Regeni, lettera anonima accusa i vertici Egitto. La Procura smentisce: “Nessuna rilevanza”
UPDATE ore 20 – "Si tratta di un anonimo, uno dei tanti, in casi come questi di forte risonanza mediatica. Non hanno nessuna rilevanza giudiziaria": con queste parole la Procura di Roma ha liquidato la "lettera anonima" che sarebbe stata inviata a Repubblica. Secondo gli inquirenti le informazioni fornite contengono una "molteplicità di imprecisioni nella ricostruzione dei fatti e soprattutto in riferimento agli esami autoptici". In sostanza la mail pubblicata "non verrà presa neanche in considerazione" dagli investigatori così come stabilisce "la procedura penale italiana".
"L'ordine di sequestrare Giulio Regeni è stato impartito dal generale Khaled Shalabi, capo della Polizia criminale e del Dipartimento investigativo di Giza". È la rivelazione che, riporta Repubblica, sarebbe contenuta in alcune mail anonime arrivate da qualche giorno al giornale e adesso in possesso del pm Sergio Colaiocco e del legale della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini. Giza è il distretto dove lo studente è scomparso il 25 gennaio, mentre Shalabi è l'ufficiale che ha una condanna precdente per torture e che subito dopo il ritrovamento del cadavere ha diffuso la tesi dell'incidente stradale – e successivamente anche quella del delitto a sfondo omosessuale. Secondo l'anonimo "fu Shalabi, prima del sequestro, a mettere sotto controllo la casa e i movimenti di Regeni e a chiedere di perquisire il suo appartamento insieme ad ufficiali della Sicurezza Nazionale" e "fu Shalabi, il 25 gennaio, subito dopo il sequestro, a trattenere Regeni nella sede del distretto di sicurezza di Giza per ventiquattro ore". Chi scrive, dice Repubblica, al di là dell'attendibilità, "svela almeno tre dettagli delle torture inflitte a Giulio Regeni mai resi pubblici e conosciuti solo dagli inquirenti italiani, perché corroborati dall'autopsia effettuata sul cadavere di Giulio nell'Istituto di medicina legale di Roma". Nelle mail viene raccontata una storia possibile di quanto accaduto allo studente nei giorni di prigionia.
Nella serata di oggi – salvo "complicazioni" – è attesa a Roma la delegazione di inquirenti egiziani, che dovrebbero portare l’annunciato faldone di duemila pagine e, almeno, l’indicazione di un nome. Secondo una fonte della Stampa al Cairo potrebbe essere proprio quello del generale Khaled Shalaby.
Secondo l'anonimo che scrive a Repubblica, una volta arrivato in caserma a Giza a Regeni vengono tolti cellulare e documenti. Il ragazzo viene picchiato una prima volta a causa del suo "rifiuto di rispondere ad alcuna domanda in assenza di un traduttore e di un rappresentante dell'Ambasciata italiana". A Giulio viene chiesto conto della "rete dei suoi contatti con i leader dei lavoratori egiziani e quali iniziative stessero preparando". Successivamente lo studente viene trasferito "in una sede della Sicurezza Nazionale a Nasr City" tra il 26 e il 27 di gennaio, "per ordine del Ministero dell'Interno Magdy Abdel Ghaffar". Qui, ancora una volta, Regeni chiede di rispondere solo davanti a un rappresentante dell'ambasciata italiana, e così "viene avvertito il capo della Sicurezza Nazionale, Mohamed Sharawy, che chiede e ottiene direttive dal ministro dell'Interno su come sciogliergli la lingua". In parole povere, continua l'anonimo, "cominciano 48 ore di torture progressive". Il tagazzo inizia a perdere conoscenza, viene "picchiato al volto", "bastonato sotto la pianta dei piedi", "appeso a una porta", "sottoposto a scariche elettriche in parti delicate", "privato di acqua, cibo, sonno", "lasciato nudo in piedi in una stanza dal pavimento coperto di acqua, che viene elettrificata ogni trenta minuti per alcuni secondi". Proprio uno di questi dettagli inquieta gli inquirenti: la circostanza che Giulio sia stato "bastonato sotto i piedi" fino ad oggi era ignota, ma trova conferma nell'autopsia.
Il secondo dettaglio sconosciuto ma verosimile è che Regeni sia stato colpito "con una sorta di baionetta". Secondo l'anonimo sarebbe accaduto quando, dopo tre giorni di torture, il ragazzo viene spostato. La decisione è del "generale Ahmad Jamal ad-Din, che, informato Al Sisi, dispone l'ordine di trasferimento dello studente in una sede dei Servizi segreti militari, anche questa a Nasr city, perché venga interrogato da loro". Qui a Giulio "viene lasciato intendere che sarebbe stato sottoposto a waterboarding, che avrebbero usato cani addestrati" e che non gli sarebbero satate risparmiate "violenze sessuali, senza pietà, coscienza, clemenza". In queste fasi Regeni entrava in stati di incoscienza, pestato sempre più violentemente. Per l'anonimo "quando si svegliava, minacciava gli ufficiali del Servizio militare dicendogli che l'Italia non lo avrebbe abbandonato".
Medici militari, si legge nelle mail, "visitano il ragazzo e sostengono che sta fingendo di star male", quindi la tortura prosegue "con lo spegnimento di mozziconi di sigaretta sul collo e le orecchie" – terzo dettaglio sconosciuto ma confermato dall'autopsia – finché Giulio crolla e muore, "e a nulla valgono i tentativi dei medici militari di rianimarlo". Il cadavere, prosegue l'anonimo, viene messo "in una cella frigorifera dell'ospedale militare di Kobri al Qubba, sotto stretta sorveglianza e in attesa che si decida che farne". In una riunione "tra Al Sisi, il ministro dell'Interno, i capi dei due Servizi segreti, il capo di gabinetto della Presidenza e la consigliera per la sicurezza nazionale Fayza Abu al Naja" viene presa la decisione di far apparire la questione "come un reato a scopo di rapina a sfondo omosessuale e di gettare il corpo sul ciglio di una strada denudandone la parte inferiore", mentre l'Italia chiedeva conto della scomparsa dello studente. "Il corpo fu quindi trasferito di notte dall'ospedale militare di Kobri a bordo di un'ambulanza scortata dai Servizi segreti e lasciato lungo la strada Cairo-Alessandria", aggiunge l'anonimo.