Roberto Saviano spiega perché il Narcogolpe in Ecuador riguarda anche noi e la nostra democrazia
di Roberto Saviano
Il Narcogolpe in Ecuador è molto differente dai classici golpe, sudamericani e non, che siamo abituati a osservare.
Chi fa un golpe vuole prendere il controllo di uno Stato, sostituirsi a un governo legittimo, che a torto o ragione ritiene illegittimo: il colpo di Stato di Pinochet, il colpo di Stato in Iran, i vari golpe brasiliani. Ecco: queste esperienze non c’entrano nulla col Narcogolpe. Il Narcogolpe ha un unico obiettivo: terrorizzare lo Stato, costringerlo a negoziare, per ottenere ancora più impunità.
L’evasione di Fito
Per capire il Narcogolpe bisogna partire da Adolfo Macias, leader de Los Choneros, un vero e proprio cartello, il cartello egemone in Ecuador. Si trova in carcere, quando decide di mettere in pratica una strategia di evasione assolutamente inedita. Inizia a farsi crescere la barba e i capelli. Mentre è in carcere, nei giorni natalizi, chiede una visita in guardia medica. La stanza è in un luogo in cui entra ed esce un’ambulanza. Arriviamo al 7 gennaio e Fito dev’essere traslato dal carcere al tribunale: in quell’occasione si accorgono che Fito non è Fito. Che quell’uomo con la barba lunga in realtà è il suo sosia. Probabilmente era arrivato in ambulanza, o in un camioncino che portano i farmaci, e lo scambio era avvenuto durante la visita alla guardia medica.
Sparare, bruciare
Quando il presidente dell’Ecuador Daniel Noboa scopre dell’evasione dichiara 60 giorni di Stato d’emergenza. Stato di emergenza vuol dire posti di blocco, controlli alle navi. Fito sa che lo stato di emergenza significa blocco delle attività per la pressione della polizia e dell’esercito e milioni e milioni di dollari persi ogni giorno. Stato d’emergenza che dura fino a che qualcuno non consegna Fito, o lo uccide. Fito sa: o faccio insorgere il Paese o sono morto. E così accade.
Non c’è una strategia, c’è semplicemente un obiettivo: sparare bruciare, creare insicurezza. Quel che fanno i cartelli: beh, ad esempio sparano davanti a una scuola, alle macchine dei genitori. Fanno attentati a macchine scelte a caso, si mettono davanti a semafori coi bazooka, vanno nei parchi e ammanettano gente a caso. Arrivano anche a occupare uno studio televisivo di una trasmissione, in diretta. Vengono fatte forche artigianali e decimate le guardie carcerarie. Nulla di organizzato: il passa parola avviene su Tik Tok e Instagram: fate violenza, uccidete chi potete, sequestrate chi potete. Tutto questo avviene in poche ore.
Il contesto
Vediamo il contesto: com’è possibile che non ha avuto, per tutti gli anni ’80 e ’90 dei cartelli del narcotraffico, si ritrova in questa situazione, con più di 20 omicidi al giorno? L’Ecuador non aveva i problemi col narcotraffico che avevano sui vicini come Perù e Colombia. La ricchezza dell’Ecuador si fondava su altro: banane e petrolio. Il padre del presidente è il più grande imprenditore bananiero dell’Ecuador. Oggi né banane né petrolio. La ricchezza è la cocaina.
La svolta arriva nel 2018. Quando il cartello messicano di Sinaloa, comandato da El Chapo Guzman e da El Mayo Zambada, che ha di fatto il monopolio del traffico di cocaina, decide di dislocare gran parte dello stoccaggio della coca in Ecuador. Lo fa
perché sta sperimentando un piano. Trovare un nuovo punto di partenza, un nuovo hub per gli invii del Nord America, ma soprattutto Europa e Asia. La rotta del Pacifico è una rotta importantissima e la vogliono esplorare facendola partire dall'Ecuador.
Ma c'è anche un altro problema. Gran parte della coca partiva dal Venezuela, Stato fallito e con all'interno un cartello criminale completamente alleato al governo, il Cartel de los Soles. Si chiama così perché il sole è proprio sulle mostrine dei generali venezuelani. Ebbene, il Cartel de los Soles fa sempre di più lievitare i prezzi per l'invio.
Fin quando i cartelli messicani decidono di interrompere il rapporto o quanto meno di ridurlo e costruire un nuovo spazio. Non solo: la richiesta di cocaina da parte del mondo è in costante aumento e quindi Colombia, Perù e Bolivia producono sempre di più, Ecco perché Sinaloa cerca un interlocutore diverso. E lo trova in un gruppo i Los Choneros.
Los Choneros
Sapete quanti erano i Los Choneros quando c'è il primo incontro, intorno al 2008? Erano dieci. Oggi il cartello somma tra soldati e fiancheggiatori circa 10.000 persone e ha un indotto di lavoratori di circa un milione di persone, in un paese di 20 milioni di abitanti.
