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Robert, con Marco al fronte: “Vivevo a New York, ora combatto in Siria contro Daesh”

Robert Rose racconta in esclusiva a Fanpage.it via Facebook la sua esperienza di foreign fighter in Siria al fronte contro l’Isis. Il reclutamento su Facebook, l’addestramento lampo, i combattimenti e i morti. E con lui c’è un italiano di Napoli, Marco.
A cura di Luisa Cornegliani
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Robert Rose in Siria durante una pausa dei combattimenti
Robert Rose in Siria durante una pausa dei combattimenti

“Sono andato a combattere contro l'Isis perché ho seguito il conflitto dal suo inizio e vedendo tutto quello che fa l'Isis – le decapitazioni di massa, quando ha annegato e bruciato vive persone innocenti – ho deciso di partire. In realtà, ho sempre voluto combattere contro di loro, sin dal primo istante in cui li ho visti, spietati, in azione. Sono di New York e l'11 settembre è un ricordo incancellabile. Sono partito anche in memoria di quella strage. Non ho una formazione militare. Non sono stato un soldato, non sono stato nei Marines. Le prime esercitazioni con le armi le ho fatte in Siria. Avevo sentito che c'era un americano laggiù, che combatteva accanto ai curdi, così mi son messo in contatto con lui tramite Facebook e lui mi mi ha messo in contatto con il comandante che mi ha offerto la possibilità di unirmi a loro. Io avrei dovuto solo occuparmi del mio passaporto e di comperare il biglietto aereo”.

Robert Rose è un giovane di New York, mezzo ispanico, mezzo afroamericano. Ha 26 anni, un figlio di 9 anni e vive nel South Bronx, o meglio viveva. Fino a fine agosto ha fatto il muratore sulla cima di un grattacielo e prima ancora ha lavorato in un supermercato aperto 24 ore su 24, ma ora è in Siria, a combattere contro l'Isis. E' la sua seconda volta laggiù. Sul suo profilo Facebook dice di essere un membro dell'Unità di Protezione delle donna e di far parte del Ypg, la milizia armata che lotta in Siria contro i miliziani dell'Isis e per il Kurdistan.

E' uno dei tanti foreign fighters, combattenti stranieri, che sono andati a combattere contro i miliziani islamici, ben prima degli attentati in Francia, a Parigi e a Nizza, ben prima che i terroristi islamici facessero saltare in aria la metropolitana e l'aeroporto di Bruxelles. La prima volta che ha lasciato la sua patria, la sua famiglia ed è andato in guerra per sei mesi è stato nel 2015. Suo compagno di battaglia un mitra del 1971 e vecchie armi, rimasugli della guerra in Vietnam. Sono quelle, del resto, che hanno in dotazione i curdi del Ypg. Perché è diventato, per così dire, un soldato dell'occidente, contro l'avanzata dell'esercito islamico? Lo spiega lui stesso, in una  intervista via Facebook, che concede a Fanpage.it dopo mille tentennamenti e che è durata diversi mesi. A convincerlo a parlare sono stati gli attentati ad Ankara, in Turchia, dell'ottobre e del marzo scorso, in cui sono morte decine di persone, e il colpo di Stato fallito, sempre nel paese della Mezzaluna: secondo lui sarebbero la dimostrazione di quanto il presidente Recep Tayyip Erdoğan sia legato ai miliziani dell'Isis e al terrorismo.

Robert Rose alcuni mesi fa, al lavoro come muratore, sulla cima di un grattacielo di New York
Robert Rose alcuni mesi fa, al lavoro come muratore, sulla cima di un grattacielo di New York

Dalla parte dei curdi

Innanzitutto, spiega che il Kurdistan è la sua patria “del cuore” e che torna negli Stati Uniti solo per mettere via i soldi necessari per poi tornare laggiù. Quando è a casa, dunque, lavora sodo e nel tempo libero, va a vedere i Boston Red Sox con il figlio, organizza manifestazioni anti Erdogan e pro curdi. Raccoglie fondi per l'Ypg e medicine da inviare sul campo di battaglia. Segue corsi di pronto soccorso e si esercita con le armi e ogni tanto riceve la visita della polizia che controlla cosa fa. Scrive: “Quando sono a New York, voglio tornare in Kurdistan. Potete usare pure tutte le foto che trovate sul mio profilo Facebook. Danno bene l'idea di quello che ho fatto e faccio qui, delle guardie ai villaggi, la notte, a protezione di donne e bambini innocenti”. Il Kurdistan è lo stato, agognato, che i curdi vorrebbero creare, le cui terre si trovano in parte in Turchia e in parte in Siria. E' una terra martoriata, oggi, in cui anche l'Isis vorrebbe creare il suo stato islamico. I curdi sono in prima linea per impedirglielo: si tratta di uno sparuto esercito mezzo cristiano mezzo islamico che difende come può i suoi villaggi dai nemici dell'Isis. Nello scacchiere internazionale dovrebbero avere il sostegno degli Stati Uniti, della Nato, della stessa Russia, ma ogni giorno il gioco delle alleanze cambia, mentre sul campo la battaglia continua sempre più feroce.

