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Rischio eruzione vulcano in Islanda, il racconto di Roberto: “Grindavík può diventare una città fantasma”

Una cittadina islandese di 4mila abitanti, Grindavík, è stata evacuata dopo che una serie di terremoti ha scosso la penisola di Reykjanes, segnalando la probabile imminente eruzione del vulcano Fagradalsfjall. A Fanpage.it Roberto Luigi Pagani, scrittore, divulgatore e ricercatore, che vive nel Paese dal 2014, ha spiegato la situazione.
A cura di Eleonora Panseri
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A sinistra Roberto Luigi Pagani (foto instagram @unitalianoinislanda)
A sinistra Roberto Luigi Pagani (foto instagram @unitalianoinislanda)

Le autorità islandesi hanno dichiarato lo stato di emergenza dopo che una serie di terremoti ha scosso la penisola di Reykjanes, segnalando l'aumento della probabilità di un'eruzione del vulcano Fagradalsfjall che si trova nella regione. La polizia nei giorni scorsi ha fatto evacuare i 4mila abitanti della cittadina di Grindavík, che si trova proprio sulla penisola, a circa 50 chilometri a sud-ovest della capitale Reykjavik.

"Secondo i geologi, si tratta di un evento di dimensioni epocali che entrerà nella storia del Paese perché la lava che si è accumulata sotto la penisola sembra superare quella della maggior parte delle eruzioni storiche osservate finora", racconta a Fanpage.it Roberto Luigi Pagani, scrittore, divulgatore e ricercatore in linguistica e paleografia islandese, conosciuto in rete come "un italiano in Islanda" (vive nel Paese dal 2014).

Foto Instagram @unitalianoinislanda
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"Io mi trovo nella capitale, dove sono arrivate tante scosse. Anche se per noi i terremoti non sono tanto un problema perché qui per legge non si può costruire in mattone per ragioni antisismiche. Le case islandesi possono resistere a scosse di magnitudo 7 ma per la conformazione del Paese è difficile che si raggiungano tali livelli. Discorso diverso invece va fatto per Grindavík dove le scosse sono state fortissime. La lava si è disposta lungo una faglia che attraversa la città. Ora non si sa da dove uscirà, potrebbe farlo anche sotto le case, ma soprattutto non è possibile prevedere fino a quando tutto questo continuerà", aggiunge.

L'evacuazione di Grindavík è stata realizzata in tempi molto rapidi. "Mi preme sottolineare che spesso si pensa che, visto che in Islanda siamo pochi, le cose siano più semplici. In realtà, non sono poche solo le persone da gestire, ma anche quelle in grado di gestire la situazione. Far evacuare una cittadina di 4mila abitanti con sole due strade che escono dal centro abitato non è un'impresa da poco – prosegue il ricercatore – Ieri sono anche riusciti a garantire agli abitanti una finestra di pochi minuti per poter recuperare animali domestici e oggetti preziosi, ma ora non si sa esattamente se e quando le persone potranno rientrare nelle loro case. C'è chi dice che Grindavík diventerà una cittadina fantasma perché questa situazione potrebbe continuare per decenni".

Foto Instagram @unitalianoinislanda
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Il rischio della chiusura del traffico aereo

Come spiega ancora Pagani, "il pericolo più grosso adesso, oltre alla tragedia degli sfollati, è legato al fatto che questa linea sconfina in parte nel mare. Se dovesse avvenire un'eruzione sottomarina a 150/200 metri, succederebbe un disastro perché la lava a contatto con l'acqua produce cenere che viene sparata in cielo e questo potrebbe portare alla chiusura del traffico aereo. Qui il comparto turistico è uno dei settori più forti dell'economia locale. Se si dovesse fermare completamente, sarebbe un grosso guaio".

L'Islanda è una terra molto attiva dal punto di vista vulcanico, tagliata in due dalla dorsale medio atlantica. La faglia che separa diverse placche continentali, tra cui quella Nord americana ed euroasiatica. "Ciò significa che nel cuore del Paese c'è una spaccatura da cui esce nuovo materiale, nuova roccia, che spinge sui due lati quella vecchia, facendo espandere l'Islanda e facendo allontanare Europa e America. Prima che la dorsale si inabissi nell'oceano atlantico, c'è proprio la penisola di Reykjanes, la "penisola dei fumi". Nelle vicinanze si trova anche l'aeroporto internazionale: non ci sono altri scali altrettanto grandi nel Paese, è proprio il fulcro dei contatti tra l'Islanda e il resto del mondo", spiega ancora Pagani.

Il sistema vulcanico che si trova al di sotto di questa penisola segue un andamento di 200 anni di attività, ovviamente a periodi alterni, e 800 di quiescenza. La nuova fase è iniziata nel 2020 ma, precisa il divulgatore, "quella attuale è molto diversa rispetto alle precedenti eruzioni. Si trattava di "eruzioni turistiche", perché si sono verificate in luoghi dove non ci sono strade o abitazioni e potevano anche essere guardate in sicurezza".

L'intervento delle autorità islandesi

Pagani spiega anche quali sono gli interventi che le autorità islandesi stanno mettendo in atto per affrontare l'emergenza. Oltre ad aver dichiarato lo stato di emergenza, "la prima ministra sta pensando di proporre in Parlamento una legge per tassare le proprietà immobili di tutto il Paese, una tassa dello 0,08xmille per poter finanziare la costruzione di barriere che blocchino eventuali flussi di lava e proteggano determinate strutture. Perché in questa situazione non c'è solo l'aeroporto, ma anche l'impianto geotermico di Svartsengi che produce energia idroelettrica e acqua calda per gli insediamenti della penisola. Questo è quando ha deciso il Governo per ora".

"Il capo della Protezione civile islandese invece ha detto che al momento non c'è un piano perché non hanno la più pallida idea di quello che succederà – aggiunge lo scrittore – Bisognerà attendere e si troveranno soluzioni nel momento in cui avverrà qualcosa. Gli islandesi sono grandi improvvisatori, una cosa che sanno fare molto bene perché di solito sono costretti. Possono fare delle previsioni quando il vulcano erutterà ma sono comunque proiezioni che non riescono a tenere conto di tutti i fattori implicati. È molto più importante monitorare la situazione reale".

Una situazione analoga ma meno pesante si era verificata anche nel 1973. "Si tratta di un episodio diventato molto famosa perché intervennero gli statunitensi con le idrovore, riuscendo a fermare e solidificare una colata di lava. Qui hanno costruito un museo, la cosiddetta "Pompei del Nord", sono riusciti a contenere la situazione, ripulendo la zona e permettendo alle persone di tornare a casa. La situazione ora però è diversa perché potrebbe andare avanti anche per decenni", conclude Pagani.

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