Sinaloa ha bisogno di stoccare foglie di coca, a milioni e ha bisogno di un luogo tranquillo e sicuro. Va dai Choneros, che accettano. L'accordo è molto vantaggioso per un gruppo di piccoli spacciatori che passavano il tempo a bere, a ubriacarsi, a drogarsi, fumando crack e cocaina. Ed è semplice: stoccare coca per un milione di dollari a settimana. I Choneros lavorano bene, Sinaloa si sente garantita. Così arriva il secondo passaggio: la raffinazione. Che è sempre stata fatta in Colombia. A occuparsene erano le Farc colombiane, le forze armate rivoluzionarie colombiane, che si finanziavano col narcotraffico e il cacao, in misura minore con l’oro. L’ELN, l’altro gruppo guerrigliero gemello, Esercito di Liberazione Nazionale si finanzia con la marijuana e sta ancora combattendo. Le FARC imponevano delle regole molto precise: si coltiva coca solo dove lo diciamo noi, si raffina solo dove lo diciamo noi e solo noi possiamo raffinare.
Dopo la caduta dei grandi cartelli Medellín e Cali, che avevano il monopolio mondiale della produzione di cocaina, i grandi gestori del narcotraffico colombiano sono stati proprio i guerriglieri delle FARC e moltissimi micro gruppi che oggi di fatto sono al servizio del narcotraffico messicano. La verità è che le FARC arrivano a un trattato di pace col governo proprio perché il narcotraffico messicano era diventato troppo potente. I loro costi stavano lievitando, la loro coca non aveva più mercato. Ma questa è un'altra storia. Dopo la caduta delle FARC i micro cartelli possono coltivare dove vogliono, la produzione deve aumentare. Nessuno più controlla. Iniziano ad arrivare sempre più foglie di coca in Ecuador. Quando si decide di aprire le raffinerie i soldi raddoppiano, dal milione a settimane Iniziano a diventare due milioni a settimana, due milioni e mezzo a settimana.
Il cartello cresce. Lo Choneros mette a stipendio sempre più persone. Investe moltissimo nell'edilizia, nei rifiuti, nella raccolta dei rifiuti, in politica. Los Choneros diventano di fatto i riferimenti del cartello di Sinaloa come hub per lo stoccaggio e la raffinazione. In ultimo, il grande cambiamento. Dopo lo stoccaggio e la raffinazione arriva la spedizione. Dopo un po’ di tempo riescono a ottenere il controllo dei porti, a infiltrarsi e a capire che dai porti dell’Ecuador si può arrivare ovunque.
I Narcos e la politica
Il governo come ha reagito? Pubblicando un video dove opposizione e maggioranza uniti, seduti insieme, mischiati, tutti dalla stessa parte, annunciano di aver dato immunità agli uomini in divisa. Soldati e poliziotti, qualunque cosa faranno, non solo non saranno condannati, ma non saranno neppure processati. Un uomo in divisa oggi in Ecuador può sparare a chiunque, secondo il suo arbitrio, se pensa che quella persona sia un narcotrafficante o un loro fiancheggiatore e non dovrà risponderne, né ai suoi superiori né a un tribunale.
Questo non risolverà le cose, anzi. Innanzitutto c' un pezzo importante dell'esercito e della polizia ecuadoregna corrotto, ma non è questo il problema principale.Il problema principale è che più aumenta la violenza, più accade ciò che vogliono i narcotrafficanti.
La violenza deve arrivare alle stelle. Tutti devono sentirsi insicuri, tutto deve andare nel caos. Perché quello che loro si aspettano è innanzitutto ilmassacro dei narco-guerriglieri. L'esercito deve uccidere il numero più alto di narco-guerriglieri possibile. Allo stesso tempo, deve esserci un momento di negoziazione.
Sarà con Fito? Ne dubito. Sono convinto che in questo momento, all'interno dei Los Choneros, come è successo con Sinaloa, una parte sta cercando di consegnare vivo o morto Fito in cambio di vantaggi ulle loro economie, sulle loro proprietà, sulla loro condizione in carcere. Ma quello che accadrà lo sapremo nei prossimi giorni.
Va ricordato che i Los Choneros hanno da sempre interloquito con le istituzioni. Quando il presidente Noboa ha dichiarato i 60 giorni di emergenza nazionale, i Los Choneros si sono sentiti traditi: “Ma come, un nostro interlocutore si permette una cosa del genere?”
I Los Choneros negli anni hanno avuto quasi in subappalto il controllo delle carceri. Le carceri sudamericane solo satolle e la loro gestione difficilissima.