Reclutato via Facebook

Dunque basta una conversazione via Facebook per finire tra i miliziani curdi a combattere il daesh? Parrebbe, proprio così. Robert Rose, però, ci tiene a precisare: “Non è che accettino tutti, bisogna parlare con coloro che sono responsabili del reclutamento e loro prendono le decisioni dopo aver fatto una serie di domande specifiche”.

L'idea che ci dà è che ai comandanti curdi che combattono in Siria non interessi che il futuro soldato sappia usare un fucile, ma quanto furore abbia nell'animo per mettersi a farlo davvero, in mezzo a un deserto sconosciuto, senza poi scappare spaventato. Un foreign fighter senza esperienza costa soldi e fatica ai suoi comandanti, che lo devono istruire e armare: bisogna avere occhio a scegliere gli uomini giusti perché un conto è dire di essere pronti a entrare in guerra e un conto è farla questa guerra, rischiando la propria vita e quella dei propri compagni. Perché sì, nelle battaglie quotidiane in Siria si muore tutti i giorni e tutti i giorni, o quasi, Robert Rose posta la foto di un suo compagno di milizie che non c'è più.

Un addestramento lampo

Il suo racconto prosegue spiegando quale formazione ha ricevuto la prima volta che è arrivato in Siria, prima di scendere in battaglia. E' sincero: “La formazione è durata solo 4 giorni la prima volta. Ero con persone occidentali con molta esperienza, alcuni erano ex soldati, quindi stando con loro sono riuscito a saltare un sacco di esercitazioni. La mia prima volta che sono sceso “in campo” consistette nello stare in attesa di ordini, la seconda volta ero a Rojava (nel nord-est della Siria), e ho visto tutte le azioni in Hasakah, (città dove si sono svolte battaglie furiose).

Robert Rose con un altro foreign fighter. Erano di pattuglia in un piccolo villaggio siriano
Robert Rose con un altro foreign fighter. Erano di pattuglia in un piccolo villaggio siriano

"Il mio amico Marco ne ha quasi ucciso uno"

La parola vedere dà da pensare. Ha solo visto? No, non solo. Ma finora non è mai sceso in prima linea, al fronte: “A volte ho postato su Facebook foto di terroristi ammazzati, ma io non ho mai ucciso nessuno. Quei terroristi erano stati ammazzati durante dei bombardamenti… “amici”. Ogni tanto arriva qualcuno in nostro soccorso. I miei comandanti dicono genericamente che si tratta di bombardamenti Nato. Comunque ho sparato diverse volte a quelli del Daesh e ho visto i miei compagni più esperti in battaglia. La mia prima sensazione quando mi sono trovato davanti “un daesh” è stata di paura, ma l'ho nascosta e semplicemente ho fatto il mio lavoro. Con me c'erano e ci sono anche oggi molte donne soldato e molti foreign fighters come Marco L.C., mio grande amico. E' italiano, di Napoli, è un “bro” (che sta brother, fratello). Lui una volta, quand'eravamo di pattuglia insieme, ha quasi ucciso un daesh, purtroppo ha mancato la sua testa e l'ha fatto scappare”.

Rose, il primo a sinistra, con i suoi commilitoni. Alcuni sono occidentali, proprio come lui.
Rose, il primo a sinistra, con i suoi commilitoni. Alcuni sono occidentali, proprio come lui.

I commilitoni morti sul campo

In questo suo nuovo viaggio in Siria, appena cominciato lo scorso 20 settembre, accanto a lui c'è un giovane ex marine americano, Justin Schnepp. Alcuni hanno anche perso la vita come John Gallagher, originario di Alberta, in Canada. E' morto nel novembre 2015, ucciso in uno scontro a fuoco. A dare l'annuncio della sua morte è stata la mamma, Valerie, su Facebook. E su Facebook si è celebrato anche il suo funerale virtuale tra ex commilitoni. Quello vero, invece, è stato celebrato a Rojava: a portare la sua bara c'erano diversi foreign fighters tra cui una donna, una soldatessa, parrebbe anche lei canadese.

