Probabilmente ricorderemo il 2015 per i tanti sconvolgimenti che hanno interessato la sfera della politica in Europa. A volte coinvolgendoci per settimane, com’è avvenuto per la Grecia delle trattative sul debito, e con la capitolazione di Alexis Tsipras di fronte all’Europa. O sorprendendoci, come nella Francia della vittoria dei nazionalisti di Le Pen alle regionali (scongiurata al secondo turno). Ponendoci degli interrogativi, come nel cambio di leadership nella sinistra inglese del radicale Jeremy Corbyn.
In questi giorni che segnano la fine di un anno ricco di avvenimenti, l’attenzione si è concentrata sulle elezioni in Spagna. Anche qui, come in altri paesi, finisce l’epoca del bipolarismo. In questo caso, fra la destra di Mariano Rajoy al governo e i socialisti di Pedro Sanchez: i primi ottengono solo 123 seggi, dai 186 precedenti, col 28.7% di voti e perdendo 3 milioni e mezzo di elettori. I socialisti, ottengono il loro peggior risultato in termini assoluti, col 22%: hanno perso un milione e mezzo di voti.
Il movimento spagnolo Podemos, nato dalle proteste degli “indignados” del 2011, ottiene il 20% di voti alla sua prima volta. È un fatto di portata storica che imprime una svolta al sistema politico spagnolo, riconoscendo tre attori forti sulla scena. E in più c’è il 14% ottenuto dal nuovo partito di destra “Ciudadanos”, che potrebbe sostenere il PP di Rajoy per formare un nuovo governo di destra. L’attuale premier Rajoy ha affermato: “Cercherò di formare un governo stabile”. Ma lo scenario è ancora confuso.
Sta accadendo sempre più spesso, e in più paesi, con le dovute declinazioni nazionali. Perché in tutta Europa, la tendenza che emerge è quella della costante perdita di consenso dei partiti tradizionali, della fine del bipolarismo destra contro sinistra (e viceversa), dell’affermarsi di terzi (e quarti) partiti a spartirsi equamente la fetta di voti coi primi due, e dove non ci sono nuove formazioni a farsi portatrici di “novità” antisistema, sono quelli tradizionali a rinnovarsi (come nel caso britannico).
È successo ora in Spagna, ma ancora prima in Italia, col Movimento 5 Stelle. E in Portogallo, in Francia alle ultime regionali, in Grecia, in Inghilterra. È un fatto che prescinde dal tasso di partecipazione al voto, accade sia con alti tassi di astensione che con un’alta affluenza alle urne: in Spagna a questo turno è cresciuta del 4% rispetto al 2011. Un’inversione rispetto al resto dei paesi europei: in Francia due settimane fa l’astensione è stata del 50% al primo turno, mentre in Portogallo ha raggiunto il record nazionale del 43%.
La confusione è tanta. E queste novità della sfera politica dei paesi europei, si sono imposte spesso con la forza che hanno i cambiamenti d’epoca. Basta pensare che in Spagna, fin dal 1990, conservatori e socialisti avevano sempre raccolto circa l’80% del totale dei voti alle elezioni. Questa volta ne hanno raccolti solo il 50%, e inoltre pochi mesi fa entrambi avevano perso le città di Madrid e Barcellona (andate a Podemos e alle liste civiche collegate).
Nel Regno Unito, alle politiche di maggio, per la prima volta il partito nazionalista scozzese SNP ha battuto il Labour come primo partito della regione, aumentando del 50% i suoi consensi mentre il Labour perdeva il 40% di elettori in Scozia. E anche due settimane fa alle regionali in Francia quel 28% di consensi per il Front National di Le Pen ha lasciato molti sbalorditi (dal 18% del 2012). Questi risultati, infatti, spesso non sono previsti da sondaggi ed analisti. Vediamo, dopo la Spagna, cosa è accaduto nel 2015.
