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Regno Unito nel caos: crolla una classe politica mentre la Brexit pesa sull’economia

Mentre l’economia va male e aumentano le aggressioni razziste il paese è in stallo per la crisi della politica. Ma alla fine, usciranno davvero dall’Unione Europea?
A cura di Michele Azzu
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A sole due settimane di distanza dal referendum che ha sancito la volontà del Regno Unito di lasciare l’Unione Europa, il paese si ritrova nel caos. Politico, fra le tante dimissioni dei protagonisti della Brexit e le lotte intestine alla sinistra. Caos sociale, con un paese lacerato dagli attacchi razzisti verso europei, musulmani e asiatici. Caos economico, con i primi effetti della recessione post-Brexit che “iniziano a cristallizzarsi”, come afferma il governatore della Banca d’Inghilterra.

“Serve chiarezza nelle decisioni del Regno Unito prima possibile per evitare l’incertezza che porta via gli investimenti”, ha chiesto Christine Lagarde, presidente del Fondo Monetario Internazionale (FMI), intervistata dal Financial Times. Ma la chiarezza per ora non può esserci, perché proprio nel momento in cui il paese avrebbe bisogno più che mai di una guida capace di dettare la via – persa nel momento in cui il 52% del paese ha votato Brexit – sono scomparsi tutti i riferimenti istituzionali. E ora che Theresa May è stata scelta come nuovo premier del paese, molte cose diventeranno più chiare.

IL DRAMMA DEGLI EUROPEI NEL REGNO UNITO. May, che viene descritta come la “nuova Tatcher” – lei ha fatto campagna per rimanere dentro l’UE – è stata negli ultimi anni uno dei membri di governo più influenti, ed implacabili, sulle misure contro l’immigrazione. May ha dichiarato che: “Il futuro degli europei che vivono nel Regno Unito non è certo”, suscitando così le critiche di quasi tutto il parlamento, compreso il suo partito. Si è trattato, probabilmente, della prima mossa tattica per le future negoziazioni con l’Unione Europea, nonostante sia di fatto impossibile che il paese decida di mandare via gli europei.

Nel Regno Unito, infatti, vivono 3 milioni di europei  – e tantissimi italiani di cui abbiamo scritto qui – che portano 20 miliardi di sterline l’anno (circa 30 miliardi di Euro) fra tasse e contributi, e sostengono in maniera decisiva il capitale umano del servizio sanitario nazionale. Mettere sul piatto della Brexit 3 milioni di cittadini europei come “moneta di scambio”, come ha dichiarato la ex contendente di May alla presidenza del governo, Andrea Leadsom, sembra davvero un atto ignobile – e la sicurezza di questi non era stata messa in discussione neanche nella durissima campagna del referendum.

I fautori di quel disastro, di quella campagnia di un referendum che ha già spazzato via 2 trilioni di dollari dalle borse mondiali, sono fuggiti via: Boris Johnson, l’ex sindaco di Londra che ha guidato la campagna per la Brexit e avrebbe dovuto succedere a Cameron si è ritirato. E anche Nigel Farage, leader del nazionalista Ukip, si è dimesso. E la sinistra? Il leader del partito Labour, Jeremy Corbyn, eletto sei mesi fa a seguito di un (inaspettato) grande mandato popolare, è stato vittima di un tentativo di “ribaltone”, con l’80% dei parlamentari del suo partito che ha votato per sfiduciarlo. Corbyn ha però rifiutato di dimettersi, e ora il Labour sembra addirittura sul punto di una scissione.

L’ECONOMIA VA MALE. In mezzo al caos politico e parlamentare l’economia vacilla. La sterlina ha toccato il minimo storico degli ultimi 31 anni: se un mese fa una sterlina valeva 1.35 Euro, oggi la quotazione è scesa a 1.17 Euro. Al momento, tre grandi fondi immobiliari hanno sospeso le proprie attività per via delle troppe perdite, e M&G Aviva, il più grande fondo di britannico, è l’ultima ad avere adottato questa misura. La Banca d’Inghilterra è dovuta intervenire rilasciando 150 miliardi di sterline di credito disponibile per aziende e famiglie. Il governatore, Mark Carney, ha affermato che: “I rischi derivanti dalla Brexit hanno iniziato a cristallizzarsi. Il Regno Unito è entrato in una fase di incertezza e di aggiustamenti economici significativi”.