John Gallagher è morto lo scorso novembre in Siria. Era originario di Alberta in Canada.
John Gallagher è morto lo scorso novembre in Siria. Era originario di Alberta in Canada.
I funerali del foreign fighter canadese sono stati celebrati in Siria. A portare la bara c'è anche una giovane soldatessa.
I funerali del foreign fighter canadese sono stati celebrati in Siria. A portare la bara c'è anche una giovane soldatessa.
La cara di John Gallagher vegliata da una soldatessa, la stessa che l'ha portata a spalla durante la cerimonia.
La cara di John Gallagher vegliata da una soldatessa, la stessa che l'ha portata a spalla durante la cerimonia.

"I miei comandanti sono tutti morti"

Robert Rose definisce John Gallagher un eroe, ma specifica che non è certo l'unico, perché sono e sono stati in tanti, soldati e soldatesse, a perdere la vita nella battaglia contro Daesh per salvare l'occidente. “Sono stato molto legato ai miei comandanti, che mi hanno aiutato e diretto in Siria. Anche loro purtroppo sono entrambi morti. Il loro omicidio mi dà la carica: sono tornato qui una seconda volta anche per loro. Durante la mia precedente esperienza, non ho avuto un amico o un compagno con cui mi sono trovato meglio. Siamo tutti fratelli, ci unisce l'odio per i daesh”.

"A mio figlio non ho mai detto nulla"

Robert Rose fatica a rispondere a domande personali, sulla sua famiglia e sul figlioletto. Quando lui è in Siria, come adesso, il bimbo è affidato ai suoi genitori. Scrive: “Non ho mai spiegato a mio figlio perché vado in Siria. Non gli spiego quello che sta avvenendo in quella parte del mondo. E' troppo giovane. Ho il mio progetto educativo. Voglio proteggerlo finché non sarà grande abbastanza”.

ICom'é riuscito, per la seconda volta, ad andare in guerra lasciando suo figlio, con la consapevolezza che potrebbe tornare in una bara? Per un giovane occidentale che la guerra l'ha solo studiata sui libri, non è così ovvio. Risponde: “Mio figlio ha 9 anni e combatto anche per lui. Nella mia precedente esperienza qui, in Siria, ogni giorno pensavo a lui e alla possibilità che io potessi morire, di lasciarlo orfano, ma ho convissuto con questo pensiero e l'ho messo da parte per fare il mio dovere. Farò lo stesso anche questa volta. A spingermi a partire è il fatto che io, lui, la mia famiglia siamo tutti di New York. Eravamo qui l'11 settembre, il ricordo di quell'attentato è incancellabile. Lo ribadisco: sono partito anche in memoria di quella strage. Non solo, ma anche…”.

Robert Rose durante una guarda notturna, a difesa di un villaggio siriano.
Robert Rose durante una guarda notturna, a difesa di un villaggio siriano.

"Nessuno di noi prende soldi"

Quindi ci tiene a precisare che nessun soldato che combatte al fianco dell'esercito curdo riceve uno stipendio. La cosa gli sta molto a cuore, perché vuole che non si confondano i soldati volontari con i contractors. Laggiù ce ne sono molti, tutti pagati lautamente da compagnie di sicurezza di ogni parte del mondo. “Siamo tutti volontari, europei, americani e gli stessi curdi. Nessuno riceve un dollaro e questo fa la differenza. Noi siamo lì per il cuore”.

Robert Rose non ama neppure parlare di politica. Appena gli si chiede di Barack Obama e della sua politica estera, risponde: “Credo che potrebbero fare di più. Basterebbe che mandasse armi, veicoli blindati ed equipaggiamento medico”.

"Voglio solo una vita normale"

Le ultime domane che gli poniamo riguardano il suo futuro. Cosa vorrebbe per se stesso, per suo figlio? Cosa vuole un foreign fighters, che va a combattere una guerra che fino a poco tempo fa sembrava per gli europei davvero lontana? “Credo in Dio e voglio solo una vita normale, a normal life”. E' la prima volta che nomina Dio, non ha mai definito come religiosa la guerra che ha scelto di combattere. Ma la sua non era una vita normale, a New York, con suo figlio e il suo lavoro? “Che cosa? Non capisco. Io sono stato costretto ad andare in guerra e lo sono anche oggi. Il mio cuore, i miei ideali mi hanno costretto e mi spingono a combattere… se questo fa meglio capire la mia posizione”. E ci lascia con un “have a great night”. Dopo tutti i fatti successi, dopo gli attentati in Europa, è lecito domandarsi se si potrà ancora vivere una great night, nel senso puro, spensierato del termine. Robert Rose crede che non sia più possibile ed è pronto a fare la sua parte perché lo sia di nuovo.

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