Russia, condannato a otto anni di carcere studente contro la guerra: “È una sentenza terroristica”
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Quello che aveva pubblicato sui social riguardo ai fatti di Bucha e di Mariupol non corrispondeva alla versione ufficiale del Cremlino, hanno stabilito i periti dell’Fsb, erede del Kgb sovietico. Tanto è bastato a un tribunale moscovita per condannare a otto anni e sei mesi di reclusione Dmitry Ivanov, 23enne studente di ingegneria informatica e attivista politico alla Mgu “Lomonosov”, il più prestigioso ateneo della Russia. La “gorinovskaya”, ovvero l’articolo 207.3 del codice penale introdotto per punire chi è contro la guerra in Ucraina, ha colpito ancora. Ivanov, che abbiamo intervistato nei giorni scorsi in carcere, ha avuto la stessa pena del ben più importante politico dell’opposizione Ilya Yashin.
Delatori e “patrioti”
“Una sentenza esemplare che ha l’obbiettivo di terrorizzare chiunque pensasse di mettere in dubbio la propaganda del Cremlino sul conflitto”, dice a Fanpage.it l’avvocato di Ivanov, Maria Eismont, raggiunta al telefono dopo il verdetto. “L’esempio, in questo caso, vale soprattutto per gli studenti e i giovani in generale”. Ma la severità della condanna “è anche la dimostrazione dell’odio e della paura del regime nei confronti di chi dice no”, aggiunge.
L’accusa si è valsa anche delle testimonianze della ex preside della facoltà di ingegneria dell’Mgu, Lyudmila Gregorieva, e di tre suoi ex collaboratori, che hanno definito Ivanov “fascista”, dichiarando di agire contro di lui “per patriottismo”. “Sono solo strumenti del sistema”, spiega l’avvocato. “Non voglio commentare le loro falsità. Non meritano attenzione. Non c’era nemmeno bisogno di loro per condannare Dima (il diminutivo di Dmitry, ndr), tanto la sentenza era già scritta”. “Il fatto è che il regime — aggiunge — ha creato un’atmosfera nella quale certe persone si sentono utili come delatori. Lo fanno volentieri, non credo li abbiano costretti”.
Dagli atti processuali che Fanpage.it ha potuto consultare emergono particolari quasi comici, se non riguardassero vicende terribilmente serie. In una pagina, per esempio, la procura parla di Lugansk e Donetsk — che Vladimir Putin ha ufficialmente inglobato nella Federazione Russa — come di territori “dell’Ucraina”. Una cialtroneria che, in teoria, dovrebbe costare agli inquirenti l’incriminazione per lo stesso reato per cui è stato condannato Dima Ivanov.
Ci sarà un ricorso in appello, nei prossimi mesi. Ma l’avvocato Eismont non ha molte illusioni su come andrà a finire, visto come si è svolto il processo di primo grado.
Una realtà parallela
“L’intero atto d’accusa, dall’inizio alla fine, è contrario alla realtà”, ha detto in aula l’imputato prima della sentenza, definendosi “non colpevole”. Ed ha aggiunto che rifarebbe esattamente le stesse cose per cui gli è poi arrivata la pesante condanna. “So che ci sono decine di milioni di persone, qui in Russia, contrarie alla guerra”, ha spiegato in inglese ai giornalisti dei media internazionali presenti in aula. “Il mondo deve capire che la Russia non è Putin”. E che “questa guerra è una tragedia non solo per tutti gli ucraini ma anche per i tanti russi che vogliono vivere in pace con i loro vicini”.
Dima Ivanov, prima dell’arresto, gestiva il canale Telegram Protestniy Mgu. Circa 10mila follower. Buona parte dei suoi post su Bucha e Mariupol erano solo condivisioni di dichiarazioni di altri, tra cui il numero uno dell’opposizione a Putin Alexey Navalny e il presidente ucraino Volodymyir Zelensky. “Odio politico”, secondo gli inquirenti. Che hanno definito “palesemente false” le notizie di Protestniy Mgu.
L’avvocato Eismont aveva chiesto di poter interrogare in tribunale anche il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, perché le accuse a Ivanov erano fondate su dichiarazioni di Lavrov e di altri alti rappresentanti dello Stato secondo i quali quanto pubblicato da Ivanov sull’eccidio di Bucha — del quale l’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani e i maggiori media internazionali ritengono responsabili le forze armate russe — sono fake news. Ma Lavrov e i suoi colleghi non sono stati convocati dal giudice.
Le prigioni di Dima e di molti altri
Dima Ivanov è in carcere da dieci mesi. Arrestato con un’accusa risibile, dopo 25 giorni dietro le sbarre è stato incriminato per quella che lo ha portato alla pesante condanna. Un metodo utilizzato per molti prigionieri di Putin. L’articolo 207.3 del codice penale prevede dai cinque ai 15 anni di detenzione per chi diffonde “informazioni che sa essere false” sulle forze armate. In pratica, chiunque contraddica pubblicamente la narrativa del Cremlino sulla guerra o la contesti commette un crimine per cui potrebbe stare in galera più a lungo di uno stupratore o di un omicida. Al momento sono in corso circa 180 procedimenti per questo reato, ha rivelato l’attivista per i diritti umani Pavel Chicov sul suo canale Telegram. In Russia, nei processi penali l’imputato viene assolto solo nello 0,5% dei casi, ha rivelato la Corte suprema della Federazione.
“Il sistema giudiziario, qui, si fonda sulla persecuzione degli accusati piuttosto che sulla ricerca della verità processuale”, è lo sconsolato commento dell’avvocato Eismont. “La giustizia non funziona, in Russia. A parte qualche eccezione, ottenerla è impossibile. Soprattutto quando nei processi è coinvolto il governo o qualcuno legato al governo. Il gioco non è mai pulito”. Per questo — aggiunge — mi trovo spesso a lavorare sulla persona dell’imputato oltre che sul suo caso. Si tratta di fare un po’ da psicologa e un po’ da medico. Sono cure palliative, perché sappiamo che la condanna arriverà. Ma aiutano l’assistito a star meglio”. Ma non si sente inutile, come avvocato? “No, perché voglio far bene il mio lavoro in modo che si possa riparare ai danni quando in una nuova Russia sarà ripristinato un sistema giudiziario degno di questo nome. E perché anche se non posso far assolvere un mio assistito, posso comunque dimostrare al mondo la sua innocenza, e l’assurdità della sua condanna. Come nel caso di Dima Ivanov”.