GLI ATTACCHI RAZZISTI CRESCONO. E la società? Nei giorni successivi al referendum il Regno Unito ha visto crescere in maniera incontrollata i reati di odio, e cioè le aggressioni di natura razzista contro musulmani, asiatici e cittadini europei. Tedeschi, italiani e molti polacchi fra gli aggrediti dei giorni scorsi: il voto per l’uscita dall’Unione Europea è stato in buona parte motivato dal risentimento contro gli immigrati, colpevoli – secondo la campagna referendaria – di sottrarre lavoro ai britannici, di ingolfare il sistema sanitario con attese troppo lunghe e di abbassare i salari.

Ma se il paese è attraversato dall’odio c’è anche quel 48% che ha votato per rimanere nell’UE. E in questi giorni a Londra ci sono state già tre diversi cortei, che hanno richiamato un afflusso di circa 40mila persone nella capitale, per sostenere l’UE e condannare il razzismo. Una petizione che ha raccolto oltre 4 milioni di firme chiede un nuovo referendum, e lunedi 4 luglio tantissimi europei hanno indossato al lavoro la maglietta blu con la scritta: “I lavoratori UE fanno grande la Gran Bretagna”.

UNA MAASTRICHT AL CONTRARIO. Chi ancora nutre speranze che si possa bloccare l’esito del referendum non fa i conti con la realtà. D’altra parte, però, sia alla Camera dei Deputati che al Senato britannico non c’è la maggioranza per approvare l’uscita dall’Unione Europea (al Senato addirittura la Brexit verrebbe bocciata con un margine di sei a uno). Insomma, se è vero che il nuovo governo di May dovrà procedere al mandato popolare del referendum – anche se non è legalmente vincolante – è vero anche che il parlamento britannico potrebbe rimandarlo all’infinito.

Una “Maastricht al contrario”, e cioè adottare la maniera con cui gli euroscettici ostacolarono l’adozione nel Regno Unito del Trattato di Maastricht. C’è poi la questione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona: quando verrà avviato? Questo articolo, che prima o poi dovrà essere invocato dal governo inglese, costituisce la richiesta formale per l’uscita dall’UE. Al momento, anche Theresa May come il dimissionario premier David Cameron sostengono che non ci sia l’urgenza di ricorrere all’art. 50. Ma l’Unione Europea chiede lo si faccia il prima possibile: vogliono che il Regno Unito esca una volta per tutte.

LO SPETTRO DI NUOVE ELEZIONI. C’è poi un’altra questione da considerare: il Regno Unito andrà o no alle elezioni il prossimo autunno? Al momento la strada più semplice sembra essere quella di continuare per altri 4 anni di mandato coi Tories di Cameron, ma con May premier. Ma con un paese così diviso, e col caos attuale dentro ai partiti, potrebbe emergere la necessità di una nuova corsa alle elezioni. “Dobbiamo avere nuove elezioni prima di ricorrere all’art. 50”, ha affermato Nick Clegg, ex premier del paese e parlamentare del partito Lib-Dem.

In questa ipotesi la Brexit sarebbe rimandata a un nuovo mandato elettorale, e si sposterebbe nel tempo. E la campagna elettorale potrebbe anche concentrarsi su due fazioni: chi vuole procedere alla Brexit e chi, se eletto, forzerebbe il paese a rimanere dentro l’UE ignorando l’esito del recente referendum. In tutto questo pesa anche la questione Scozia: il paese si appresta ad istituire un nuovo referendum per l’indipendenza di modo da rimanere dentro l’Unione Europea. E abbandonare il Regno Unito una volta per tutte.

MERKEL, LA TEMPOREGGIATRICE. Infine, il Financial Times riporta un ultimo scenario possibile per evitare la Brexit. Quello che invoca l’aiuto di Angela Merkel la “temporeggiatrice”. Secondo il quotidiano britannico, Angela Merkel potrebbe utilizzare col Regno Unito la stessa strategia adottata con la Grecia: attendere, allungare i tempi, rimandare. Fino a che, fra alcuni mesi, la Gran Bretagna potrebbe essere pronta per un nuovo referendum, o per nuove elezioni. E per allora, i danni all’economia del paese sarebbero visibili, e potrebbero portare le persone a votare per annullare la Brexit.

Sembra davvero una situazione impossibile: il Regno Unito ha votato per lasciare l’UE ma non sa come farlo,  e non sa come portare a casa un nuovo accordo commerciale con l’Unione Europea e al tempo stesso fermare l’immigrazione – le due cose vanno di pari passo nonostante le affermazioni dei parlamentari inglesi – mentre i danni all’economia si iniziano a vedere. Nell’attesa che la situazione si chiarisca, a rimetterci sono i cittadini europei nel Regno Unito. Loro che vivono e pagano le tasse in un paese che non li vuole più.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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