione della Turchia, il nuovo ministro degli Esteri ucraino potrebbe facilitare l’apertura di negoziati con Mosca?
"Il ruolo della Turchia — Paese Nato — può essere la chiave, in uno scenario che vede anche l’amministrazione Biden cambiare il suo linguaggio, con una maggior enfasi sull’inevitabilità di futuri negoziati".
L’Ucraina ha appena conquistato parte della oblast di Kursk, Federazione Russa. Un bel carico da giocare sul tavolo negoziale…
"La leadership di Kiev ha dimostrato coraggio e nervi saldi con l’offensiva oltre confine, ma resta incerto se sia stata una buona idea. Non sembra aver ridotto la pressione sui fronti ucraini. Secondo molti analisti, mentre l’Ucraina impiega nel Kursk il meglio delle sue forze, le difese russe nella regione sono affidate a coscritti e riserve. Le truppe di élite continuano invece a premere su Pokrovsk, la cui caduta potrebbe aprire la strada alla conquista del Donetsk meridionale".
In che modo l’azione ucraina all’interno della Russia può diventare un pieno successo?
"Se prendessero Kursk, con la sua centrale nucleare, Putin sarebbe costretto a rivedere le strategie e inviare contingenti significativi a difendere i confini. Forse a dichiarare una mobilitazione. A quel punto, la situazione cambierebbe radicalmente e la scommessa di Kiev sarebbe vinta. Con possibile proteste destabilizzanti in Russia".
I russi si son resi conto che il Cremlino vuol far la guerra ma non sa difendere i confini…
"Ma se l’avanzata nel Kursk si ferma dov’è, la Russia manterrà la fiducia necessaria per continuare a progredire, anche se lentamente, nel Donbass".
Putin resta convinto di poter infliggere al nemico una totale disfatta?
"Con ogni probabilità è ciò che desidera, ma dipende da molti fattori: l'andamento sui campi di battaglia, la qualità e la quantità delle armi, e il morale dei soldati. Per sperare realmente nella disfatta di Kiev, serve la mobilitazione generale".
La questione della mobilitazione è tornata sul tavolo, hanno detto a Fanpage.it consulenti del Cremlino. Putin potrebbe decidere di ricorrervi?
"No, Putin non vuole ricorrere alla mobilitazione per evitare la protesta dei russi. Per questo resiste alle pressioni dei fautori della linea dura. A Mosca, ho notato che tra gli studenti universitari prevale l’opposizione alla guerra. Gli ultimi sondaggi del centro Levada mostrano che oltre il 60% degli intervistati desidera una pace immediata, anche se molti meno sono disposti a restituire all'Ucraina il Donbass e i territori occupati nel sud".
Come se ne esce?
"L’unico modo per creare un problema reale a Putin sarebbe l’offerta da parte di Washington e Kiev di un cessate il fuoco sulle linee attuali del fronte, deferendo lo status formale dei territori contesi a negoziati da tenersi in un secondo momento".
Ma Mosca ha sempre detto che non accetterà mai. Vuole tutti i territori che si è arbitrariamente annessa. Comprese le parti che non è riuscita a invadere.
"Credo che accetterebbe. Ciò che mi ha colpito di più, parlando con i consiglieri del Cremlino e i responsabili dei think tank a Mosca, è che nessuno — nemmeno i falchi — crede che altri Paesi riconosceranno mai le annessioni. Sono consapevoli che neppure partner privilegiati come Cina, India o Sudafrica lo faranno. E, secondo fonti vicine al governo, nemmeno il Cremlino se lo aspetta".
E allora?
"La vera questione riguarda la posizione ucraina. Già dal 22 marzo 2022, Zelensky ha aperto alla possibilità di un compromesso, suggerendo il congelamento della situazione attuale in Crimea fino a futuri negoziati e la neutralità di Kiev. Basterebbe estendere questa logica ai territori occupati per delineare una possibile soluzione".
Sta parlando di un accordo che scontenta entrambi: Putin perché dovrà fermarsi sulle linee attuali e Zelensky perché fino a chissà quando non potrà riprendersi il territorio occupato dai russi.
"Credo che sia la via d'uscita più probabile. Putin potrebbe cantare vittoria, rivendicando la fine della possibile adesione di Kiev alla Nato e le conquiste ottenute in Ucraina. Zelensky potrebbe affermare di non aver concesso nulla, che la situazione è solo provvisoria e che lo status dei territori occupati sarà definito in seguito. Inoltre, gli ucraini potrebbero usare la situazione nell'oblast di Kursk come leva. La Russia potrebbe accettarlo, un compromesso di questo tipo".
A noi però sembra che la Russia stia perseguendo solo la la disfatta del nemico…
"E può succedere. In guerra tutto è possibile. L’Ucraina non è messa bene. Ma a Mosca ho scoperto che la maggior parte dell’élite non crede né spera in una sconfitta totale del nemico. Per conquistare le città, servirebbe un numero molto maggiore di soldati: una mobilitazione generale. Però il regime russo deve evitarla, se vuol esser sicuro di rimanere in piedi".