Spessissimo, questo accade in moltissimi paesi, anche caraibici, viene delegato da un gruppo, la gestione del carcere: se non fai accadere rivolte, noi miglioriamo il cibo facciamo entrare ai vostri affiliati più cose, una buona televisione, ogni tanto qualche fidanzata, un po’ di droga. I Los Choneros per anni sono stati questo. Ecco perché ai Los Choneros è bastato un attimo per prendere il controllo delle carceri ecuadoriane.
Il rapporto con la politica dei cartelli ecuadoriani negli ultimi anni è stato drammatico. I Los Choneros portano avanti una linea durissima contro i politici che non negoziano, che non si alleano o che smettono di allearsi, magari guardando ad altri gruppi. Le ultime elezioni presidenziali sono state una carneficina. Hanno ammazzato il più importante rivale dell'attuale presidente. Si chiamava Ferdinando Villavicencio, leader centrista minacciato dai cartelli che lo invitavano ad andare in piazza col giubbotto antiproiettile, lui dichiarava: “La mia protezione è la mia gente”. E invece è stato ammazzato davanti alle telecamere, appena terminato un comizio. Stessa storia per Pedro Brignoles, esponente della sinistra radicale ecuadoriana. E poi l'omicidio del sindaco di Manta, la città culla dei Los Choneros, Agustín Intriago. Chiunque si ponga tra i Los Choneros e i loro obiettivi è morto.
Il ruolo dell’Italia
Precipuo è il ruolo dell'Italia in rapporto al narcotraffico ecuadoriano. Il legame tra le organizzazioni mafiose italiane e i cartelli ecuadoriani per mediazione, albanese e messicana è strettissimo. Albanese? Sì, perché proprio in Ecuador c'era sino al 2020, fin quando non viene smantellato, almeno così sembra, un cartello albanese. Kompania Bello si chiama e il suo boss Dritan Rexhepi gestiva direttamente i rapporti tra i cartelli europei, est europei e mediterranei e l'Ecuador.
Nel 2022, nel porto di Guayaquil, in Ecuador, ho fatto un sequestro record oltre 200 tonnellate di cocaina. Ma il dato impressionante è che la parte maggiore di coca sequestrata in Italia negli ultimi anni, mi riferisco ai sequestri del porto di Livorno nei porti di Vado Ligure, in misura minore Gioia Tauro, provengono dall'Ecuador, così come provengono dall'Ecuador la maggior parte dei sequestri di persone, chiamate i muli, che o ingoiano o trasportano addosso coca.
Ma non è questione che riguarda solo i porti italiani: la porosità dei porti europei, soprattutto post Covid, è davvero esponenziale. Due dettagli mi hanno colpito degli ultimi anni della narco-centralità dell'Ecuador: un carico sequestrato nel 2022 diretto alla Georgia e un altro carico più recente nel maggio 2023, diretto in Armenia.
Ecco il narcotraffico ecuadoriano -bisognerebbe dire il narcotraffico messicano – ha iniziato a tappeto a riempire di coca l'Est Europa. Non che non l’abbiano fatto i cartelli precedenti, ma da dopo il conflitto russo-ucraino le porte del narcotraffico si sono spalancate. Il mercato è quasi triplicato, e le organizzazioni criminali hanno a disposizione una tale quantità di denaro e possibilità di negoziare con le armi da importare tonnellate di cocaina.
Questa storia riguarda tutti. Riguarda tutti perché la droga non è un'eccezione. Quello che sta accadendo è che non saper gestire il male di vivere e la sofferenza del vivere occidentale e non solo, sta portando alla distruzione della democrazia. Narcotraffico, mafie, significa mercati dopati, imprese con concorrenza sleale. Significa corruzione, significa manipolazione del consenso pubblico. Significa distruzione delle regole democratiche.
Aver tolto da qualsiasi dibattito democraticouna riflessione sulle dipendenze, una riflessione sui consumi, aver dismesso il dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere, mossa importante che per esempio fu fatta in Uruguay per fermare l'invasione dei cartelli messicani, porta esattamente a quello che sta accadendo in Ecuador.
Un ultimo pensiero: guardate le scene nelle strade dell'Ecuador per capire il potere delle organizzazioni mafiose.
Se le istituzioni, se la società civile, dovessero rifiutarsi di dialogare, di negoziare, di trattare e le organizzazioni criminali dovessero decidere di dare fuoco, non ci sarebbe più ordine, non ci sarebbe più equilibrio, non ci sarebbe più pace.
Bastano pochissime persone e il controllo è perso. Questa è la potenza delle mafie. Piccoli numeri di fatto, pochi soldati, ma che portano una valanga di disagio che non puoi fermare se non trattando con loro.
Recentemente è accaduto ad Haiti, accade in Giamaica, in Montenegro. C'è una parte di mondo criminale che aspetta il comportamento delle istituzioni per poter accendere la luce verde di una rivolta, del terrorismo mafioso: lo hanno fatto anche le mafie italiane negli anni ‘90.
Vedete, è semplice: o ci si occupa del narcotraffico, o il narcotraffico si occupa di noi.