- Francia: Al primo turno delle regionali il Front National di Marine Le Pen ha conquistato sei milioni e mezzo di voti, col 28%, e nonostante la sconfitta al secondo turno la formazione di destra punta ad affermarsi terzo partito del paese. In Corsica, per la prima volta, vince il partito indipendentista.
- Portogallo: alle elezioni politiche di ottobre hanno vinto i conservatori pro-austerity di “Portugal a Frente” del premier uscente Pedro Passos Coelho. Che, però, non ha raggiunto la maggioranza assoluta e non è riuscito a formare un governo. Il 51% di voti è andato fra tre formazioni di opposizione: socialisti, Blocco di Sinistra e Cdu. E proprio questi partiti hanno formato ora un governo di sinistra.
- Regno Unito: alle elezioni politiche di maggio il partito nazionalista scozzese SNP ottiene un milione e mezzo di voti, col 5%, affermandosi come quarto partito nel Regno Unito, dopo socialisti, conservatori e LibDem (questi ultimi però hanno perso il 15% di voti, mentre il SNP è cresciuto del 3%). A seguito della sconfitta riportata dal Labour, Jeremy Corbyn diventa il nuovo leader del partito con una maggioranza assoluta del 60% di consensi alle primarie: la rivale Yvette Cooper, ben vista dalla dirigenza del partito, ottiene solo il 17%.
- Grecia: A settembre, il partito Syriza del premier Alexis Tsipras ha vinto nuovamente le elezioni col 35% di voti, e ha formato un governo assieme ai seggi del partito indipendentista di destra Anel. Precedentemente, il governo era caduto a seguito della defezioni di numerosi parlamentari di Syriza, contrari alla messa in atto delle clausole previste dal piano di salvataggio imposto dall’Europa.
E in Italia? Alle ultime elezioni politiche del 2013 Il PD, ora al governo, ottenne il 29.55% di voti, e quasi identico l’ormai defunto Popolo delle Libertà di Silvio Berlusconi, col 29.18%. Il Movimento 5 Stelle ottenne il 25.56%. Da allora tra regionali ed amministrative è stato un mosaico di allenze e rotture, fra destra e sinistra, centro e comunisti, con lotte fratricide per le primarie del PD che hanno causato importanti spaccature all’interno del partito. Mentre la destra non ha ancora capito a che leader affidarsi. Lo scenario politico, se possibile, è diventato ancora più confuso.
Alla luce di tutto ciò, Matteo Renzi ha commentato sul voto in Spagna: “La Spagna di oggi sembra l'Italia di ieri. Con la legge elettorale (Italicum) da noi ci sarà un vincitore chiaro”. Già, perché l’Italicum approvato lo scorso maggio fra tanti dubbi, assegna la maggioranza assoluta dei seggi al partito che vince il ballottaggio. Ma il nostro premier sembra non cogliere ciò che ci sta accadendo intorno. Perché il punto non è mettere una toppa “all’italiana”, come fa questa legge elettorale, per riparare a un problema che si è venuto a creare nel momento del voto.
Il punto è che gli elettori sono cambiati, e i loro bisogni. E i partiti, i governi, e il sistema elettorale, dovrebbero comprendere ed adeguarsi per riparare al divario che si è creato con le esigenze degli elettori. A cui non va più di votare unicamente i partiti tradizionali, non interessa scegliere fra A e B, ma cerca la C e la D. L’Italicum, di fatto, cancella questo con un atto di forza che ha poco di democratico. Perché chi vota i “terzi” e “quarti” partiti, quelli che oggi in Europa prendono il 20 e 25% dei consensi… viene escluso dal processo.
Servirebbe invece capire perché succede questo. Comprendere come stanno cambiando gli elettori e i loro bisogni. Perché a forzare la mano, Matteo Renzi rischia di mettersi dalla parte sbagliata della storia. Sul'altra sponda di quel "cambiamento" di cui lui e i suoi colleghi di governo non fanno che riempire i discorsi. Rischiando di finire in pochi anni nel dimenticatoio, assieme a quei partiti e leader che gli elettori, in Europa, non vogliono votare più.