Quali sarebbero i passaggi del negoziato? E quali i punti più importanti di un accordo tra Russia e Ucraina?
"Si andrebbe per fasi. Gli ucraini si ritirano dalla regione di Kursk e i russi da quella di Kharkiv. Le due aree e le altre sul fronte vengono demilitarizzate. Si forma una vasta zona cuscinetto".
Ma Putin ha già proclamato Kherson e Zaporizhzhia parti della Federazione Russa. Non ci rinuncerà mai…
"Lo ha dichiarato. Ed è una cosa inaccettabile per Kiev. Ma Putin ha lasciato un spazio di manovra: ha evitato di dire in modo esplicito che la Russia vuole conquistare militarmente le due città. Il che potrebbe implicare l’accettazione che il loro status possa esser definito in un negoziato".
Davvero una nuance. Basterà?
"Le uniche linee rosse che mi sono sentito ripetere a Mosca riguardano il ritiro dai territori ucraini che attualmente occupa e la neutralità di Kiev. Tutto il resto mi pare negoziabile".
Ecco, per la questione della neutralità come la mettiamo?
"Non è una difficoltà insormontabile. Zelensky ha già considerato alternative alla membership Nato dopo che nel 2021 gli alleati occidentali gli negarono l’entrata entro cinque anni. A Kiev c'è flessibilità su questo punto. Mentre noi alleati abbiamo fatto della Nato un principio rigido, limitando la nostra capacità negoziale.
C'è una scappatoia: basta un solo voto contrario per bloccare l'adesione alla Nato. Paesi come Ungheria, Turchia o Slovacchia potrebbero esercitare il veto, e anche un cambiamento politico in Francia o Germania potrebbe portare a un’opposizione. L’Ucraina resterebbe esclusa, Zelensky potrebbe affermare che non è colpa sua, Washington potrebbe accusare l’Europa, e gli europei litigherebbero su chi è il vero colpevole".
Che tipo di architettura per la sicurezza dovrebbe disegnare, l’accordo che lei immagina?
"L’Ucraina dovrebbe rinunciare ai missili a lungo raggio capaci di colpire in profondità il territorio russo. E una clausola deve stabilire che, in caso di una nuova aggressione russa, il rifornimento di armamenti a Kiev riprenderebbe immediatamente, senza limiti sul loro utilizzo. Questo, senza comportare un intervento diretto della Nato, farebbe capire a Mosca che il prezzo da pagare per una ripresa delle ostilità sarebbe estremamente alto".
Un accordo che già prevede la possibilità di una nuova aggressione rischia di durar poco…
"Non è necessariamente così. Sarebbe un accordo per sfinimento. Entrambe le parti non ne possono più. Certo, la Russia ha più uomini e mezzi e sembra in vantaggio nel Donetsk. Ma l’esercito invasore del febbraio 2022 è stato completamente distrutto. L’aviazione colpisce le infrastrutture ma è sottoutilizzata sul fronte per paura della contraerea nemica. E la Flotta del Mar Nero, che sembrava onnipotente, è stata messa in ginocchio.
Da parte ucraina, lo sfinimento è anche maggiore. E Kiev potrebbe vedere una drastica diminuzione degli aiuti occidentali se le destre estreme avanzano ancora in Europa.
Nessuno dei due Paesi può richiamare facilmente soldati al fronte. Putin per ragioni politiche. Zelensky perché deve affrontare la realtà di una popolazione numericamente inferiore e duramente provata. Per questi motivi, è probabile che né Mosca né l'Ucraina abbiano interesse a riprendere i combattimenti, dopo il cessate il fuoco".
Quando finirà la guerra in Ucraina?
"Entro il 2027. I Paesi europei che sostengono Kiev devono contrastare l’ascesa delle destre estreme, spesso favorevoli a Putin, e allo stesso tempo ridurre la spesa pubblica. Se riducono la spesa sociale, perdono le elezioni. L’Ucraina, quindi, può aspettarsi una drastica diminuzione degli aiuti. Fino a trovarsi alla mercé del nemico. Le elezioni del 2027 in Germania saranno un indicatore cruciale".
Che succederà se la sua previsione di una “pace per sfinimento” si rivelerà errata? Se si continuerà a combattere?
"Potrebbe succedere di tutto. Anche un collasso dell’Ucraina. Una disfatta che potrebbe aver conseguenze ben oltre Kiev".
Ovvero?
"Una persona a Mosca mi ha detto: “Putin è un uomo pragmatico e può accettare un compromesso. Ma se riesce a ottenere una vittoria militare definitiva in Ucraina, nella sua testa lo aspettano ancora Pietro il Grande e Caterina II. E punterà a qualcosa di molto ma molto più ambizioso (Pietro sconfisse gli svedesi, conquistò gli attuali Paesi baltici, la Karelia, Azov sul Mar Nero e altri territori; Caterina estese l’impero russo a sud e nell’Europa centrale, conquistando pezzi di Polonia e dell’Impero ottomano, ndr)”.